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La mafia vuole uccidere Calcara PDF Stampa E-mail
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Scritto da Umberto Lucentini   
Lunedì 28 Marzo 2011 11:53
Il pentito Vincenzo Calcara

Era un uomo di Messina Denaro. Si pentì dopo aver conosciuto Borsellino. Uscito dal carcere, sta girando l'Italia per spiegare che cosa sono veramente le cosche. Ora gli 'uomini d'onore' lo hanno trovato in Piemonte

Ha raccontato ai giovani la sua storia di "uomo d'onore riservato" del clan mafioso di Castelvetrano, della sua scelta di collaborare con la giustizia e di farlo con Paolo Borsellino, rivelando al magistrato che avrebbe dovuto ucciderlo su ordine del clan dei Messina Denaro. E poi ha parlato dell'aggressione subita pochi giorni fa dalla moglie, avvicinata e strattonata da anni da due uomini che con un accento siciliano marcato le hanno detto: «Dici a Vincenzo di non parlare più. Sta parlando troppo...».

Lui, invece, non ha taciuto: a Modena, dove era stato invitato dal gruppo assembleare di Italia dei Valori, nella sala Giacomo Ulivi di via Menotti 137, Vincenzo Calcara ha ripercorso la sua vita agli ordini della famiglia mafiosa del Trapanese legata a Totò Riina e Bernardo Provenzano. Ha parlato della scelta di cambiare vita maturata nel carcere di Favignana dove stava scontando una condanna per omicidio, dei suoi incontri con Paolo Borsellino che pochi mesi dopo (era la fine del 1991) sarebbe stato ucciso nella strage di via D'Amelio del 19 luglio 1992, 57 giorni dopo il suo amico e collega Giovanni Falcone. Poi Calcara ha spiegato la scelta di uscire volontariamente nel 1998 dal programma di protezione dei collaboratori di giustizia per tentare di rifarsi una vita, lavorando e cercando di tirare a campare senza lo stipendio dello Stato.

Pochi mesi fa ha anche aperto un proprio profilo su Facebook: un'esperienza iniziata come tanti altri, un passatempo e un modo per stare in contatto con gli altri che adesso lo vede protagonista di una pagina con più di mille contatti. La sua testimonianza, i suoi ricordi legati alla vicinanza con i boss Messina Denaro da anni al vertice di Cosa nostra, sarà utilizzata pure al processo per l'omicidio del giornalista Mauro Rostagno, «quello con la telecamera che rompeva» come dicevano i capi mafia del Trapanese.

Calcara, con Giovanni Brusca, Vincenzo Sinacori, Angelo Siino ricorderà in aula quello che ha già detto ai pubblici ministeri antimafia: i mafiosi trapanesi vedevano come il fumo negli occhi i servizi giornalistici che Rostagno mandava in onda sulla tv privata di Trapani, Rtc. Quello di Modena, con a fianco il senatore ed avvocato Luigi Li Gotti, è il secondo incontro di Calcara aperto al pubblico: a gennaio l'Associazione Antiracket di Trapani ha organizzato un faccia a faccia con gli studenti a Castelvetrano, andato però deserto per volere dei dirigenti scolastici. «Agli studenti di Castelvetrano, se fossero venuti, avrei ripetuto una frase che mi diceva il dottore Borsellino: "Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola". Il dottore Borsellino mi ripeteva sempre che la verità rende un uomo libero», dice Calcara. «Ai giovani oggi dico che devono rifiutare le forze del male, l'illusione che la mafia possa dare un futuro e che invece vi farà schiavi come ero io. Francesco Messina Denaro (il padre del superlatitante di Cosa nostra, Matteo, ndr) aveva organizzato l'uccisione di Borsellino. Voleva ucciderlo o con un fucile di precisione o con un'autobomba».

Pochi giorni fa, nel piccolo centro del Piemonte dove i Calcara vivono, in due hanno minacciato la moglie dopo averla sbattuta contro un muro: la donna, Caterina, è stata bloccata con la forza e sbattuta contro un muro da due uomini. «Dov'è Vincenzo? Dici a Vincenzo di non parlare più. Sta parlando troppo», le ha detto il primo dei due, 40 anni circa, parlando con un marcato accento siciliano. Erano da poco passate le dieci e la donna stava rincasando dopo aver accompagnato le due figlie più piccole in parrocchia. L'altro uomo l'ha afferrata e l'ha sbattuta contro il muro aggiungendo: «Ti faccio schizzare sangue». Poi, senza aggiungere altro, i due si sono allontanati a piedi verso il centro del paese facendo perdere le loro tracce.

La donna, sconvolta, è subito andata nella parrocchia a prendere le due figlie che stavano seguendo una lezione di catechismo e s'è diretta alla stazione dei carabinieri per denunciare l'aggressione e le minacce. «Conoscevamo la storia di Calcara e volevamo che la gente di Modena sentisse dalla voce di un testimone diretto cosa significa vivere in un ambiente mafioso e poi abbandonarlo», spiega Fabio Prandini, uno degli organizzatori dell'incontro. «Qui in Emilia Romagna le cosche sono presenti e si stanno infiltrando sempre di più. E' bene che la guardia sia mantenuta alta per fermare i criminali finché siamo in tempo».

Umberto Lucentini

Da: L'Espresso

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