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Salvatore Borsellino: "Dovevano parlare subito dopo la strage" PDF Stampa E-mail
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Scritto da Pierangelo Maurizio   
Domenica 11 Ottobre 2009 18:28

Il fratello del magistrato ucciso dalla mafia commenta le ultime rivelazioni sulla strage. "Credo in questi magistrati che vogliono andare fino in fondo". 
 

Ha visto che cosa l’ex ministro Vizzini ha dichiarato al Tempo?
«Sì, ho letto».

Dice che nel loro ultimo incontro, tre giorni prima della strage, Paolo si soffermò in particolare sui rapporti tra mafia e appalti...
«In quel tempo gli interessi di mio fratello erano concentrati sul nesso mafia-appalti. E su quella trattativa con lo Stato, io ripeto. Comunque nelle carte, nell’agenda grigia di Paolo. Ho anche trovato tracce di questi loro incontri. E vorrei chiedere a Vizzini se Paolo gli parlò del dossier che aveva appena ricevuto dal sindacalista Gioacchino Basile riguardo alle infiltrazioni del clan Galatolo nel porto di Palermo. Così...»


E che cosa pensa delle rivelazioni di Claudio Martelli che l'ex sindaco Ciancimino nel giugno del '92 si sarebbe offerto di collaborare in cambio di protezioni politiche?
«Penso quello che penso per Violante. Tante persone cominciano a ricordare cose che se avessero detto 16, 15 anni fa non ci troveremmo al punto in cui ci troviamo... Non vorrei che questi improvvisi sussulti di memoria avvengano ora, magari prima di essere sentiti da questi magistrati che stanno portando avanti le indagini adesso».

 
Salvatore Borsellino è il fratello del magistrato ucciso con la sua scorta a via d'Amelio il 19 luglio '92. Ingegnere in pensione, vive a Milano da 40 anni. E io mi scuso con questo uomo mite, ma dalla volontà ferrea di fare chiarezza, se non tutto di quanto mi ha raccontato mi sembra condivisibile. Perché a volte il dolore può far aggrappare a certezze che tali non sono. Ma ci sono due o tre cose che ripete e che vanno ascoltate. Da tempo insiste che vuole vedere nelle vesti di imputato Nicola Mancino, divenuto ministro dell'Interno poco dopo la strage di Capaci in cui furono uccisi Falcone, la moglie e tre agenti della scorta e poco prima che fosse ucciso Borsellino, attuale vicepresidente del Csm. Perché?
«Perché è reticente. Perché sull'incontro con mio fratello, il primo luglio del '92 a Roma, ha dato versioni inverosimili. Prima ha detto di non ricordarlo, l'incontro. Poi ha detto di averlo visto al ministero dell'Interno sì, ma di avergli solo stretto la mano. Cose diverse. Ogni tanto dice qualcosa in più. Se Paolo sull'agenda grigia al primo luglio scrive la parola "Mancino" è perché aveva un appuntamento preciso con lui. Un'agenda che compilava la sera, ora per ora con gli impegni della giornata, fino alla partenza da Fiumicino per tornare a Palermo».


L'agenda grigia è quella che non è sparita, il magistrato vi annotava gli appuntamenti. Ad essere scomparsa dopo l'attentato è invece l'agenda rossa, secondo l'opinione più diffusa - e Salvatore Borsellino l'ha fatta sua - perchè conteneva «i segreti sulla strage di Capaci» in cui fu ucciso Giovanni Falcone.
Ma Lino Jannuzzi su questo giornale ha acutamente osservato che è un'offesa per un servitore dello Stato come Paolo Borsellino pensare che potesse confinare «segreti» di quella portata in un diario senza tradurli in atti e provvedimenti giudiziari. E invece?

«Mancino ha sostenuto di non ricordare l'incontro perché non conosceva la fisionomia, fisicamente mio fratello, e Paolo non era uomo da andare ad omaggiare nessuno. È una menzogna. Dopo Falcone tutti si aspettavano che ammazzassero anche lui. Mancino, ministro dell'Interno, come fa a dire che non lo conosceva? Il suo predecessore al Viminale, Enzo Scotti, lo conosceva bene. Semmai sarebbe da chiedersi perché Scotti fu sostituito in fretta e furia...»

Cosa vuol dire?
«Che se Mancino sostiene ciò che non è credibile, sono portato a pensare che stia nascondendo qualcosa».


Da 3-4 anni Salvatore Borsellino - «ma è un'opinione personale» - si è convinto che quel giorno il fratello Paolo andò da Mancino a parlargli «della trattativa che i Ros avevano avviato con la criminalità organizzata per mettere fine all'offensiva stragista della mafia».
«In cambio lo Stato avrebbe dovuto ammorbidire i provvedimenti presi dopo la morte di Falcone. Con Paolo vivo quella trattativa non sarebbe andata avanti».


Ma ha l'onestà intellettuale di sottolineare che è «un'opinione personale». Al contrario di tanti mafiologi. Perché a distanza di anni e di molti processi la «trattativa» scellerata tra Stato e Antistato resta un teorema. Alla base del quale c'è il «papello» - ovvero l'elenco di richieste che sarebbe stato presentato dal boss Totò Riina - ma in origine lo ha visto e ne ha parlato solo Attilio Bolzoni di Repubblica, spalleggiato da Saverio Lodato dell'Unità, salvo poi non fare un'ottima figura nelle aule di giustizia una volta chiamati a darne conto. Aria fritta.
Ma torniamo ad ascoltare Salvatore Borsellino. Suo fratello lasciò trapelare qualcosa con i familiari?
«È quasi offensivo quello che mi sta chiedendo. Paolo era una persona seria, non parlava in casa del suo lavoro anche per la tutela dei familiari. Però aveva ripetuto più volte che avrebbe detto ciò che sapeva della strage di Capaci ai magistrati di Caltanissetta».


Ma non ne ha avuto il tempo?
«No, non ne ha avuto il tempo».


E bisogna seguire il ragionamento di quest'uomo che a distanza di 17 anni non ha visto diminuire, anzi, dolore e rabbia. Una rabbia, vissuta in modo molto borghese, molto composto, ma anche molto determinato.
«Vede, l'assassinio di Paolo era stato progettato dalla mafia ma non per quel momento. Come ha rivelato Giovanni Brusca (collaboratore di giustizia ndr) quando Riina disse che si doveva fare l'attentato di Capaci molti si opposero. Falcone era inviso all'interno della magistratura. Ma era molto sostenuto dall'opinione pubblica. La sua uccisione avrebbe provocato la reazione più forte dello Stato, come effettivamente fu».


Dopo il massacro di Capaci il Parlamento convertì in legge il cosiddetto decreto Falcone sui collaboratori di giustizia, furono trasferiti nelle carceri speciali 400 boss mafiosi.
«Nel luglio '92 non era alla mafia che interessava l'eliminazione di mio fratello. La mafia doveva fare un favore a qualcuno. Quello che è accaduto non possiamo stabilirlo né io né lei. Io ho fiducia nella magistratura, in questi magistrati che ora stanno dimostrando di voler andare in fondo. E allora si capirà perché altri giudici, altri magistrati non hanno voluto vedere, non hanno voluto accertare, non hanno voluto capire».

 


Pierangelo Maurizio (Il Tempo, 11 ottobre 2009)

Comments:

Commenti
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Christina P  - Here comes the sun   |2009-10-11 22:17:15
Caro Salvatore, pare,ma non e' incredibile che con tutte queste memorie
ritrovate, queste versioni dichiarate poi ritrattate e,in qualche caso anche
smentite che gli italiani non si siano accorti che il nostro paese e' in mano a
molti, troppi menzogneri. Uomini (e fatico a chiamarli uomini) che hanno ucciso
o hanno aiutato ad uccidere Paolo (per me e' la stessa cosa). Leggo la rassegna
stampa di Vanna e aspetto una reazione, una reazione forte da parte dei
cittadini di questo paese, aspetto che le mamme ed i papa' reagiscono almeno per
il bene dei figli. Aspetto. Ogni tanto , con la coda dell'occhio, scorgo una
piccola scintilla, che si spegne ancor prima che io possa dire di averla vista
davvero. A volte questo mi scoraggia ma poi, quell'Agenda Rossa posata sul
comodino, vicino al letto emana una luce tanto forte che la scintilla appena
percettibile diventa un sole che traccia la strada verso la verita'. Questo
sole, fino a poco tempo fa era coperto da nuvole pesanti e gonfie di incertezze
che sopprimevano ogni alito di speranza. E' vero, la reazione alle ingiustizie
portate da questo governo forse, tarda ad arrivare ma, quando un figlio porta
con se, all'insaputa della propria mamma un'Agenda Rossa a scuola per mostrarla
e spiegarla ai compagni di classe, allora, credo che possiamo permetterci un
timido grido di "vittoria".

Christina Pacella
SalvatoreB  - Commento inviato al Tempo   |2009-10-11 23:40:54
Con riferimento all'articolo in questione, per il quale ringrazio Pierangelo
Maurizio per la correttezza con la quale ha tiportato le mie risposte alle sua
domande, debbo però fare alcune precisazioni.
Sono un ingegnere, ho 67 anni ma
non sono in pensione, continuo a lavorare per potermi permettere di andare,
quasi sempre a mie spese, dovunque mi chiamino per manifestare la mia voglia di
Verià e di Giustizia.
Ripeto a mie spese e non a spese dello Stato come
sostiene Vittorio Sgarbi, da parte mia ho rifiutato anche la provisionale
assegnatami dallo Stato quale fratello di Paolo Borsellino, dallo Stato infatti
voglio prima di tutto giustizia.
Piuttosto che acute le affermazioni di Lino
Jannuzzi mi sembrano capziose e offensive prorio nei confronti di Paolo
Borsellino il quale sicuramente non si sarà limitato a "confinare segreti
di quella portata in un diario senza tradurli in atti giudiziari" ma ne
avrà sicuramente parlato sia con i diretti interessati , Mori e De Donno, sia
con i suoi superiori gerarchici, vedi Giammanco, sia con i più alti livelli
istituzionali, vedi Mancino, firmando così probabilmente la sua condanna a
morte.
Peraltro bisogna ricordare che più volte Paolo ha affermato che
aspettava di essere sentito dalla procura di Caltanissetta per
"testimoniare" sulla strage di Capaci ma non gliene deidero il tempo,
anzi probabilmente lo
uccisero proprio perchè questa "testimonianza"
non potesse avere luogo.
Che la trattativa tra mafia e stato resti un
"teorema" è una opinione che non condivido visto il significato che di
solito viene attribuito a questo termine, cioè quelle di un assunto per
dimostrare il quale si costruiscono prove piuttosto che ricercarle. I riscontri
che da più parti stanno venendo fuori rispetto all'esistenza di questa
trattativa dimostrano che così non è, potrebbe essere un mio "teorema"
il fatto che la trattatiuva sia stata la causa principale dell'eliminazione di
mio fratello, ma io sono sicuro che il tempo e le indagini condotte
da
magistrati validi e onesti come quelli che conducono "oggi" le
indagini a Palermo e a Caltanissetta mi daranno alla fine ragione
Christina P   |2009-10-11 23:58:01
Caro Salvatore, quel "teorema" mi dava un fastidio...
alexn8   |2009-10-12 00:42:26
Caro salvatore e tutti gli utenti...ma una curiosità nata dalla mia
ignoranza...
M per quale motivo in uno stato si pùò cambiare un ministro
dell'interno da un giorno all altro?
SalvatoreB   |2009-10-12 11:24:32
Non fu cambiato solo il ministro, in effetti cambiò tutto il governo ma,
contrariamente alla maggior parte degli altri ministri Scotti non fu
riconfermato al ministero degli Interni ma venne spostato al ministero degli
Esteri e sostituito agli Interni da Mancino.
Pereira50  - La trappola di Mancino   |2009-10-12 13:56:17
Il 19 luglio ero a Palermo con il mavimento di Aldo Pecora: Ammazzateci tutti,
purtroppo non ho potuto partecipare a Roma il 26 settembre.
C'è una lettera di
Mancino al Corriere della Sera molto importante nella quale in sostanza Mancino
confessa di aver teso una trappola a Paolo Borsellino:
lo ha convocato al
Viminale ma non si è fatto trovare, lo ha fatto incontrare con Parisi e
Contrada. Su questi argomenti ho scritto al Presidente della Repubblica la
lettera che allego.
Un caro saluto a Salvatore e a Rita e a tutti coloro che
scrivono e collaboano al sito.


AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

ON. GIORGIO NAPOLITANO
Palazzo
del Quirinale
00100 ROMA
Gentile Presidente,
Faccio
seguito alla lettera del 23 c.m. avendo nel frattempo avuto modo di esaminare la
lettera di Mancino al Corriere della sera del 17 luglio 2009, nella quale
riporta le parole di Mutolo per dimostrare che l’incontro non c’è stato, ma
non la convocazione al Viminale :
” Sai Gaspare, debbo smettere perché mi ha
telefonato il ministro, ma…..manco una mezzoretta e vengo “ Paolo Borsellino
è tranquillo, sereno; forse pensa che il Ministro vuole conoscerlo di persona,
domandargli come vanno le cose, dirgli di persona che apprezza lo sforzo che sta
facendo in quello momento triste, argli in una parola la cosiddetta “
solidarietà”, fare sapere a tutti pubblicamente che lo Stato è con lui, dare
un segnale alla mafia:

“ Quindi ( Paolo Borsellino) manca per qualche ora,
quaranta minuti, cioè all’incirca un’ora, e mi ricordo quando è venuto,
è venuto tutto arrabbiato agitato, preoccupato, ma che addirittura fumava così
distrattamente che aveva due sigarette in mano. Io, insomma non sapendo cosa…
Dottore, ma che cosa ha! E lui, molto preoccupato e serio, mi fa che viceversa
del Ministro si è incontrato con il Dott. Parisi e il Dott
Contrada“ .

Mancino conferma tutto il racconto di Mutolo in ogni suo
dettaglio.
Il Ministro convoca il giudice al Viminale, ma al Viminale, nella
sua stanza gli fa trovare, al posto suo, il Capo della polizia Parisi e il capo
della questura di Palermo Contrada.
Cosa hanno detto Parisi e Contrada a Paolo
Borsellino a nome del Ministro in quei quaranta minuti, lo hanno avvertito, lo
hanno minacciato, lo hanno avvertito e minacciato insieme, gli hanno chiesto
cosa dicevano i pentiti, di cosa stava dicendo Mutolo. Come si definisce la
circostanza in cui con una telefonata si convoca un incontro e poi si manda un
altro ? Perché Paolo Borsellino quando torna è così arrabbiato, agitato,
preoccupato. Non so dove e quanto Paolo Borsellino ha detto: “ Sto vedendo la
mafia in diretta”, Forse era così arrabbiato, agitato, preoccupato, Lui che
la mafia la conosceva eccome, perché l’aveva vista in diretta nell’ufficio
del Ministro degli Interni.
Contrada è stato condannato in via definitiva: dai
tabulati telefonici è stato accertato che Contrada seppe dell’eccidio di via
Amelio dopo ottanta secondi.
Ecco perché Nicola Mancino non
può restare al suo posto, Lei non può essere rappresentato da Nicola Mancino
al Consiglio Superiore della Magistratura, quella lettera è una confessione
piena.
ricordo di oggi. Ma l’incontro è un fatto certo, perché riferito da
chi accompagnò Borsellino sino all’anticamera del Ministro”.

Il 19 luglio ero a Palermo, in
Via D’Amelio, con i ragazzi di Ammazzateci tutti, qualche minuto prima
dell’ora fatidica in cui Paolo Borsellino con la sua scorta è saltato in
aria, si è arrivato il procuratore Lari, anche Lui aveva la mano alzata con
l’agenda Rossa, anche Lui è nel mirino, non lo lasci solo.
Nell’ultima
intervista a Giorgio Bocca Carlo Alberto dalla Chiesa ha spiegato nei dettagli
l’anatomia del delitti eccellenti:
IL CASO MATTARELLA

Senta generale, lei
ed io abbiamo la stessa età e abbiamo visto, sia pure da ottiche diverse, le
stesse vicende italiane, alcune prevedibili, altre assolutamente no. Per esempio
che il figlio di Bernardo Mattarella venisse ucciso dalla Mafia. Mattarella
junior è stato riempito di piombo mafioso. Cosa è successo, generale?

"E' accaduto questo: che il figlio, certamente consapevole di qualche
ombra avanzata nei confronti del padre, tutto ha fatto perché la sua attività
politica e l'impegno del suo lavoro come pubblico amministratore fossero esenti
da qualsiasi riserva. E quando lui ha dato chiara dimostrazione di questo suo
intento, ha trovato il piombo della Mafia. Ho fatto ricerche su questo fatto
nuovo: la Mafia che uccide i potenti, che alza il mirino ai signori del
"palazzo". Credo di aver capito la nuova regola del gioco: si uccide il
potente quando avviene questa combinazione fatale, è diventato troppo
pericoloso ma si può uccidere perché è isolato".

Mi spieghi meglio.

"Il caso di Mattarella è ancora oscuro, si procede per ipotesi. Forse
aveva intuito che qualche potere locale tendeva a prevaricare la linearità
dell'amministrazione. Anche nella DC aveva più di un nemico. Ma l'esempio più
chiaro è quello del procuratore Costa, che potrebbe essere la copia conforme
del caso Coco".

Lei dice che fra filosofia mafiosa e filosofia brigatista
esistono affinità elettive?
"Direi di si. Costa diventa troppo pericoloso
quando decide, contro la maggioranza della procura, di rinviare a giudizio gli
Inzerillo e gli Spatola. Ma è isolato, dunque può essere ucciso, cancellato
come un corpo estraneo. Così è stato per Coco: magistratura, opinione pubblica
e anche voi garantisti eravate favorevoli al cambio fra Sossi e quelli della
XXII ottobre. Coco disse no. E fu ammazzato".
Non
aspetti quaranta anni.
Mandi al Paese un segnale
nuovo,forte, chiaro, inequivocabile: che lo Stato è forte e credibile e che sa
sopportare la verità e non rinuncia a se stesso e non è spaventato. Mancino
non può restare al suo posto. Il Paese questo si aspetta .
Con infinito
affetto e stima, che Dio La guardi.
Mitt. Spinelli Francesco –
Vico 3°
Marconi 12 Falerna CZ
Pereira50@live.it
rdiesse  - i dubbi di Basile   |2009-10-15 01:41:47
Caro Salvatore,
proprio ora,dopo 17 anni,un sacco di gente prima smemorata e
imprecisa comincia a ricordare che qualcosa di strano successe allora tra pezzi
dello stato (...sempre pezzi dello stato...)e criminali. Ma queste cose non le
sta gridando Basile da 20 anni? E Vizzini lo sta confermando,con il suo silenzio
alla domanda che Lei gli pone. So che per un tratto importante di strada la sua
battaglia è stata condivisa con Basile, poi non più. Ma non è opportuno che
gli uomini probi rimangano uniti per dare più forza alla loro testimonianza?

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