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Il generale Mori contro Ciancimino. 'Ha falsificato gli scritti del padre' PDF Stampa E-mail
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Scritto da Nicola Biondo   
Lunedì 04 Ottobre 2010 21:30
Riprende il processo sul mancato arresto di Provenzano. Con la testimonianza di Liliana Ferraro e con una dura controffensiva del generale Mario Mori che ora accusa Ciancimino junior di aver falsificato le prove.

Un processo, alcune certezze e un clamoroso dubbio. Il processo è quello a carico dell’ex comandante dei Ros, il generale Mario Mori e del colonnello Mauro Obinu in corso davanti al tribunale di Palermo: l’accusa per i due alti ufficiali è di aver omesso l’arresto di Bernardo Provenzano nel 1995. Le certezze arrivano da un testimone, Liliana Ferraro, la donna che prese il posto di Giovanni Falcone al ministero della Giustizia dopo la strage di Capaci: "Nel giugno del 1992 (pochi giorni dopo aver appreso la circostanza, ndr) avevo avvertito Paolo Borsellino che il Ros di Mori aveva intessuto un rapporto con Vito Ciancimino". "Borsellino - ha aggiunto poco dopo - il giorno prima di morire mi chiamò proprio perchè voleva parlare anche di quegli incontri". Due dichiarazioni che riaprono la questione di un possibile “movente esterno”, cioè non mafioso. Il terribile sospetto è che il giudice Borsellino avesse capito qualcosa di inconfessabile attorno a una “trattativa” tra Stato e Cosa Nostra e che per questo sia stato ucciso. Ed ecco dunque la domanda cruciale: quei colloqui dei carabinieri con l’ex sindaco Ciancimino erano parte di questa “trattativa” o erano invece un’operazione investigativa di alto livello? Liliana Ferraro non ha naturalmente una risposta. Riferisce circostanze che apprese da un altro carabiniere, l’allora capitano Giuseppe de Donno. Questi le riferì che i colloqui con Ciancimino erano fatti per scopi investigativi. Con tre obiettivi: "Trovare gli assassini di Falcone, fermare lo stragismo mafioso e portare Ciancimino ad un contributo collaborativo”. Ed è questa anche la posizione del generale Mori. Il quale rigetta il sospetto e mette sotto accusa il figlio di don Vito, Massimo, le cui dichiarazioni hanno dato molti elementi all’ipotesi della trattativa.

Pizzini falsificati?

Ed ecco l’altro fatto rilevante dell’udienza di ieri. Il generale ha sostenuto che i pizzini di don Vito forniti alla Procura di Palermo dal figlio Massimo potrebbero essere stati taroccati. E per dimostrarlo ha preso in esame, nel corso di una lunga dichiarazione spontanea, uno dei pizzini più controversi, quello indirizzato a Marcello Dell’Utri e “per conoscenza al Presidente Silvio Berlusconi”. Quest’ultimo destinatario, sostiene Mori, è stato applicato alla lettera con un’operazione di copia e incolla che «dimostra la falsificazione del documento prodotto da Massimo Ciancimino». Mori ha quindi spiegato i possibili metodi di falsificazione e gli esperimenti che i suoi consulenti hanno realizzato su altri documenti che, con certezza, provengono da Vito Ciancimino. I contenuti dei pizzini di don Vito si possono alterare – ha detto il generale – "per formulare accuse ingiuste e gravissime". Su queste circostanze si confronteranno in aula i periti dell’accusa e della difesa. E sarà chiamato a rispondere, come testimone, proprio Ciancimino jr.

Il mancato arresto

Ultimo colpo di scena dell’udienza ha riguardato la questione pricipale, il mancato arresto di Provenzano. È emerso che il Ros di Mori e Obinu, e del generale Antonio Subranni - anche lui tra i testimoni di ieri – aveva individuato nel novembre 1995 il covo del boss, grazie ad un mafioso infiltrato. Un’ammissione che arriva proprio da uno degli imputati, Mauro Obinu, ed è contenuta in un verbale del 5 marzo 2002 che ieri è stato depositato agli atti del processo. «Abbiamo localizzato il casale – disse allora l’ufficiale - ma (ci fu) la difficoltà tecnica di entrare in quel posto in quanto occupato da pastori, mucche e pecore». E così don Binu rimase libero per altri undici anni.


Nicola Biondo (l'Unità, 29 settembre 2010)



 

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