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Salvatore Borsellino: “Dopo via D’Amelio se ne parlò molto, ma poi scese il silenzio” PDF Stampa E-mail
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Scritto da Fabrizio Colarieti   
Venerdì 22 Gennaio 2010 11:47
“A tutti i miei amici e compagni di lotta delle agende rosse, nel 2009 abbiamo fatto insieme tanta strada ma il 2010 sarà un anno di lotta ancora più duro. So che mi sarete sempre vicini fino a quando Paolo non avrà giustizia e la verità sulle stragi non sarà svelata”. E’ il testo di un sms davvero insolito, inviato, poco prima della mezzanotte del 31 dicembre, da Salvatore Borsellino.

Quando gli parlano di “faccia di mostro”, il fratello instancabile e coraggioso del giudice ucciso in via D’Amelio il 19 luglio di diciotto anni fa, salta sulla sedia. “Dalle ultime notizie che ho pare che faccia da mostro sia morto, - dice Salvatore Borsellino nel corso di una lunga telefonata a Il Punto – ma sono sicuramente notizie molto vaghe. Ricordo che di lui se ne parlò molto, proprio immediatamente dopo la strage di via D’Amelio, dopodiché, su questa storia, è caduto il silenzio, non se n’è più parlato. E’ assurdo che una persona di questo tipo, ben individuabile, proprio per le sue caratteristiche fisiche, non risulti ancora identificata anagraficamente. E’ impossibile – continua – che in quasi diciotto anni di questa persona esista solo un identikit. E’ evidente che non c’è stata abbastanza determinazione nell’indagare. Se dovesse uscire fuori il suo nome, o in presenza di prove fotografiche, lo coprirebbero con il segreto di Stato. Come sono certo che se venisse fuori una fotografia che mostra la persona che dal castello Utveggio ha premuto il telecomando per far saltare in aria Paolo e la sua scorta le cose non andrebbero avanti. Stesso discorso per chi ha sottratto dalla borsa di mio fratello l’agenda rossa.

Purtroppo per questa strage, come per tante altre cose italiane, c’è un punto che non si deve superare, quel punto è proprio il coinvolgimento in questi fatti dei Servizi e di pezzi deviati dello Stato. Del resto se le indagini del consulente Gioacchino Genchi all’epoca delle stragi, quelle sulla base del Sisde sul castello Utveggio e sui relativi riscontri telefonici, non fossero state bloccate oggi sapremmo tante cose in più. Massimo Ciancimino mi è sembrato una persona che vuole collaborare con lo Stato, anche se magari ha adoperato metodi inusuali e centellinando le consegne di documenti di cui era in possesso. Ritengo che sia mosso da una volontà sincera di collaborare. Le acque si stanno muovendo dopo anni e anni di silenzio, ci sono magistrati – afferma ancora il fratello del giudice Borsellino – come Lari, Ingroia, Di Matteo e Scarpinato, che con grande determinazione stanno mandando avanti queste nuove indagini anche grazie all’ausilio di collaboratori di giustizia come Ciancimino. Perciò ho una sensibile speranza che si possa arrivare a conoscere qualcosa in più, anche se c’è il pericolo che qualcuno fermi questi giudici, con metodi cruenti, come avvenne a Paolo e Giovanni, oppure con i metodi che si adoperano oggi, che sono altrettanto traumatici. Purtroppo, come dice il pm Antonio Ingroia, se l’Italia volesse sapere certe cose, certe cose si conoscerebbero. Ma non c’è la volontà di arrivare alla verità. La gente purtroppo è rassegnata. Faccio quello che posso – chiosa Salvatore Borsellino -, ma è l’opera di chi combatte i carri armati con l’arco e le frecce”.


Fabrizio Colarieti (tratto dal settimanale di informazione www.ilpuntontc.it, 21 gennaio 2010)
 
 

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