Le ombre sulla storia. Le stragi del ‘92 |
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Scritto da Pietro Orsatti | |||||||||
Lunedì 10 Maggio 2010 15:33 | |||||||||
Ci sono dei luoghi a Palermo che parlano. Parlano di vite e complotti, di segreti e morte. Via Notarbartolo, Piazza Marina, il Bar Rex, la piccola piazza dietro il Palazzo di Giustizia, via D’Amelio e Monte Pellegrino, l’autostrada per Punta Raisi, un villino a Mondello e un altro a Marina di Carini. E ancora. Altre strade, piazze, case. Parlano. Hanno parlato, evidentemente, anche a Attilio Bolzoni, che su La Repubblica ha riaperto pochi giorni fa alcuni squarci sulla vicenda mai chiarita del fallito attentato a Giovanni Falcone nella sua casa all’Addaura. Sospetti, qualche dato nuovo, linee logiche che da vent’anni e più portano a un intreccio stritolante fra Cosa nostra e servizi deviati, fra pezzi dello Stato “infedeli” e boss sanguinari.
Le stragi del ’92, e poi quelle del ’93, non sono arrivate a caso. Sono state costruite frammento dopo frammento, decisione dopo decisione, scontro dopo scontro. I due poteri “reali” che per decenni hanno governato (e governano ancora) la Sicilia, Cosa nostra e Stato, inevitabilmente si sono coagulati nelle tragedie di quel biennio. Ma è storia antica, apice di un percorso, come ricorda Bolzoni. O no? Il diario di Falcone. Le ombre di Contrada
Torniamo a Borsellino e a quello che disse in quello che è il suo ultimo intervento pubblico prima della strage del 19 luglio 1992 a via D’Amelio. "Ecco perché forse ripensandoci quando Caponnetto dice ’cominciò a morire nel gennaio del 1988’ aveva proprio ragione anche con riferimento all’esito di questa lotta che egli fece soprattutto per poter continuare a lavorare". Sembra quasi che oggi si ripresenti il conto di quello avvenuto 17 anni fa. "Quando si parla di trattative, di presenza in via D’Amelio di uomini dei servizi, di servitori dello Stato infedeli, di agende rosse e di uffici del Sisde a Castel Utveggio – spiega Salvatore Borsellino, fratello di Paolo – in realtà si raccontano cose che già allora erano emerse ma che poi forse sono state fatte cadere". Come avvenne nel caso delle dichiarazioni del tenente Carmelo Canale, ex maresciallo dei carabinieri promosso tenente per meriti speciali e collaboratore di Paolo Borsellino. Nel 1994 rilasciò dichiarazioni esplosive, in gran parte sottovalutate e di certo dimenticate. Fra le tante, ecco alcune battute indicative del clima e del personaggio: "Il dottor Falcone era molto agitato, aveva gli occhi di fuori, parlava con Borsellino. ’Caro Paolo, il responsabile del fallito attentato all’Addaura era Bruno Contrada’ (…) Io rimasi sconvolto e mentre scendevamo le scale chiesi a Borsellino chi fosse Bruno Contrada. Borsellino mi pregò di non parlare con nessuno di quell’episodio (…) Nel corso di una conversazione telefonica, Borsellino mi disse che aveva appreso da Falcone dell’intenzione di Gaspare Mutolo di iniziare a collaborare. Fra le prime cose che aveva rivelato, Mutolo aveva parlato di episodi di corruzione inerenti il giudice Domenico Signorino e Bruno Contrada". In seguito Canale nel 1997, accusato da due pentiti di mafia, venne processato per associazione esterna, e poi in seguito assolto (nel 2008 la conferma). Anche sulle sue rivelazioni, e sulla sua vicenda, ci sono tante ombre, e come tante altre dichiarazioni dell’epoca tornano attuali. Gli smemorati e la trattativa
Perché di trattativa ne parlavano fino a poco tempo fa solo i mafiosi, o meglio i pentiti. Da Giovanni Brusca a Antonino Giuffré. E poi, da circa un anno, Massimo Ciancimino, figlio del sindaco del sacco di Palermo e, nelle ultime settimane, suo fratello Giovanni. Tutti gli altri, mentre se ne parlava, sono rimasti in silenzio. Ma andiamo ai primi, a due colleghi di Marsala di Paolo Borsellino, che hanno dichiarato improvvisamente di ricordare alcune confidenze del giudice assassinato su un possibile “traditore” in magistratura. Sempre 17 anni dopo. In piena estate di quest’anno e pochi giorni prima dell’anniversario del 19 luglio. Pochi giorni prima qualche spiraglio era arrivato perfino da uno dei colleghi di Falcone e Borsellino del pool di Palermo, Giuseppe Ayala, che affermò di aver visto nell’agenda di Nicola Mancino, ex ministro dell’Interno ora vicepresidente del Csm, segnato proprio quell’appuntamento con Paolo Borsellino che il vice di Napolitano si ostina a negare e che, secondo molti, sarebbe stata l’occasione in cui venne comunicata la possibilità di una trattativa con Cosa nostra. Trattativa che, respinta da Borsellino, segnò la sua condanna a morte. Su questo e altri dettagli, fra cui la sparizione dell’agenda rossa dal luogo della strage, Ayala è stato sentito dai pm di Caltanissetta. Anche Ayala, poi, ha parlato di quelle confidenze in relazione a “traditori” e dell’esistenza di un diario elettronico di Falcone in cui si faceva riferimento a simili sospetti. Diario scomparso, puntualmente, subito dopo la strage di Capaci, come vennero del resto cancellate le memorie dei computer del magistrato nel suo ufficio al ministero di Giustizia nonostante fosse sotto sequestro da parte dell’autorità giudiziaria. Poi lo scoop di “Annozero”, e la cura per l’amnesia in diretta televisiva. Si apprende nel tempio di Michele Santoro che Liliana Ferraro, storica collaboratrice di Falcone, disse al capitano Giuseppe De Donno (Ros) di informare Paolo Borsellino della volontà di Vito Ciancimino a collaborare a fronte di alcune garanzie politiche. A rivelarlo Claudio Martelli, ex ministro della Giustizia, che racconta di come venne a conoscenza della “trattativa” con Ciancimino avviata dal nel 1992 per raggiungere esponenti di Cosa nostra e trattare la cattura dei superlatitanti. I Ros, quindi, protagonisti come racconta Massimo. Ma vediamo cosa ha detto lo scorso anno in aula a Palermo Luciano Violante sugli incontri avuti con Mori e sulla presunta trattativa fra Stato e mafia. Violante ha confermato quello che già aveva lasciato trapelare negli scorsi mesi, ovvero di aver ricevuto per tre volte Mori nel ’92, quando era presidente della commissione Antimafia, che gli sollecitava un incontro riservato con l’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino. Nonostante l’insistenza di Mori, ogni volta ripeteva la stessa richiesta, Luciano Violante respinse ogni appuntamento. I tre incontri e la richiesta di mettere in atto un approccio riservato con Ciancimino sono stati confermati anche dall’alto ufficiale che al termine dell’audizione di Violante ha rilasciato una dichiarazione spontanea e a depositato una memoria scritta. Ma Mori ha negato che si trattasse di incontri finalizzati alla trattativa e anzi ha ribadito che il suo rivolgersi al presidente della commissione Antimafia testimonierebbe sulla sua buonafede e correttezza istituzionale. Ma, di fatto, Mori non ha spiegato per quale ragione così insistentemente si è fatto promotore di questo incontro, come del resto Violante non ha dato conto di 17 anni di silenzio su questa vicenda nonostante ormai da anni si parli diffusamente sia della trattativa che di chi ne fu protagonista. Mori ha anche ricordato come ebbe "ripetuti contatti telefonici con Paolo Borsellino, che conoscevo da tempo, finché il magistrato mi chiamò dicendo che mi voleva parlare riservatamente insieme al capitano De Donno". Ma una frase soprattutto della sua deposizione ha creato stupore: "Nel salutarci il dottor Borsellino raccomandò ancora la massima riservatezza sull’incontro e sui suoi contenuti, in particolare nei confronti dei colleghi della Procura di Palermo", aprendo di fatto un nuovo capitolo di questa già intricata vicenda. Una storia già sentita, diciotto anni fa. Fonte: orsatti.info (Pietro Orsatti, 10 Maggio 2010)
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