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Ferraro: «Dissi a Borsellino dei contatti tra i carabinieri e Ciancimino» PDF Stampa E-mail
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Scritto da Giovanni Bianconi   
Giovedì 15 Ottobre 2009 11:16
Liliana Ferraro (fonte Corriere della Sera)ROMA - Paolo Borsellino seppe che i carabinieri avevano agganciato Vito Ciancimino per una sua possibile collabora­zione il 28 giugno 1992, ultima domenica del mese, all’aeropor­to di Fiumicino, mentre torna­va da Bari e aspettava il volo per Palermo. Glielo disse Lilia­na Ferraro, la collaboratrice di Giovanni Falcone che ne prese il posto al fianco del ministro della Giustizia Martelli dopo la strage di Capaci. A lei l’aveva ri­ferito proprio l’ufficiale dell’Ar­ma che aveva preso contatto con l’ex sindaco mafioso: il ca­pitano Giuseppe De Donno, il quale — attraverso la Ferraro — voleva informare lo stesso Guardasigilli. Forse perché per «trattare» con Ciancimino, vici­nissimo ai corleonesi Riina e Provenzano, c’era bisogno di «garanzie politiche», come rac­conta Martelli.

Una ricostruzione negata dai carabinieri, tanto che l’ormai ex capitano De Donno s’è già ri­volto a un avvocato per intra­prendere ogni possibile iniziati­va a sua tutela. Sostiene di non aver mai parlato con Liliana Ferraro dei suoi colloqui con Ciancimino, che per lui vestiva i panni del semplice «confiden­te ». Ma ieri la testimone ha con­fermato tutto ai magistrati di Caltanissetta e Palermo che in­dagano sulle stragi del ’92 e sul­l’ipotetica trattativa tra Stato e mafia. Precisando che della cir­costanza parlò già nel 2002 col pubblico ministero fiorentino Gabriele Chelazzi che indagava sulle stragi del ’93. Quando De Donno andò a trovarla — ha ricordato ieri la Ferraro — era sconvolto per la morte di Falcone avvenuta cir­ca un mese prima, era in cerca di nuovi riferimenti giudiziari per le indagini, e lei lo invitò ad affidarsi a Borsellino, al­l’epoca procuratore aggiunto di Palermo.

 

Pochi giorni dopo, a Fiumicino, la stessa Ferraro ri­ferì a Borsellino il colloquio con l’ufficiale dell’Arma, avve­nuto su richiesta del magistra­to che aveva annotato il nome «Ferraro» sulla sua agenda gri­gia. Con lui c’era la moglie Agnese, la quale già nel 1995 aveva parlato dell’incontro da­vanti alla Corte d’assise. Non disse di che parlarono, perché non aveva assistito alla conversazione, ma nei giorni scorsi — in una testimonianza resa ai pubblici ministeri di Cal­tanissetta — ha aggiunto un particolare che potrebbe legar­si alle ultime novità emerse. Agnese Borsellino ha rivelato che pochi giorni prima di mori­re nella strage di via D’Amelio (19 luglio ’92), suo marito le confidò di aver maturato dei dubbi sul generale dei carabi­nieri Antonio Subranni, all’epo­ca comandante del Ros, il rag­gruppamento speciale di cui fa­cevano parte De Donno e l’allo­ra colonnello Mori, cioè i due carabinieri che avevano aggan­ciato Ciancimino. Subranni era dunque il supe­riore informato da De Donno e Mori dei colloqui avviati con l’ex sindaco. I due hanno sem­pre sostenuto che fuori dell’Ar­ma non dissero nulla a nessu­no fino all’arresto dello stesso Ciancimino, avvenuto all’inizio del ’93. Ora s’inseriscono altre ricostruzioni che potrebbero ar­rivare a riscrivere la storia di quella drammatica estate di di­ciassette anni fa.

Giovanni Bianconi (dal Corriere della Sera, 15 ottobre 2009)


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