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Il curriculum di Giuseppe Impastato PDF Stampa E-mail
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Scritto da Enzo Guidotto   
Sabato 14 Marzo 2009 00:04
I funzionari dello Stato che in Sicilia ricoprono incarichi di un certo livello sono tenuti a conoscere i contenuti e gli esiti delle inchieste parlamentari e giudiziarie sulle più significative vicende di Cosa Nostra e sulle storie personali di quanti hanno pagato con la vita il coraggio della verità? Il cittadino medio – e cioè chiunque abbia ottemperato senza demerito all’obbligo scolastico - ispirandosi ai principi e alle regole del buon senso comune e ragionando a stretto rigore di logica, è portato a pensare di sì. Da ciò la diffusa meraviglia, nell’opinione pubblica – e non soltanto nell’isola - davanti alla notizia dell’esigenza manifestata dalla Prefettura di Trapani al Comune di Marsala, di disporre di una biografia di Giuseppe Impastato, al quale l’ente locale, su indicazione della “Commissione di Toponomastica” , intende dedicare una via della città: un’esplicita richiesta di carattere conoscitivo, insomma, che «a prescindere dalla notorieta'» della «persona interessata» ha anche lo «scopo di consentire la formulazione del prescritto parere da parte della “Societa' siciliana per la Storia Patria"».
 
Storia Patria
- La precisazione, alquanto significativa, lascia disorientato e confuso l’uomo della strada perché fa trapelare l’ipotesi che questa benemerita Società non si sia mai preoccupata di acquisire una sufficiente documentazione sul personaggio ritenendolo estraneo all’affermazione e alla difesa di valori che rientrano nel concetto di Patria. Ma cos’è la Patria? Il mio vocabolario preferito, il “Gabrielli”, spiega che si identifica nel «complesso di tradizioni, eredità storiche, culturali, linguistiche e valori umani che legano un popolo alla sua terra» e che patriota è «chi ama la propria patria ed è disposto a sacrificarsi». Giuseppe Impastato, ucciso dai mafiosi che aveva combattuto a viso aperto, rientra in questa categoria per tutto quello che ha fatto da cittadino, giornalista e politico? Sicuramente non per quanti, ossequiosi nei confronti del “Palazzo” per aspirazioni di carriera o amanti di quel malinteso quieto vivere che ha portato il Paese allo sfascio con i fenomeni Mafiopoli e Tangentopoli, lo definivano – o lo definiscono ancora? - tout-court «estremista». D’altra per lo stesso motivo, più di un secolo fa, veniva considerato da tanti Napoleone Colajanni che in verità non faceva mistero di tale qualifica essendosi collocato in Parlamento nel gruppo dell’”Estrema” per libera scelta.

“Estremisti!” - “Il confronto non vale!” diranno subito i soliti perbenisti. E invece sì. Perché qui non conta il fatto che uno era deputato, docente universitario ed autore di tanti saggi e l’altro un giovane idealista che dai microfoni di “Radio Aut” definiva la mafia «una montagna di merda», consapevole del fatto che il padre – che rinnegò - ne faceva parte, e dei pericoli che correva. Qui devono semmai valere le idee, gli intendimenti e il contributo culturale e democratico di entrambi alla lotta alla mafia, ciascuno nel proprio ambito di operatività, con ruoli e strumenti diversi ma agendo sempre con coraggio, in prima linea, ad oltranza e senza guardare in faccia nessuno: padre compreso, nel caso di Impastato. «Eppure, alla Prefettura di Trapani - si legge nel sito “Osservatorio Sicilia” - non sanno chi è Peppino Impastato, uno dei martiri simbolo della lotta alla mafia». 


Tescaroli - «Per provare che Impastato fu ucciso e che il suo corpo fu fatto saltare in aria dagli assassini – ha scritto qualche anno fa su “La Repubblica” Luca Tescaroli, magistrato veneto - fu necessario più di un ventennio. Tre inchieste giudiziarie, condotte da investigatori e magistrati coraggiosi, talvolta fatti oggetto di accuse infamanti, come accadde a Rocco Chinnici (Capo dell’Ufficio Istruzione di Palermo dove operarono Falcone e Borsellino, ndr), accusato persino da esponenti delle forze dell' ordine di strumentalizzare l' indagine “per attirarsi le simpatie di una certa parte dell' opinione pubblica conseguente a certe sue aspirazioni elettorali”. La stimolazione dei familiari, degli amici, del “Centro Impastato” presieduto da un instancabile Umberto Santino, impegnati in un' opera incessante e meritoria di denuncia e di sensibilizzazione della pubblica opinione sui temi dell' impegno civile e politico di Impastato. Il contributo di conoscenza diretta ed indiretta dei collaboratori di giustizia rivelatisi ancora una volta decisivi. Una relazione della Commissione Parlamentare Antimafia, approvata nel dicembre del 2000. Due processi: uno innanzi conclusosi con la condanna di Gaetano Badalamenti all' ergastolo, l' altro concluso con la condanna a trent' anni nei confronti di Vito Palazzolo».


 “Deviazioni, connivenze...” - Si è trattato – ha precisato Tescaroli – di «attività, sentenze e iniziative che hanno permesso di penetrare in quel torbido intreccio di deviazioni, sorprendenti plurime anomalie investigative, connivenze e omissioni, forse, non del tutto decifrate, che erano riuscite a trasformare un giovane idealista, portatore del coraggio della denuncia, in un terrorista e suicida. Quando fu assassinato, Impastato era impegnato nella campagna elettorale in vista delle amministrative al comune di Cinisi, indette per il 14 maggio 1978».

E allora come è possibile che nella Prefettura di Trapani nessuno abbia mai pensato di andare alla ricerca di notizie esaurienti su di lui, tenuto conto che le sentenze sono atti ufficiali e pubblici e quelli dell’Antimafia vengono spedite gratuitamente a richiesta anche a semplici associazioni private? Più che giustificate, quindi, le reazioni suscitate dalle dichiarazioni del Prefetto Stefano Trotta riportate in una nota rilasciata dalla prefettura alla stampa. «La richiesta della Prefettura – gli ha scritto Michele Santoro, componente della “Commissione di Toponomastica” di Marsala - appare come un semplice esercizio di normale italiana burocrazia perché c’è una legge dello Stato che prescrive addirittura che alle vittime di mafia possa essere riconosciuto un toponimo anche prima dei dieci anni dalla morte, normalmente previsti. Alla luce di ciò, la richiesta, che non mi esimo dal definire pretestuosa, di una biografia di Peppino impastato, non solo non è necessaria per esprimere il parere ma, ritengo, appare offensiva. Spiace constatare che Lei,  prefetto,  anziché ammettere semplicemente  che forse si è trattato di un disguido del Suo ufficio, voglia comunque difendere l’indifendibile. Penso che sarebbe un gesto di umiltà, e la cosa Le farebbe onore, se  Lei ammettesse i suoi errori, o quelli del personale della prefettura, e chiedesse scusa ai siciliani».


 Claudio Fava e Sonia Alfano - Più radicali i “rimedi” auspicati dai figli di altri due giornalisti uccisi dalla mafia. «Al ministro Maroni – ha dichiarato Claudio Fava - chiediamo la rimozione del prefetto o dei suoi collaboratori responsabili della richiesta di curriculum di Peppino Impastato e le scuse del governo ai siciliani: se un prefetto della Repubblica o i suoi collaboratori in servizio in Sicilia ignorano chi siano le vittime della mafia e quale sia la storia delle loro battaglie, è bene che quel prefetto o i suoi collaboratori cambino immediatamente mestiere». Analoga la presa di posizione di Sonia Alfano: «Davanti all'ignoranza dei suoi funzionari il Prefetto di Trapani dovrebbe immediatamente assegnare questi signori ad altre funzioni perche' con il proprio operato hanno inferto un nuovo doloroso colpo alla famiglia Impastato e alla figura di Peppino e arrecato un danno alle Istituzioni dello Stato».


L’immagine dello Stato - L’esigenza di salvaguardare l’immagine delle istituzioni, offuscate da funzionari dello Stato che dicono di non conoscere fatti e situazioni di importanza tutt’altro che trascurabile mi ha fatto venire in mente certe dichiarazioni fatte nel dicembre del 2006 dal dottor Giuseppe Chittaro, all’epoca vice capo di Gabinetto del Prefetto Giovanni Finazzo, in occasione di un convegno, organizzato proprio a Marsala da “Libera”, sulle vicende della Calcestruzzi Ericina. Un tema importante, dunque. Non a caso il filmato dell’intera manifestazione è stato successivamente acquisito dai Carabinieri su incarico della Procura di Marsala.

Fino a quell’epoca il Prefetto aveva sostenuto che l’impresa, ormai di proprietà dello Stato, non avvertiva problemi. Un funzionario della stessa, con dati alla mano, aveva invece dimostrato che le cose non stavano proprio così. Io, intervenendo dal pubblico, invitai il rappresentante del Prefetto ad esprimersi sulla contraddizione. Chittaro rimase nel vago, per cui ritenni opportuno riprendere l’argomento anche per creare le condizioni che potessero permettere di integrare ed approfondire quanto emerso sulla pervasività del potere mafioso nel sistema economico locale. L’America’s Cup – dissi in sostanza – fu inaugurata nel settembre del 2005. I lavori preparatori del porto erano iniziati tanto tempo prima. Nel novembre del 2005 è scattata l’operazione “Mafia e appalti 1” e sono stati arrestati per associazione mafiosa Francesco Pace e suoi fedelissimi. Di certo si sa che alcuni imprenditori mafiosi avevano operato nei cantieri del porto anche dopo che i loro nomi erano finiti negli atti dell’inchiesta “Peronospera 2” perché dimostravano di essere in grado di chiedere l’intervento di boss di Castelvetrano legati a Matteo Messina Denaro per risolvere problemi di ... “competenza territoriale” nell’imposizione del “pizzo”. Ebbene – precisai – alcune parti dell’ordinanza del novembre del 2005, contenenti i loro nomi e cognomi, erano stati pubblicati testualmente su Antimafia 2000, rivista a tiratura nazionale, già nel giugno del 2004.


 Il “Maestro segreto” - Il dottor Chittaro rispose che non conosceva il periodico e non ne sapeva niente offrendo un’immagine tutt’altro che edificante dell’istituzione che rappresentava e quindi dello Stato; immagine che per fortuna risultò in qualche modo ... “ripristinata” grazie all’intervento, nel dibattito, del colonnello dei Carabinieri Claudio Vincelli, che rivelò una singolare autorevolezza. E’ noto che nel 1986, quando la Squadra Mobile sequestrò i documenti custoditi nel Circolo “Scontrino”, emerse che Giuseppe Chittaro non risultava iscritto ufficialmente alla Loggia “Iside 2”, ma il suo nome, in alcuni appunti, veniva indicato come «rispettabile Maestro segreto»; ed è altrettanto noto che ad alcune logge con sede nello stesso circolo di via Carreca erano iscritti non pochi mafiosi d’alto bordo della provincia.



Enzo Guidotto

 

 IN “L’ISOLA” e “L’ALCAMESE”, periodici della provincia di Trapani, diretti da Gianfranco Criscenti Trapani: Antimafia e “ignoranza
 

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