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Scritto da Antonio Massari   
Martedì 17 Novembre 2009 18:46
Il capo della Security dietro ad un sistema per confondere le indagini

Un sistema congegnato per coprire alcune utenze telefoniche, affidate anche a uomini delle istituzioni, e mirato a confondere le indagini delle procure: questo il sospetto degli inquirenti di Crotone, supportato dalle dichiarazioni di un maggiore dei carabinieri indagato. È per questo che il pm Pierpaolo Bruni (nella foto a sinistra, ndr), nei giorni scorsi, ha disposto l’ispezione della Wind. Il principale sospettato, come vedremo, il direttore della Security Wind: Salvatore Cirafici. Parliamo dell’uomo che, come scrive la procura di Crotone, è “responsabile dell’organizzazione, gestione e adempimenti (...) delle richieste di intercettazioni telefoniche, di informazioni e ogni altra prestazione obbligatoria richiesta dall'Autorità Giudiziaria e dalle forze dell'ordine”.

Se il sospetto della procura venisse confermato, quindi, saremmo dinanzi al più grande scandalo che abbia mai coinvolto una compagnia telefonica italiana: attraverso le schede Wind, Cirafici avrebbe potuto creare buchi nelle inchieste di tutt’Italia. A partire dall’ormai famosa Why Not. Inclusi i rivoli che, due anni fa, hanno coinvolto il consulente informatico, Gioacchino Genchi. A spiegarlo, interrogato, il maggiore dei Carabinieri Enrico Grazioli. A sua volta indagato, sempre da Bruni, per rivelazione del segreto istruttorio e favoreggiamento. Dichiarazioni talmente delicate che lo stesso Grazioli, durante l’interrogatorio, fa mettere a verbale: “Adesso temo per la mia incolumità personale”.


I timori di Cirafici

Genchi avrebbe scoperto, attraverso le sue perizie, fatti inquietanti. Dice Grazioli: “Conoscevo Cirafici sin dal corso nei Carabinieri. Ci siamo persi di vista per più di dieci anni, per poi rincontrarci in occasione della perquisizione disposta dalla Procura Generale di Catanzaro nei confronti di Gioacchino Genchi (...). Fu lui a contattarmi (..) più volte mi manifestò il disappunto e la sua ira, poiché erano emersi dei contatti, nelle consulenze di Genchi, tra lui omissis e altri soggetti - anche Istituzionali - dei quali ora non ricordo i nomi (...) Mi lesse qualcosa di scritto (...) dove erano indicate le convergenze investigative tra le utenze di Cirafici e quelli di terzi con lui in contatto telefonico. Cosa temeva Cirafici?


Schede coperte e irraggiungibili per i pm

Ecco la versione di Grazioli: “Il timore paventato dal Cirafici era determinato dal fatto che aveva a cagione del suo ruolo presso la Wind la disponibilità di schede telefoniche Wind non intestate e non riconducibili ad alcuno: erano quindi delle schede coperte, pertanto di pressoché impossibile riconducibilità a un soggetto, qualora fosse stata inoltrata specifica richiesta di intestatario da parte dell’Autorità Giudiziaria”. Ma c’è di più. Ed è sempre Grazioli a parlarne. “Ulteriore, e ben più grande timore del Cirafici, sempre verso le indagini di cui alla consulenza di Genchi, era determinato dal fatto che la tipologia di schede Wind di cui sopra, fossero state da lui consegnate e date per l’uso anche a soggetti ricoprenti ruoli istituzionali di primo piano. Quindi temeva che, dagli accertamenti curati dal consulente Genchi, si potessero svelare e far emergere tali gravi circostanze e le sue relative responsabilità”.


L’uso strumentale: confondere le procure

Il sospetto peggiore il seguente. “Non posso escludere, continua Grazioli, che questo suo sistema (...) di disporre (...) di una serie di SIM cards su cui attestare numeri telefonici, insomma di renderle fruibili per effettuare chiamate ma non attribuibili a un soggetto, fosse congegnato in modo tale da non solo rendere impossibile di risalire alle utenze ma anche strumentale a confondere eventuali accertamenti disposti dall’Autorità Giudiziaria (...)”


Il caso Genchi, Why Not, i contatti con carabinieri e procura di Catanzaro.
“Cirafici - prosegue Grazioli nel suo interrogatorio - si rivolgeva a me, e talora nel mio ufficio, per avere informazioni sulle attività susseguenti alla perquisizione fatta a Genchi
(nella foto a sinistra, ndr): voleva conoscere le nostre eventuali risultanze delle investigazioni su Genchi e in particolare era preoccupato, e voleva sapere se erano stati acquisiti ulteriori e diversi contatti telefonici tra lui, Cirafici, e terzi, contatti evidentemente non conosciuti dalla stampa. So che andato anche in Procura a chiedere informazioni, ma non mi ha chiesto di accompagnarlo perché sapeva già a chi rivolgersi. Mi chiedeva inoltre a che punto fosse la denuncia che lui aveva presentato al Pm De Tommasi contro Genchi, e mi rappresentava l’auspicio che la sua denuncia (...) venisse trattata dalla Procura Generale, congiuntamente alla più ampia indagine Why Not”. Ulteriormente inquietante, il quadro delineato dal maggiore Grazioli, poiché fu egli stesso a far visita a Genchi. “Questo desiderio, prosegue Grazioli, me lo espresse subito dopo le perquisizioni fatte a Genchi, in Palermo, ove andai anchio in qualità di Pg delegata. Era chiaro che Cirafici avesse paura di quello che Genchi poteva fare, o meglio che avrebbe potuto disvelare, sul suo conto e sul conto di altri che evidentemente erano a lui collegati”. Non sappiamo quali esiti abbia avuto l’ispezione di Bruni alla Wind, resta il fatto, però, che lo scenario delineato dal maggiore Grazioli davvero inquietante, e potrebbe peggiorare la situazione di Cirafici che, al momento, risulta indagato per aver rivelato, proprio al maggiore Grazioli, che era sottoposto ad attività intercettiva e investigativa da parte della procura di Crotone aiutandolo a eludere le investigazioni. Informazioni che avrebbe ottenuto proprio in qualità di direttore della security Wind. Ma come arriva, il pm Bruni, a Cirafici e a questa mole di sospetti? Il pm crotonese individua, tra le utenze che parlano con Grazioli, e che sono quindi intercettate, un numero Wind. Essendo intercettato, il numero deve essere sicuramente attivo, anche perchè la procura sente Grazioli parlare, in diretta, con l’intestatario dell’utenza in questione. Avanzata la richiesta alla Wind e chiedendo a chi fosse intestato quel numero, la risposta della compagnia telefonica, almeno in un primo momento, fu la seguente: “numero disattivo”.

Il fatto insospettisce la procura e la polizia giudiziaria che, successivamente, viene a sapere, sempre dalla Wind, che l’utenza è intestata a Cirafici. Scrive Bruni: “Certo che quell’utenza, per cui si  (era, ndr) chiesto l’intestatario, probabilmente coperta, celata, magari non censita, ovvero non consultabile con i sistemi Wind-Ag, almeno non con quelli gestiti dagli operatori che curano i contatti con la Autorità giudiziaria”.

E ancora: “Il dato fornito con la prima risposta inviata via e-mail dalla Wind assolutamente fuorviante, di conseguenza falso. (...). Desta preoccupazione ritenere che, senza quell’intercettazione in corso, magari estrapolando quel numero da un’agenda, una rubrica, un vecchio tabulato, ecc., con l’esigenza di addivenirne all’intestatario, ma ottenuto il Disattivo, avrebbe fatto fede questo dato, così da cagionare nocumento alle attività di Giustizia”.


Antonio Massari (il Fatto Quotidiano, 17 novembre 2009)

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