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Scritto da Pietro Orsatti   
Sabato 28 Novembre 2009 20:54
altContinua a parlare Spatuzza, che sarà in aula il 4 dicembre nel processo a Dell’Utri. Ma non è il solo. Parlano anche i suoi vecchi capi, i fratelli Graviano che, pur non pentendosi, dicono di «rispettarlo».

Parlerà nell’ambito del processo a Marcello Dell’Utri il 4 dicembre a Torino. La scelta di sentire il pentito Gaspare Spatuzza nella città piemontese è dovuta a ragioni di sicurezza. Quindi, la corte di Palermo sarà obbligata a una trasferta che si preannuncia evento, perché al mafioso di Brancaccio, assassino di padre Puglisi e stragista a partire dall’attentato di via D’Amelio, sarà chiesto di raccontare delle testimonianze rilasciate in questi mesi che chiamano in causa Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi. Quindi del presunto ruolo che i due imprenditori e successivamente uomini politici avrebbero avuto nella cosiddetta seconda fase della trattativa fra Stato e Cosa nostra durante il periodo delle stragi del ’93. Intanto le dichiarazioni di Spatuzza, in particolare quelle relative alla strage del 19 luglio 1992 di cui si autoaccusa, sono state confermate – aumentando di conseguenza la credibilità del teste – dal dichiarante (ancora non pentito) Vittorio Tutino, uomo della cosca palermitana di Brancaccio, che nel corso di un interrogatorio a Caltanissetta, davanti ai magistrati del pool che indaga proprio sulle stragi del ’92, ha fornito una versione coincidente con quella, appunto, di Gaspare Spatuzza, confermando agli inquirenti di aver preso parte ai preparativi della strage Borsellino, fornendo l’auto, poi imbottita di esplosivo e posteggiata sotto casa della madre del giudice in via D’Amelio. L’ex soldato del mandamento di Brancaccio, già condannato a 28 anni per le autobombe del ’93, ha confermato di aver agito assieme a Spatuzza. Fin qui la parte relativa all’omicidio Borsellino.

Per Spatuzza però la situazione si complica per quanto riguarda le sue dichiarazioni nei confronti di Dell’Utri. Iniziando da Tutino che, chiamato a parlare dalla Procura di Caltanissetta della dinamica sulla strage del luglio ’92, non ha confermato la testimonianza rilasciata dal killer di Brancaccio su altri aspetti di quegli anni. Invece, si è tenuto un confronto, gestito dalla Procura di Firenze, fra Filippo Graviano e lo stesso Spatuzza che sostiene che tra Giuseppe e Filippo Graviano (capi del mandamento di Brancaccio a Palermo), Berlusconi e Dell’Utri, ci furono «contatti diretti» e ripetuti. Per ottenere, ipotizza il pentito, una copertura politica dei piani stragisti. Secondo la tesi del pentito, le stragi vennero eseguite per poi fare apparire alcuni ambiti politici, indicati come “vicini” a Cosa nostra, come chi le avrebbe fatte cessare. Spatuzza riconosce che si tratta di una sua deduzione ma conferma di essere certo che i Graviano abbiano trattato direttamente con questi ambienti politici.

Per quanto riguarda invece il confronto fra Spatuzza e Filippo Graviano, il boss ha dichiarato più volte di non avere nulla contro il suo ex sottoposto, e conferma alcuni fatti storici e i colloqui con lui avuti («dovevamo fare una scelta di legalità, per noi e per i nostri figli») ma lo smentisce circa i propri intenti di parlare con i pm se la politica non avesse rispettato i patti, riferendosi perciò proprio all’incontro nel carcere di Tolmezzo e riportato ai pm dal pentito. Sono i toni del confronto che stupiscono. Graviano infatti ammette che in carcere di «dissociazione» e di un’ipotetica «vita di legalità» lui e Gaspare avevano effettivamente parlato. Poi si lascia sfuggire un «mi dispiace dovermi trovare in contraddizione con te, ti auguro tutto il bene del mondo, non ho niente contro le tue scelte. Sono contento che tu abbia ritrovato la pace interiore. Non ho nulla contro di te, né contro la tua collaborazione». E poi il colpo di teatro, per chi sa leggere nel linguaggio mafioso: «Non ti dico che stai mentendo, ti dico che io le cose non le ho dette». Quindi? C’è anche un altro dettaglio che ci aiuta a capire queste battute di Filippo Graviano. E non è un dettaglio da poco. L’altro fratello Graviano, Giuseppe, nel processo contro l’ex senatore Dc Enzo Inzerillo (imputato di mafia a Palermo e indagato per le stragi a Firenze ma poi archiviato da questa seconda accusa), aveva dichiarato di «rispettare» Spatuzza. Nonostante respingesse tutte le dichiarazioni che lo riguardavano rese dall’accusatore del senatore del Pdl sotto processo per concorso esterno in associazione mafiosa.

Quel termine, «rispetto», ha per un mafioso del calibro di Giuseppe Graviano un peso specifico che va ben oltre al senso letterale del termine. Qui si parla di rispetto fra uomini d’onore. Ed è quindi anche emblematico che, mentre Spatuzza sta affrontando il percorso per ottenere la totale copertura offerta dalla normativa sui collaboratori di giustizia, i fratelli Graviano non sembrano finora avere alcuna intenzione di “collaborare”. E quindi, ancora di più, quel «rispetto» pesa. E anche i magistrati ne sono rimasti particolarmente impressionati. Spatuzza per Giuseppe Graviano non è un “infame”, un “traditore” ma un uomo d’onore che merita «rispetto». Questa o è una rivoluzione (si tratterebbe del primo caso in assoluto nella storia di Cosa nostra di un atteggiamento simile verso un pentito), oppure Spatuzza non è un normale pentito, anzi forse è solo un portavoce di un pezzo di quell’organizzazione che avrebbe deciso di trattare con la giustizia. Il confronto fra Filippo Graviano e Gaspare Spatuzza apre una fase nuova, comunque. Ora l’accusa del processo a Dell’Utri ha chiesto di acquisire anche l’interrogatorio del pentito Salvatore Grigoli, l’assassino reo confesso di padre Pino Puglisi. La richiesta è stata avanzata dal procuratore capo di Palermo alla Corte d’appello. Sempre il pg Antonino Gatto ha depositato presso la sua segreteria, a disposizione della difesa, 29 nuovi atti, tra cui i verbali dell’interrogatorio del pentito Gaspare Spatuzza e il confronto tra lo stesso Spatuzza e Filippo Graviano. Per la difesa di Dell’Utri, che era riuscita a far respingere l’eventualità di una deposizione di Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco di Palermo, e dichiarante sia sulla vicenda della trattativa che sui tanti intrecci che coinvolgerebbero anche il senatore del Pdl alla vigilia della nascita di Forza Italia, è un duro colpo. E il ruolo che assume questo “dichiarante” che sta riaprendo processi del peso di quelli sulle stragi del ’92 e del ’93 e quello sulla trattativa fra Stato e mafia, diventa un fattore determinante nelle paure giudiziarie di un gran pezzo della politica italiana.

Pietro Orsatti
(da Left/avvenimenti)

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