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La «riforma» di Cosa Nostra, il papello e quelle leggi sulla giustizia in Italia PDF Stampa E-mail
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Scritto da Nicola Biondo   
Lunedì 19 Ottobre 2009 11:33
«Stiamo indagando su dieci anni di trattativa» dice all’Unità il Pm palermitano Nino Di Matteo a poche ore dalla consegna del Papello. Dieci anni il cui inizio è la strage di Capaci, maggio ’92, e la cui fine, o meglio punto di svolta, è il proclama di Leoluca Bagarella del luglio 2002 indirizzato alle forze politiche. Nel mezzo c’è il sangue di Borsellino e Falcone e delle vittime delle stragi del ’93, a Milano e Firenze, e un grande sforzo investigativo di magistratura e forze di polizia come mai era avvenuto in passato. Ma anche molte, troppe, aree grigie e un sensibile mutamento di clima intorno alla lotta antimafia. La trattativa insomma èun workin progress,nonsi esaurisce, secondo gli investigatori, al papello o agli scritti di Vito Ciancimino ma va oltre.

COME FINÌ LA TRATTATIVA?

La prima domanda che gli investigatori si pongono è se e quali punti del papello hanno avuto effettiva realizzazione in questa «lunga trattativa». La revisione del maxiprocesso ad esempio non è mai stata all’ordine del giorno. Negli ultimi anni però sono state molte le proposte di legge presentate per ottenere nuove norme per la revisione dei processi da ancorare, secondo unodei promotori Gaetano Pecorella – avvocato del premier – alle sentenze della Corte europea. Per quanto riguarda il 41bis e la legge sui pentiti è sotto gli occhi di tutti che le nuove leggi non garantiscono più buoni risultati. L’isolamento dei boss è ormai un ricordo del passato e la legge sui pentiti ha ottenuto un unico risultato: da anni ormai non si pente quasi più nessuno. Sulla revisione della legge Rognoni-La Torre basta dire che sono migliaia ogni anno i beni confiscati che non vengono riutilizzati, come denuncia da tempo la Agenzia del demanio. Le richieste di Riina contemplano anche la possibilità di dissociarsi da Cosa nostra, una exit strategy che garantirebbe la possibilità di accedere ai benefici carcerari senza l’obbligo di rivelare nulla. Una idea che ha fatto capolino più volte nelle aule parlamentari e per la quale ha mostrato interesse finanche un alto magistrato come Giovanni Tinebra, ex-capo della procura di Caltanissetta. La chiusura dei super carceri, comequelli dell’Asinara, è ormai invece una realtà. Mentre la trattativa progrediva è poi arrivata la riforma del c.d. «giusto- processo» che permette la scelta del silenzio ai testi o ai collaboratori mentre nessuna disposizione è stava varata per tutelare chi testimonia nei processi di mafia.

LA RIFORMA DI COSA NOSTRA

I dodici punti del papello, di cui questi sono i nodi essenziali, rivelano la grande riforma della giustizia di Cosa Nostra.Chenon puònon ricordare i temi dell’agenda dell’attuale governo. Di chi in fondo in nome di un garantismo disinvolto vorrebbe i magistrati sottoposti a forme di controllo e le indagini depotenziate con l’abolizione delle intercettazioni. Binu Provenzano lo aveva promesso al popolo di Cosa Nostra consumato dalla politica delle stragi: «Servono dieci anni per tornare all’antica». L’orizzonte della trattativa sarebbe stato allora «più ampio»: far nascere una nuova mafia in un nuovo Stato. In questo senso il papello di Riina nasce «vecchio» perché il suo alter ego Provenzano lo ha emendato e in parte realizzato, nella previsione diunarimozione collettiva del problema mafia. E si arriva così al redde rationem, a quel proclama di Bagarella del 2002 che accusa gli avvocati diventati parlamentari di non occuparsi più dei loro clienti mafiosi, che tira in ballo le forze politiche che giocano «sulla pelle dei detenuti». Una dichiarazione di guerra contro il patto di Provenzano che vedrà la sua manifestazione più clamorosa inuno striscione apparso pochi mesi dopo allo stadio di Palermo: «Uniti contro il 41bis, Berlusconi dimentica la Sicilia». Ci sono tappe visibili e meno visibili di questa trattativa. Unasicuramente è la scandalosa latitanza di don Binu: secondo la Procura di Palermo andrebbe addebitata proprio ad uno dei protagonisti della trattativa con Ciancimino, il generale Mario Mori oggi sotto processo per avere omesso di catturare il padrino pur essendo a conoscenza di uno dei luoghi che abitualmente frequentava fino al 2001. Processo che riprende martedì prossimo con l’audizione di LucianoViolante.

Fonte:
l'Unità (Nicola Biondo, 18 ottobre 2009)

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