Il capo dei capi della Mafia Totò Riina prende parte ad un processo in Calabria (Italia) nel 1994
Fonte: Pier Silvio Ongaro/Sygma/Corbis
Roma - Ogni anno, gli italiani prendono parte ad una commemorazione di mezz’estate per onorare le vittime della Mafia e denunciare apertamente il flagello del crimine organizzato. Da Palermo a Torino, politici, capi della Chiesa e gruppi di giovani si raccolgono per ricordare l’omicidio del 19 luglio 1992 del magistrato anti-mafia Paolo Borsellino, che fu ucciso insieme a cinque agenti di scorta in un attentato con autobomba meticolosamente pianificato all’esterno dell’appartamento di sua madre nel capoluogo siciliano.
In occasione dell’anniversario di quest’anno, una delle voci più improbabili si è pronunciata. Salvatore (Totò) Riina, il noto ex capo dei capi della Mafia, ha rotto il suo silenzio dalla sua cella di prigione vicino a Milano, dove sta scontando l’ergastolo per dozzine di omicidi, inclusa la pianificazione dell’assassinio di Borsellino e di quello avvenuto tre mesi prima di un altro magistrato siciliano combattente, Giovanni Falcone. (Vedi le foto della vita in Italia).
Riina, che ha guidato la sanguinaria presa di potere della Mafia da parte della fazione corleonese nei primi anni ottanta, non ha mai fatto alle autorità niente di più che una vaga (ed indecifrabile) allusione al crimine dal momento del suo arresto a Palermo un anno dopo l’omicidio Borsellino. Anche il suo compagno di lunga data nel crimine e successore come capo dei capi, Bernardo Provenzano, è rimasto silenzioso dal tempo della sua cattura vicino a Corleone, nel 2006. Conosciuta come Cosa Nostra, la mafia siciliana ha mantenuto a lungo potere sull’isola (ed oltre) grazie all’aiuto dell’omertà, un voto di silenzio e rifiuto assoluto di cooperare con le autorità. Molti si aspettavano che Riina, settantottenne, si portasse i suoi segreti nella tomba.
Ma alcuni tra i principali quotidiani italiani hanno riportato che in due distinte occasioni nelle ultime settimane, Riina ha rincarato su questioni aperte che circondano l’assassinio di Borsellino. La sua decisione a sorpresa di parlare arriva quando gli inquirenti di Caltanissetta, nella Sicilia centrale, hanno riaperto un’indagine su persistenti sospetti che membri dei servizi segreti italiani abbiano potuto giocare un ruolo nel complotto del luglio 1992. Riina, comunicando nel tipico linguaggio obliquo dei mafiosi, ha autorizzato il suo avvocato a passare ai giornalisti le sue dichiarazioni che infatti chiamano in causa il coinvolgimento dello Stato. Dalla sua sede di Firenze l’avvocato Luca Cianferoni ha detto il 19 luglio al giornale La Repubblica quello che Riina ha affermato, “L’hanno ammazzato loro”, facendo riferimento alle autorità italiane. “Non guardate sempre e solo me. Guardatevi dentro anche voi.”
La fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 furono in Italia un periodo tumultuoso. Gli scandali delle tangenti alla fine rovesciarono buona parte della classe politica del dopoguerra. In Sicilia, la corruzione politica si mescolò all’omicidio, allorquando gli assassinii di Falcone e Borsellino furono seguiti dalle bombe mortali di Cosa Nostra a Roma, Firenze e Milano. Alcuni esperti di mafia credono che la decisione dell’organizzazione di intraprendere la sua battaglia in continente fu una risposta alla rottura dei tentativi di vecchia data da parte di certe autorità di governo di negoziare una tregua con i capi dell’organizzazione. Difatti, dopo gli anni di Riina in latitanza, il suo arresto, in pieno giorno al centro di Palermo, fu in sé un segno per molti che qualcuno aveva giocato un doppio gioco. (Leggi una storia di copertina di TIME sulla Mafia).
Secondo i resoconti dei giornali, Riina ha detto poco e mantiene il suo voto di omertà offrendo pochi fatti concreti. Ma il vecchio boss chiaramente vuole influenzare l’indagine in corso e ha incontrato gli inquirenti ai quali, secondo quanto riportato, ha promesso di fornire una testimonianza più dettagliata sia sul caso Falcone che su quello Borsellino.
La riapertura del caso Borsellino ha indotto anche altri a parlare. Diversi personaggi di spicco del governo italiano e delle forze dell’ordine coinvolti nei primi anni ’90 nelle indagini hanno dato la loro versione dei fatti nelle interviste. Si è pronunciato anche il figlio dell’ex sindaco di Palermo, Vito Ciancimino, che era il referente politico locale del clan Corleonese. Massimo Ciancimino ha, secondo quanto riportato, rivelato una parte dei contenuti degli archivi segreti del suo defunto padre, con cui gli inquirenti sperano di poter contribuire alla risoluzione di una serie di misteri di Mafia, incluso il presunto ruolo dello Stato nell’omicidio Borsellino. (Leggi “Conosci la Mafia moderna”).
La Repubblica ha inoltre riportato che due ex colleghi del magistrato assassinato hanno raccontato agli inquirenti di un incontro con Borsellino a Palermo poco prima della sua morte durante il quale scoppiò in lacrime dicendo, “Un amico mi ha tradito, un amico mi ha tradito.”
Ma forse le dichiarazioni più significative provengono dalla famiglia della vittima. Dal momento dell’uccisione del fratello, Salvatore Borsellino ha mantenuto il suo pregnante voto di silenzio. Ma dalla sua sede di Milano l’ingegnere si è pronunciato il 17 luglio in una video intervista sul sito internet delCorriere della Sera, un quotidiano con sede a Milano. Mostrando un’impressionante somiglianza con il suo congiunto trucidato, Borsellino dice di essere convinto che la mafia non ha agito da sola. “Mio fratello sapeva della trattativa tra la Mafia e lo Stato e questo è il motivo per cui è stato ucciso,” afferma Borsellino. “Ci furono delle autorità di governo che si adoperarono per preparare e portare a termine [l’assassinio].” La fine della storia di questo brutale capitolo nel passato dell’Italia non è nelle mani né dei familiari di Borsellino ancora in vita né dei suoi killer condannati, naturalmente, ma dei suoi successori nelle fila dei pubblici ministeri siciliani.
Each year, Italians take part in a midsummer ritual to honor the victims of the Mafia and speak out against the scourge of organized crime. From Palermo to Torino, politicians, church leaders and youth groups gather to mark the July 19, 1992, assassination of anti-Mob magistrate Paolo Borsellino, who was killed along with five bodyguards in a meticulously planned car-bombing outside his mother's apartment in the Sicilian capital.
For this year's anniversary, a most unlikely voice spoke out. Salvatore (Toto) Riina, the Mafia's notorious former boss of bosses, has broken his silence from his prison cell near Milan, where he is serving a life sentence for dozens of homicides, including the masterminding of the Borsellino hit and one three months earlier of another crusading Sicilian prosecutor, Giovanni Falcone. (See pictures of life in Italy.)
Riina, who'd led the bloody takeover of the Mafia by the Corleone faction in the early 1980s, had never made more than a passing (and indecipherable) allusion about the crime to the authorities since his arrest in Palermo a year after the Borsellino killing. His longtime partner in crime and successor as capo dei capi, Bernardo Provenzano, has also stayed mum since his capture near Corleone in 2006. Known as Cosa Nostra, the Sicilian Mob has long maintained power on the island (and beyond) with the help of omertà, a vow of silence and absolute refusal to cooperate with authorities. Most had expected Riina, 78, to take his secrets to the grave.
But leading Italian newspapers have reported that in two separate instances over the past few weeks, Riina has weighed in on open questions surrounding the Borsellino assassination. His surprise decision to talk comes as investigators in Caltanissetta, in central Sicily, have reopened a probe into lingering suspicions that members of the Italian intelligence services may have played a role in the July 1992 plot. Riina, communicating in the typically oblique language of Mafiosi, authorized his lawyer to pass on to reporters his claims that in fact the state was involved. Florence-based attorney Luca Cianferoni told La Repubblica newspaper on July 19 that Riina said, "They killed him," referring to Italian authorities. "Don't always look only at me. Also look inside yourselves."
The late 1980s and early 1990s were a tumultuous period in Italy. Bribery scandals eventually brought down much of the postwar political class. In Sicily, political corruption mixed with murder, as the Falcone and Borsellino assassinations were followed by Cosa Nostra's deadly bombings in Rome, Florence and Milan. Some Mafia experts believe the Mob's decision to take its battle to the mainland was a response to the breakdown in longstanding attempts by certain government authorities to negotiate a truce with mob leaders. Indeed, after Riina's years on the lam, his arrest, in broad daylight in central Palermo, was itself a sign to many that someone had been playing a double game. (Read a TIME cover story on the Mafia.)
According to newspaper reports, Riina has said little and maintains his vow of omertà by offering few hard facts. But the old boss clearly wants to influence the current probe and has met with investigators, to whom he reportedly promised to provide more detailed testimony on both the Falcone and Borsellino cases.
The reopening of the Borsellino case has prompted others to talk as well. Several top Italian government and law-enforcement officials involved in the early 1990s probes have given their version of events in interviews. Also speaking out was the son of the former mayor of Palermo, Vito Ciancimino, who was the local political link for the Corleonese clan. Massimo Ciancimino has reportedly revealed a portion of the contents of his late father's secret archives, which investigators hope can help solve a series of Mafia mysteries, including the state's alleged role in the Borsellino killing. (Read "Meet the Modern Mob.")
La Repubblica also reported that two former colleagues of the murdered magistrate recounted to investigators a meeting with Borsellino in Palermo shortly before his death during which he broke down in tears saying, "A friend has betrayed me, a friend has betrayed me."
But perhaps the most telling statements come from the family of the victim. Since his brother's murder, Salvatore Borsellino has kept his own poignant vow of silence. But the Milan-based engineer has now spoken out in a July 17 video interview on the website of Corriere della Sera, a Milan-based daily. Displaying a striking resemblance to his martyred kin, Borsellino says he is convinced the Mafia did not act alone. "My brother knew about the negotiations between the Mafia and the state, and this is why he was killed," Borsellino says. "There were government authorities who worked to prepare and carry out [the assassination]." The final history of this brutal chapter in Italy's past is in the hands of neither Borsellino's surviving relatives nor his convicted killers, of course, but his successors among the corps of Sicilian prosecutors.