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Home Documenti ''Battaglia ossessiva da quando le indagini e i processi toccano i nuovi potenti''
''Battaglia ossessiva da quando le indagini e i processi toccano i nuovi potenti'' PDF Stampa E-mail
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Scritto da Gemma Contin   
Sabato 12 Settembre 2009 16:30

Torino.
Intervista a Giancarlo Caselli, capo della Procura di Torino.


Gian Carlo Caselli è magistrato notissimo, oggi capo della Procura di Torino dove negli Anni Ottanta è stato giudice istruttore nei processi a Prima Linea e alle Brigate Rosse. Membro del Csm dal 1986 al 1990, nel gennaio del 1993 sbarcò a Palermo proprio il giorno dell'arresto di Totò Riina, subito dopo le uccisioni di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, subentrando nel ruolo già svolto da Antonino Caponnetto nel decennio precedente, teso a ripristinare e a rilanciare l'attività condivisa e il “metodo collegiale” adottato nel condurre le indagini dal pool antimafia, “inventato” e testato proprio a Torino contro il terrorismo.

Caselli ha diretto la Procura di Palermo fino al 1999, firmando tra l'altro, con procuratori aggiunti Roberto Scarpinato, Guido Lo Forte e Gioacchino Natoli, la richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti del senatore a vita Giulio Andreotti. Dopo l'esperienza palermitana è stato nominato direttore generale del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e, nel 2001, rappresentante a Bruxelles nell'organizzazione comunitaria contro la criminalità organizzata Eurojust. 




Dottor Caselli, cosa sta succedendo sul “pianeta Giustizia”, da scatenare attacchi così furibondi e fuori misura da parte dei vertici di governo?
Niente di sostanzialmente nuovo. Ormai sono oltre quindici anni che risuona sempre lo stesso ritornello. Da quando le indagini e i processi hanno toccato i “nuovi potenti”, questi hanno ingaggiato una battaglia ossessiva, fatta di leggi ad hoc e di quotidiana delegittimazione contro la magistratura, accusata addirittura di volere un “golpe” strisciante. Nasce di qui una delle maggiori anomalie italiane di questo ultimo quindicennio: il rifiuto del processo e la sua gestione come momento di scontro da parte di inquisiti “eccellenti” o di soggetti “forti”. Superfluo dire che queste strategie di contestazione del processo in sé (la cosiddetta difesa “dal” processo in luogo della difesa “nel” processo) nulla hanno a che vedere con un corretto sistema di legalità.



Siamo di fronte a un anticipo di quello che questa maggioranza intende per riforma?
La giustizia in Italia non funziona. I suoi tempi sono una vergogna, ma non si fa sostanzialmente nulla per rendere il sistema più efficiente. Le riforme in cantiere (Csm, rapporti pm-polizia giudiziaria, separazione delle carriere, obbligatorietà dell'azione penale, intercettazioni) non ridurranno neanche di un minuto la durata dei processi. Incideranno invece, per un verso o per l'altro, sulla indipendenza della magistratura. Una magistratura meno indipendente avrà minori potenzialità di controllo a 360 gradi, quindi anche nei confronti delle deviazioni di potere. Se nel contempo di registra una informazione non pluralista e scarsamente indipendente, ecco un intreccio perverso che mette a rischio la qualità della nostra democrazia.


Il nodo è proprio questo: sono in atto pesanti condizionamenti sull'informazione, sull'autonomia dei giudici e in particolare dei pm, e si attua la delegittimazione preventiva dell'obbligatorietà dell'azione penale, con quella sparata sui magistrati che sprecano il denaro pubblico in indagini inutili e “contro di noi”, ha detto Berlusconi. Non si introduce così l'idea che a dettare l'agenda di giornali e Procure debba essere l'esecutivo, o addirittura il capo dell'esecutivo?

Sono anni ormai che il presidente Berlusconi e i suoi epigoni si esibiscono in attacchi alla magistratura. La strategia è a geometria variabile, nel senso che l'esperienza di questi anni dimostra che gli attacchi possono riguardare qualunque magistrato, pubblico ministero o giudice, quale che sia la città in cui opera, ogni volta che abbia la “sfortuna” (questa è la parola giusta) di imbattersi in vicende delicate. Nello stesso mirino sono finito anch'io, insieme con i miei colleghi della Procura di Palermo, durante i miei anni di lavoro in questo ufficio. Nel settembre 2003 scrissi una lettera aperta al presidente Berlusconi, pubblicata integralmente dal quotidiano La Stampa di Torino, nella quale ponevo alcuni interrogativi che mi sembrano purtroppo ancora attuali: “E' giusto gettare pregiudizialmente fango su un magistrato solo perché indaga per fatti specifici un personaggio? E viceversa, è giusto applaudire, sempre e comunque, a prescindere, il magistrato che non fa nulla o assolve quell'imputato? 'Giustizia giusta' quando si tratta di personaggi 'di peso' è per definizione soltanto quella che assolve? Ragionando in questo modo non si sovvertono le regole fondamentali della giustizia? Non si incide sulla serenità di giudizio? Dove sta la linea di confine tra attacco e intimidazione?”. Concludevo la lettera osservando che fare questi ragionamenti, anche soltanto per difendersi da accuse ingiuste, costa fatica; ma tacere sarebbe sbagliato, posto che l'investitura popolare non dà a nessuno, neppure al presidente del Consiglio, il diritto di offendere, né, oggi posso aggiungere, caso unico al mondo, quello italiano, la mancanza di rispetto (pur nella critica) verso l'istituzione giudiziaria.


Lei ha  appena ricordato il suo lavoro alla Procura di Palermo, conosce quindi molto bene il dottor Ingroia e gi altri magistrati che lavorano in quell'Ufficio, impegnati tra l'altro, in questo momento, sul crinale delicatissimo della riapertura di indagini sulle stragi mafiose. Qual'è il suo giudizio sulle condizioni in cui operano e su quello che stanno facendo?

Chiunque abbia avuto a che fare con Antonio Ingroia o con Roberto Scarpinato sa che la loro correttezza professionale è assolutamente fuori discussione. Certo appartengono alla categoria dei magistrati che non si sottraggono al dovere di partecipare al dibattito politico-culturale. Ma un conto è questo dibattito politico-culturale condotto su questioni generali; tutt'altra cosa è il loro lavoro quotidiano, rispetto al quale la loro sensibilità istituzionale è straordinaria.





di Gemma Contin (fonte:
Liberazione e ANTIMAFIADuemila, 12 settembre 2009)





“An obsessive battle has begun since investigations and trials touch the new ruling class”

 

Torino.  Interview with Giancarlo Caselli, head of the Public Prosecution office of Torino.

Giancarlo Caselli is a well known magistrate.  He is head of the office of Public Prosecution of Torino. In the 80’s he worked as an investigating judge during trials which involved the Red Brigades. From 1986 to 1990 he was a member of the Superior Council of Magistrates (Csm). He arrived in Palermo in January 1993 on the exact day of Toto’ Riina’s arrest, right after Giovanni Falcone and Paolo Borsellino had been killed.  In succeeding Antonino Caponnetto’s ten year legacy Giancarlo Caselli would continue to re-establish and revitalize the common activities and “collective method” which had been adopted by the antimafia pool in conducting investigations. Such method was “invented” and tested in Torino during the battle against terrorism.

Caselli was head of the Public Prosecution office of Palermo until 1999.  He and prosecutors Roberto Scarpinato, Guido Lo Forte and Gioacchino Natoli signed a request to authorize investigations on senetor Giulio Andreotti. After his experience in Palermo Caselli was appointed general director of the Department of Penitentiary Administration.  In 2001 he became a representative of a European Community organization in Bruxelles against organized crime called: Eurojust.
 

Magistrate Caselli, what’s happening on “planet Justice”, what is triggering these furious and blown out of proportion attacks on behalf of the ruling class?

Nothing new under the sun. We’ve been hearing the same things for more than fifteen years. Since the new ruling class has become object of trials and investigations, these people have engaged in an obsessive battle made up of laws to fit their needs and a daily campaign to discredit magistrates who have even been accused of wanting a coup. This is how one of the biggest italian anomalities over the past fifteen years has come to life: the refusal of a trial and of its management intended as a moment of collision on behalf of  inquisited “excellencies”  or “powerful” individuals.  It is useless to say how these strategies of dispute with regards to the trial in itself ( the so called defence “from” the trial as opposed to defence”within” a trial) have nothing to do with a healthy and well functioning legislative system.


Are we infront of an anticipation of what this majority means when it speaks of a reform?

The italian legal system does not work.  It’s long waiting times are a shame and nothing is done to make the system more efficient.  Programmed reforms ( Superior Council of Magistrates, relationship between prosecutors and judiciary police, career seperation, compulsory penal action, interceptions) will not reduce trial times, not even for a minute. They  will however, bear an effect, in one way or another, on magistrates’ independence. Magistrates who are less independent will have less of a chance to control  situatuions on a 360 degree level, thus making them unable to investigate on power deviation. By the same tolken should we notice a non pluralist and a poorly independent information system, it becomes easy to see how such factors could give life to a  twisted and tangled plot which endangers the quality of our democracy.


This is the knot of the matter: the information system, judges-in particular prosecutors-are being heavily conditioned. Berlusconi discredits compulsory penal action by saying that magistrates waste public money in useless investigations “against us”.   Isn’t this the equivalent of introducing the idea that executive power or even the leader of the executive power should have control over newspapers and Prosecutors’ office agendas?

President Berlusconi and his similars have been attacking magistrates for years. The strategy is like variable geometry. This means that experience shows how the attacks can be inflicted on any magistrate, public prosecutor or judge, in whatever city he/she may be working in, each and every single time he/she is unfortunate (this is the right word) enough to run into delicate matters.  The same thing happened to my collegues in Palermo and I, throughout the years I worked in this office.  In September 2003 I wrote an open letter to president Berlusconi, which was published by the newspaper “La Stampa of Torino”.  In the letter I asked a few questions which are still sadly relevant today: “Is it right to descriminate a magistrate only because he is investigating a personality by relying on specific incidents? Viceversa, is it always correct to praise the magistrate who does not do a thing and assolves the defendant? If we reason in these terms are not the fundemental rules of justice turned upside down? Where do we draw the border line between the idea of an attack and intimidation?”.  I ended the letter by saying that: even if this kind of reasoning was only meant to defend oneself from unfair accusations and as tyring as it may be it remains necessary.  It would be wrong to keep quiet because nobody, not even the President has the right to insult, nor, may I add be unrespectful towards the legislative institution and, this makes of Italy, the only example of such behaviour in the entire world.


You just mentioned your work at the Public Prosecution office of Palermo. You must know magistrate Ingroia and his collegues very well for they work in that same office. In this moment they are once again opening very delicate investigations on the mafia massacres. What is your opinion with regards to the conditions in which they must work and on what they are doing?

Whomever has had anything to do with Antonio Ingroia or with Roberto Scarpinato knows that that their professionality cannot be questioned. Sure, they are magistrates who participate in  political-cultural debates.  But, it’s one thing to participate in political and cutural debates on a general level; they’re daily job is a totally different issue, for which they nurture an extraordinary institutional sensibility.


translation by Christina Pacella

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