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I pm sotto tiro per il figlio di don Vito: "Riscontri? Ci lavoriamo da un anno" PDF Stampa E-mail
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Scritto da Salvo Palazzolo   
Mercoledì 10 Febbraio 2010 16:27
Ingroia e Di Matteo: tanti politici vogliono insegnarci il mestiere, ma i nostri maestri sono Falcone e Borsellino.

PALERMO - Ci tengono a ribadirlo dopo la lunga deposizione in aula di Massimo Ciancimino: «Da un anno lavoriamo senza sosta per portare i riscontri a ogni sua parola. Abbiamo fatto interrogatori, verifiche, tutte le indagini possibili. E i riscontri sono stati acquisiti». Antonio Ingroia e Nino Di Matteo, i pubblici ministeri del processo al generale Mario Mori, hanno appena concluso un´altra riunione fiume in Procura sul caso Ciancimino, adesso scorrono i telegiornali della sera: «In tanti dal mondo politico si ergono a soloni, vorrebbero insegnarci il mestiere - dice Ingroia - . Ma a noi il mestiere l´hanno insegnato magistrati come Falcone e Borsellino». Dice Di Matteo: «Nessuno ci può accusare di essere stati precipitosi con l´audizione di Ciancimino. Le sue parole confermano quanto già dichiarato da altri importanti collaboratori sui temi della trattativa e dei rapporti fra mafia e politica».

Eppure, il giorno dopo l´audizione del giovane Ciancimino, le critiche più severe sono arrivate da un amico storico di Falcone e Borsellino: il sociologo Pino Arlacchi giudica il figlio dell´ex sindaco di Palermo «inattendibile» soprattutto quando inserisce la nascita di Forza Italia nella trattativa fra Stato e mafia.
Di Matteo dice senza mezzi termini: «Molti di quelli che pontificano sulle dichiarazioni di Ciancimino o sulla gestione del processo non conoscono gli atti. Dimostrano chiaramente di non sapere come della trattativa e del papello e soprattutto dell´evoluzione del dialogo mafia-Stato dopo le stragi del ‘92 abbiano riferito anche altri collaboratori ritenuti pienamente attendibili: Giuffrè, Brusca e in maniera ancora più chiara Luigi Ilardo, ucciso alla vigilia della sua formale collaborazione». Ingroia ribadisce: «Le dichiarazioni di Ciancimino non dovrebbero essere delle novità che piovono dal cielo per chi conosce i processi più importanti celebrati negli ultimi anni, quello a Mori, a Dell´Utri, quelli sulle stragi. Ciancimino è lui stesso il riscontro in un solco già tracciato da altri».

Le stesse critiche sulla gestione dei collaboratori erano arrivate ai pm di Palermo dopo le dichiarazioni di Spatuzza, che sembrava sollevare in maniera forte la questione dei rapporti fra mafia e politica senza argomenti a sufficienza. «È un copione che si ripete», dice oggi Ingroia: «Spiace che l´approccio prevalente a questi temi continui ad essere secondo la logica dell´ultimo anello, senza rendersi conto di quello che c´è stato prima. I rapporti dei Graviano di cui parlava Spatuzza erano gli stessi che avevano costituito una parte consistente della mia requisitoria nel processo Dell´Utri, concluso in primo grado con il riconoscimento della validità dell´impianto accusatorio». Di Matteo ritorna su Ciancimino: «Gli unici giudici che prima di quelli del processo Mori l´hanno interrogato in dibattimento hanno ritenuto, sulla base di precisi riscontri, la sua credibilità. Nella sentenza che ha portato alla condanna dell´esponente di Forza Italia Giovanni Mercadante il tribunale scrive che Ciancimino è stato effettivamente testimone dei rapporti fra il padre e Bernardo Provenzano».
Altri giudici, però, hanno valutato diversamente: la corte d´appello del processo Dell´Utri non ha ammesso Ciancimino a deporre. Il procuratore aggiunto Ingroia ha sua spiegazione a quello che è accaduto: «Quei giudici - dice - hanno potuto valutare solo due stralci di un interrogatorio».
Dunque, le ultime deposizioni di Ciancimino porteranno presto all´apertura di un nuovo capitolo del processo Dell´Utri? Dice Ingroia: «Le dichiarazioni e il materiale emerso al processo Mori sono ora a disposizione della corte d´appello, che potrà valutare in maniera più completa il contributo di Massimo Ciancimino».

Salvo Palazzolo (la Repubblica, 10 febbraio 2010)

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