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Sergio Lari: "Livelli esterni a Cosa Nostra in stragi ´92" PDF Stampa E-mail
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Scritto da ANSA e SiciliaInformazioni   
Giovedì 21 Maggio 2009 16:07
20 maggio 2009 - Palermo (Antimafiaduemila e ANSA). ''Da procuratore di Caltanissetta mi occupo di tante vicende non ancora chiuse: tanti misteri sono legati alle stragi del '92. Ci sono livelli esterni che non sono stati sicuramente solo quelli di Cosa nostra''. Lo ha detto il capo della Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta, Sergio Lari, intervenendo, a Palermo, a una cerimonia organizzata dall'Anm nel giorno in cui il giudice Giovanni Falcone avrebbe compiuto 70 anni. "Con la sua azione e con la progettazione di strutture come Dda e superprocura antimafia - ha proseguito Lari - Falcone portò avanti qualcosa che somigliò ad una grande rivoluzione nell'organizzazione dello Stato per la lotta alla mafia". Il presidente della Anm distrettuale, Giuseppe De Gregorio, ha ricordato le parole che Falcone dedicò al nuovo codice di procedura penale: "Serve per i ladri di galline, non per gli altri".




Mafia. Inizia il processo Mori, pentiti in aula bunker. Ecco le prime rivelazioni

21 maggio 2009 - Roma (SiciliaInformazioni). Per sei anni sarebbe rimasto sempre nello stesso posto. Il capomafia Bernardo Provenzano durante la sua latitanza non avrebbe cambiato il covo in cui si rifugiava, nonostante il boss confidente Luigi Ilardo aveva rivelato a magistrati e investigatori la località in cui si trovava. Lo dice il collaboratore di giustizia, Ciro Vara, deponendo nell'aula bunker di Rebibbia a Roma davanti ai giudici del tribunale di Palermo che processano il prefetto Mario Mori e il colonnello Mauro Obinu, accusati di favoreggiamento alla mafia, per il mancato blitz dell'autunno 1995 a Mezzojuso che avrebbe potuto portare all'arresto del latitante. Gli imputati non sono presenti in aula.
Vara, rispondendo alle domande del pm Nino Di Matteo, ha detto che Provenzano, nonostante avesse appreso che il suo amico Luigi Ilardo (ucciso nel 1996 a Catania) era confidente del colonnello Michele Riccio, non cambiò rifugio e rimase per altri cinque anni sempre a Mezzojuso, nel palermitano, fino a quando venne arrestato nel gennaio 2001 il latitante Benedetto Spera. Il pentito ha ripercorso i contatti avuti con Provenzano e con Ilardo. Gli incontri negli anni Ottanta nelle ville di Bagheria e Santa Flavia, in una delle quali Vara dice di aver visto Vito Ciancimino insieme a Provenzano, quando stavano risolvendo un problema che una ditta del Gas aveva a Caltanissetta. Per questi lavori di metanizzazione, Vara sostiene che venne pagata una tangente da 500 milioni di lire ai politici, una parte dei quali (200 milioni) venne consegnata dal figlio di Vito Ciancimino, Massimo, ad un imprenditore che a sua volta li diede a Bernardo Alaimo. Per domani è previsto l'interrogatorio in aula del pentito Giovanni Brusca.

"Dopo le stragi del '92 e del '93 Provenzano per alleggerire la pressione dello Stato su Cosa nostra, in particolare per i detenuti sottoposti al 41 bis, aveva cercato una strada attraverso la Chiesa" ha poi rivelato Vara. Il pentito ha detto di aver appreso questa strategia di Provenzano nel novembre 1993 da un mafioso di Caltanissetta, Mimmo Vaccaro, che all'epoca era latitante. "Nel 1993 soffrivamo la pressione dello Stato, i detenuti in particolare, e per questo motivo - dice Vara - incontrando Vaccaro dopo che per una settimana era stato insieme a Provenzano, gli chiesi cosa stava facendo per aiutarci. E Vaccaro mi rispose che stava tentando la strada attraverso la Chiesa, in modo da ammorbidire la repressione della magistratura e alleggerire il 41 bis". Vara ha inoltre rivelato per la prima volta in aula che il boss catanese Pietro Balsamo, negli anni Novanta, riusciva a conoscere in anticipo le mosse delle forze dell'ordine a Catania. "Balsamo - dice Vara - aveva notizie sempre di prima mano su arresti che doveva effettuare la Dda di Catania". L'audizione di Vara si è conclusa e il dibattimento procede con l'interrogatorio in aula di Giovanni Brusca.





Processo Mori-Ubinu: Brusca; Riina fece nome uomo istituzioni per trattativa


21 maggio 2009 - Roma (Antimafiaduemila e ANSA). "Riina mi disse il nome dell'uomo delle istituzioni con il quale venne avviata, attraverso uomini delle forze dell'ordine, la trattativa con Cosa nostra". Lo dice per la prima volta in aula il collaboratore di giustizia Giovanni Brusca, deponendo nel processo al generale Mario Mori e al colonnello Mauro Obinu, accusati di favoreggiamento alla mafia. Il processo, che si svolge davanti ai giudici del tribunale di Palermo, è in trasferta nell'aula bunker di Rebibbia a Roma per sentire alcuni pentiti. Brusca racconta che tra la strage di Falcone e quella di Borsellino "persone dello Stato o delle istituzioni" si erano "fatti sotto" con Riina, il quale aveva loro consegnato un "papello" di richieste per mettere fine agli attentati. Per la prima volta in un pubblico dibattimento, Brusca afferma di aver saputo da Riina il nome della persona a cui era rivolta la trattativa. Ma, quando il pm Nino Di Matteo gli chiede di farlo davanti ai giudici quel nome, Brusca si ferma e dice: "Mi avvalgo della facoltà di non rispondere, perché su questa vicenda vi sono indagini in corso e non posso rivelare nulla". Il riferimento è all'inchiesta che viene condotta dalla procura di Caltanissetta, guidata da Sergio Lari, che da mesi ha avviato nuove indagini sulle stragi del '92.



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qwan   |2009-05-21 19:45:43
ci siamo, ci siamo...
io credo nel riscatto della società civile...
io credo
che il bene prima o poi prevarrà...
forza, non dobbiamo fermarci adesso,
facciamoci sentire in tutti i modi, non dobbiamo lasciare soli i magistrati più
esposti proprio adesso che siamo ad un passo dalla verità!!!
i tempi sono
maturi, presto sorgerà un nuovo sole.
un abbraccio a Salvatore.

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