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Indulto e Amnistia, due provvedimenti voluti da Provenzano PDF Stampa E-mail
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Scritto da Silvia Cordella   
Mercoledì 03 Febbraio 2010 00:20
Nel secondo giorno d’interrogatorio Massimo Ciancimino è stato escusso dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia in merito ai pizzini acquisiti al fascicolo del dibattimento e consegnati dallo stesso Ciancimino alla Procura di Palermo tra novembre e dicembre dello scorso anno.

Si tratta, in particolare, di tre missive inviate da Provenzano a don Vito Ciancimino nel 1992 e nel 2001 e recuperate da suo figlio Massimo nella casa di via S. Sebastianello, a Roma, dopo la morte del padre. “Carissimo ingegnere, ho ricevuto la notizia che ha ritirato la ricetta (il papello) dal caro dottore (Antonino Cinà)…  credo che è il momento che tutti facciamo uno sforzo (per alleggerire le richieste di Riina), come già ci eravamo parlati al nostro ultimo incontro, il nostro amico (Riina) è molto pressato (dall’Architetto), speriamo che la risposta ci arrivi per tempo (prima di una nuova strage), se ci fosse il tempo per parlarne noi due insieme. Io so che è una buona usanza in lei andare al Cimitero per il compleanno del padre suo si ricorda, me ne parlò lei, potremo vederci per rivolgere insieme una preghiera a Dio o come l’altra volta, per comodità sua, da nostro amico OMISSIS  bisogna saperlo, perché a noi ci vuole tempo per  organizzarci”. Un biglietto, secondo Massimo Ciancimino, riferibile ai primi di luglio ’92, dopo la consegna delle richieste che Riina inoltrò allo Stato attraverso il dottore Antonino Cinà e che giunse attraverso l’ex sindaco di Palermo ai carabinieri.

Don Vito allora si era indignato perché quelle richieste sarebbero state politicamente impraticabili. Per questo parlò con Provenzano mettendolo di fonte alle sue responsabilità (“anche tu hai contribuito con le tue scelte a creare questo mostro”) chiedendogli di mediare il punto di vista del suo compaesano al quale “gli era stata riempita la testa di minchiate” da un personaggio “che lo aizzava a proseguire la strategia stragista” e che Ciancimino ha definito come “l’architetto”, un personaggio legato ai servizi di cui si conosce ancora poco. Per questo nel biglietto consegnato da Massimo Ciancimino ai magistrati si allude a una fantomatica “ricetta”. Il cosiddetto “papello” di Riina per il quale Provenzano, su consiglio di don Vito e del Signor Franco, avrebbe dovuto mitigare il contenuto. Da lì la stesura da parte di Vito Ciancimino di una lista contenente le controproposte in alternativa al papello che don Vito avrebbe dovuto sottoporre a Riina e ai carabinieri per cercare di portare a buon fine quella trattativa che era stata avviata dal Ros per la cattura dei latitanti.
In quei punti stilati a mano l’ex sindaco corleonese prevedeva la nascita di un partito capace di raccogliere un bacino di voti ereditati dalla vecchia Dc siciliana per poter tradurre in leggi le richieste più accomodanti per Cosa Nostra. Un progetto che però non andò mai in porto come quello di bloccare la ferocia di Riina il quale, perseverando nella sua linea violenta, organizzava in tutta fretta l’attentato di via d’Amelio al giudice Paolo Borsellino. Una strage che spinse don Vito a cambiare le carte in tavola facendo saltare i patti iniziali e spingendolo a collaborare con i carabinieri (con l’accordo di Provenzano) in cambio di una serie di agevolazioni personali su due richieste fondamentali che comprendevano il buon esito del suo processo pendente in fase d’appello e il parere favorevole della Sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo sui suoi beni in sequestro. Istanze che don Vito aveva inoltrato ai militari guidati dal generale Mario Mori chiedendo l’intervento dell’on. Violante, l’unico politico in grado d’intervenire. Un sogno, anche questo, che non si realizzerà a causa di una “trappola” in cui l’ex sindaco finì per essere vittima. Proprio quando tutto sembrava andare per il meglio, dopo la consegna delle cartine con l’indicazione del covo di Riina, il politico di Corleone era stato arrestato. Nel mese di novembre del ‘92 “doveva avvenire un incontro – ha spiegato Ciancimino – tra mio padre e Provenzano” il quale, trovandosi in Germania con la famiglia, aveva ritenuto più sicuro organizzarlo lì. Così il vecchio sindaco chiese un passaporto che gli procurò l’arresto per pericolo di fuga.

Ma perché chiedere un passaporto ai carabinieri se l’ex sindaco aveva già una carta d’identità valida per l’espatrio e un passaporto di copertura procuratogli dal Signor Franco? “In realtà – ha spiegato Ciancimino – il suo avvocato e mio fratello Giovanni gli consigliarono di desistere. Mio padre però fu sincerato dai carabinieri che non c’erano problemi”. Un’ingenuità che costò a don Vito la misura cautelare in carcere e la fine del sogno di prendere parte a una nuova fase politica. Don Vito fu arrestato a Rebibbia il 19 dicembre 1992 per scontare una continuazione di pena per associazione mafiosa e concussione, fino al ‘99.  Anno in cui don Vito ottiene i domiciliari che sconterà fino al giorno della sua morte. Un periodo questo, durante il quale incontrerà più volte Provenzano che perorerà a suo favore una legge sull’amnistia che il capo di Cosa Nostra avrebbe spinto attraverso i Senatori Marcello Dell’Utri e Salvatore Cuffaro, all’epoca appena eletto presidente della Regione Sicilia. “Carissimo Ingegnere (…)- aveva scritto Provenzano a don Vito -  Mi è stato detto dal nostro Sen (Dell’Utri)e dal nuovo Pres (Cuffaro) che spingeranno la nuova soluzione per la sua sofferenza. Appena ho notizie ve li farò avere, so che l’av. (Nino mormino) è benintenzionato (…)”.  L’iniziativa, ha spiegato in aula Massimo Ciancimino, avrebbe previsto la presentazione in parlamento di un decreto indultivo che sarebbe dovuto essere presentato dall’allora Governo di sinistra e votato, dopo un accordo interno al partito di destra, in larga maggioranza.  Lo stesso Provenzano infatti chiarisce: “Carissimo Ingegnere, con l’augurio che vi troviate in uno stato di salute migliore di quando vi ho visto il mese scorso, ho riferito i suoi pensieri al nostro amico Sen.(Dell’Utri) Ho spiegato che loro (lo schieramento di destra) non possono fare provvedimenti come questi dell’amnistia quando governano loro e che è cosa giusta spingere per far approvare la legge. L’amico (Dell’Utri) mi ha detto che è stata fatta una riunione e sarebbero tutti in accordo. Ho visto che anche il buon Dio con il Cardinale ha chiesto la stessa cosa”. Alla fine don Vito non otterrà l’amnistia tanto sperata, tradito dai carabinieri e dallo stesso Provenzano non vedrà mai più il suo progetto di rinascita.


Silvia Cordella (
ANTIMAFIADuemila
, 2 febbraio 2010)



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