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G8: sulla “guerra ” ai colleghi di Firenze rivolta interna contro il procuratore di Roma PDF Stampa E-mail
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Scritto da Rita Di Giovacchino   
Martedì 23 Febbraio 2010 23:25
Giovanni Ferrara ne aveva contestato la competenza: costretto al dietrofront. ll ruolo e le sponde offerte ad Achille Toro

In questi giorni bui per la Procura di Roma, travolta dall'onda fangosa che ha investito Achille Toro, il primo ad ammettere pubblicamente il disastro è il procuratore capo Giovanni Ferrara. “Sono amareggiato per questa vicenda, soprattutto per i riflessi che ha sull’onorabilità dell’ufficio che dirigo”, afferma l'anziano procuratore, noto per il silenzio che ha sempre accompagnato ogni sua scelta, in un'intervista al Corriere della Sera in cui rivolge pesanti critiche alla Procura di Firenze, che accusa di non aver rispettato la “regola” delle competenze. Un'intervista che ha provocato reazioni a catena a partire dal suo ufficio. Un clamore cui Ferrara non è abituato. Così, alla fine di una lunga giornata che vede i pm romani quasi in rivolta all'interno del suo ufficio, è costretto a fare marcia indietro. La nota ufficiale arriva nel pomeriggio: “Nessuna guerra con la procura di Firenze, l'operato di un singolo magistrato non si può riversare su quello di colleghi che hanno sempre svolto correttamente il loro lavoro”. E infine la notizia più attesa: “Nessun altro magistrato romano risulta indagato presso la procura di Perugia”. Nella ridda di nomi era circolato anche il suo.

Per capire i tormenti del procuratore capo Ferrara bisogna fare un passo indietro, ai rapporti privilegiati di amicizia, agli intrecci di carriera, al comune impegno all'interno di Unicost che lo hanno sempre legato all'ex procuratore aggiunto accusato di corruzione e rivelazione di segreti d'ufficio.

Nel 2007 fu lui a restituire fiducia a Toro, sottoposto ad analogo procedimento nell'ambito dell'inchiesta Unipol. E fu lui ad affidargli il coordinamento di tutte le inchieste sulla Pubblica amministrazione, quando il procedimento fu archiviato. Un incarico che, inutile girarci attorno, apriva la strada alla successione. Sì, Toro sarebbe diventato procuratore quando Ferrara fosse andato in pensione o, limiti di età permettendo, avesse sostituito il pg Vecchione alla Procura generale. Mesi fa si era perfino mormorato di dimissioni anticipate di Vecchione, poi non non se ne è saputo più niente, prima ancora che l'inchiesta di Firenze spacchettasse l'intero disegno.

L'intervista è suonata dunque come un estremo tentativo di difesa del vecchio amico, una trincea dietro cui si apriva inevitabilmente un conflitto di competenza con la procura di Firenze accusata di aver operato extra-legem. Ora Ferrara spiega che è stata colpa di un titolo troppo gridato. Eppure le parole di Ferrara erano apparse inequivocabili. “Il nostro procedimento è stato aperto nel marzo 2009, nessuno in questo periodo mi ha avvisato delle responsabilità emerse dalle intercettazioni del Ros. (Si è, ndr) saputo tutto l'8 febbraio mattina a cose fatte. Eppure da tre giorni cercavo di parlare con Quattrocchi”, aveva detto in sintesi nell'intervista. Nessun accenno alle tardive contromosse messe in atto dalla procura di Roma, quelle tardive perquisizioni della Gdf che hanno fatto infuriare i pm fiorentini. Come andrà a finire nessuno lo sa, certo l'idea di un conflitto di competenza piace ai difensori degli arrestati (anche in alto loco). Ma la linea intrapresa da Ferrara è apparsa subito debole: la procura di Firenze indagava già dal 2008 e dalle intercettazioni è emersa l'ipotesi di reato più grave, ovvero la corruzione aggravata dall'articolo 7 e cioè l'aggravante dell'associazione mafiosa per le cointeressenze emerse dalle società di Fusi e Piscicelli.

Difficile poi accusare Firenze di volersi appropriare indebitamente delle inchieste sui grandi appalti visto che sono stati inviati tutti gli atti a Perugia non appena si è capito che la “gola profonda” che informava gli indagati era proprio Toro, un magistrato di Roma.

Resta l'urgenza con cui il gip ha proceduto agli arresti. Ma l'urgenza emerge con chiarezza dalle ultime carte della Procura di Firenze che descrivono i progetti di fuga dei due protagonisti, Balducci e Anemone, la riunione con Edy Azzopardi che annuncia gli imminenti arresti. Balducci si era perfino dimesso il primo febbraio dall'incarico di Presidente del Consiglio Superiore dei lavori pubblici a favore di Mariano Sessa, un funzionario del Infrastrutture (lo stesso cui era stato raccomandato Camillo Toro). Senza che nessuno lo sapesse. Negli ultimi frenetici giorni prepara la sua uscita di scena, cerca un certificato medico che attesti una qualche malattia, annuncia a Lupinacci, avvocato amico, che l'indomani dovrà incontrare un misterioso “zio”. Infine prepara le valigie in direzione di Berlino, ufficialmente per la prima di un film interpretato dal figlio Angelo. Ma il suo autista al telefono assicura che il suo “principale lascerà l'Italia l'11 settembre per una cosa serissima”. Fa le valige anche Anemone, direzione Madrid, per un weekend con la moglie a San Valentino. “Torno il 15”, dice al fidatissimo Emanuel Messina che già si trova in Messico. Ma lui consiglia: “Forse è meglio se venite ad Acapulco”.


Rita Di Giovacchino (il Fatto Quotidiano, 23 febbraio 2010)




G8, un anno tra dubbi e frenate. Così a Roma si congelò l'indagine

Travolta dall'inchiesta fiorentina, la procura della capitale si spacca. Il conflitto si spiega con quanto accaduto in questi ufcici nell'ultimo anno


ROMA - Travolta dall'inchiesta fiorentina, la Procura di Roma si spacca. Saltano le alchimie che l'hanno sin qui governata. E nel suo giorno più lungo, il conflitto che l'attraversa si intreccia e si spiega con quanto è accaduto in questi uffici non nelle ultime ore ma nell'ultimo anno. Nel pomeriggio, un'assemblea dei sostituti e un comunicato provano in qualche modo a tamponare e dissimulare la sostanza della posta in gioco: "Comportamenti attribuiti a singoli magistrati (l'ex procuratore aggiunto Achille Toro) - si legge - non possono e non devono coinvolgere negativamente l'impegno e la correttezza dei magistrati di Roma". Appaiono invece più sincere le parole con cui un magistrato di lungo corso di quell'ufficio, a sera, rende intelligibile quanto è accaduto: "Avevamo due possibilità. La prima: arrivare fino in fondo a una discussione che avrebbe finito per delegittimare oggettivamente il procuratore capo Giovanni Ferrara e avrebbe aperto un "caso Procura di Roma". La seconda: salvare Ferrara e con lui l'onore di un ufficio dove lavorano cento sostituti, provando a spiegare che esiste solo un "caso Toro". Abbiamo scelto il male minore. Oggi, dunque, diciamo che esiste solo "un caso Toro". Anche perché, sfiduciare Ferrara avrebbe significato spiegare al Paese che in questa Procura il tempo non è mai passato. Che non ci si è mai mossi davvero dai giorni del "porto delle nebbie. Il che, oggettivamente, non è poi vero".


Un "caso Toro", dunque. E non "un caso Ferrara", dicono a piazzale Clodio. Anche se la vigilia dell'assemblea di ieri e le indagini avviate dalla Procura di Perugia sembrano suggerire uno scenario diverso. A Roma, un gruppo di sostituti era pronto ieri pomeriggio a un documento di solidarietà con il Procuratore di Firenze (poi rientrato). A Perugia, una sola settimana di inchiesta ha cominciato a svelare che l'indagine sull'ex procuratore aggiunto non interpella solo le mosse di un magistrato che si vuole infedele (Toro) nei giorni in cui due Procure della Repubblica (Roma e Firenze) "scoprono" di indagare su una stessa vicenda (i grandi appalti della Protezione civile) e identici protagonisti (la "cricca"). Ma interpella (anche) le scelte del vertice della Procura di Roma nei dodici lunghi mesi in cui, a sua volta, ha indagato sulla "cricca" e gli appalti della Protezione Civile.

Una storia, questa, che comincia nel gennaio del 2009 e che è utile ricostruire proprio per comprendere che cosa davvero laceri in queste ore la Procura di Roma.


Gennaio 2009, dunque. La Procura di Tempio Pausania invia per competenza a quella di Roma una notizia di reato segnalata dai carabinieri del Noe. In quel fascicolo sono allegati, insieme ad articoli di stampa sugli appalti del G8 alla Maddalena, una serie di intercettazioni telefoniche (i carabinieri ne hanno trascritte soltanto tre), avviate in tutt'altro contesto, ma in cui balla la figura del costruttore Diego Anemone. Secondo il Noe, esiste in quelle conversazioni il "fumus" della corruzione e comunque il presupposto per una "delega" ad approfondire l'indagine che valuti le responsabilità degli amministratori pubblici che sul G8 della Maddalena hanno avuto e hanno competenza. Tra loro, Angelo Balducci, che del G8 alla Maddalena è stato "attuatore" e "supervisore".

Il lavoro del Noe non ha fortuna. Il procuratore aggiunto Achille Toro - il magistrato che ha la delega del pool investigativo sui reati contro la pubblica amministrazione e cui il procuratore Giovanni Ferrara è legato da amicizia, stima professionale e appartenenza di corrente (la moderata "Unicost") - ritiene quell'incarto poca cosa. Affida il fascicolo al pm Assunta Cocomello e convoca in Procura il comandante del Nucleo di polizia tributaria di Roma, il colonnello della Guardia di Finanza Vito Augelli.

E' il 2 febbraio 2009, quando l'ufficiale delle fiamme gialle lascia piazzale Clodio. In mano non ha nessuna delega di indagine perché - come confermano oggi a "Repubblica" qualificate fonti della Finanza, nonché gli atti in possesso della Procura di Perugia - la scelta di Toro è, diciamo così, minimale. Al Nucleo di polizia tributaria, il Procuratore aggiunto chiede infatti una semplice "ricognizione societaria" del gruppo Anemone. Poco più, insomma, che una visura approfondita del registro imprese. "Per avere un quadro più chiaro della storia", dice Toro. E' un lavoro che porta via neanche un mese e che, ovviamente, scopre l'acqua calda. Che il gruppo Anemone è una holding dalle molte società che aprono e chiudono in coincidenza con l'affidamento degli appalti e in cui, al più, si potrebbe trovare qualche irregolarità fiscale.

Siamo dunque a marzo 2009. La Finanza è convinta che all'esito del lavoro preliminare sul gruppo Anemone otterrà - questa volta sì - una delega di indagine. Ma sbaglia. Toro non vede nessuna urgenza per avviare attività di questo tipo e, soprattutto, sa di poter contare sull'appoggio del procuratore Ferrara di fronte all'insistenza del sostituto titolare dell'inchiesta, Assunta Cocomello, che, al contrario, vorrebbe partire in quarta con un'indagine se necessario anche invasiva. E' una discussione quella tra la Cocomello e Toro che - come lei stessa racconta a verbale ai magistrati di Perugia - si protrae per tutta la primavera. E che si infrange definitivamente quando la sua proposta di avviare intercettazioni telefoniche sulle utenze di Anemone e Balducci viene gelata dall'intervento di Ferrara ("una normale e fisiologica dialettica con un sostituto", spiega oggi Ferrara ai magistrati di Perugia). Il Procuratore, insieme al suo aggiunto Toro, usa due argomenti. Il primo, giuridico. Il secondo, di opportunità.

L'argomento giuridico - come riferisce Ferrara a verbale ai magistrati di Perugia - suona così: "mancano i gravi indizi di reato per configurare una corruzione per atti contrari ai doveri di ufficio", dunque, il rischio è che il gip respinga la richiesta di intercettazioni, non ravvisandone i presupposti. L'argomento di opportunità ha invece a che fare con il calendario e l'agenda politica. Mancano in quel momento pochi mesi al G8 e - ragiona Ferrara - "un'indagine dai presupposti poco solidi" rischia di tradursi in un danno per l'immagine che il Paese si gioca alla Maddalena. Servono insomma "prudenza" e "mosse ponderate". Il fascicolo Anemone/Maddalena va dunque in sonno. E a rianimarlo, ancora una volta, sarà la Guardia di Finanza.

A settembre 2009, quegli scocciatori delle fiamme gialle notificano infatti alla Procura che la Banca d'Italia ha segnalato operazioni sospette per 800 mila euro in contanti a carico di Stefano Gazzani e tale architetto Zampolini. Guarda caso, il commercialista e il progettista del gruppo Anemone. Ci sarebbe da che animarsi e, invece, bisogna aspettare il novembre 2009 perché qualcosa si muova. Soltanto il 7 di quel mese, infatti, dopo che alla Cocomello è stato associato il pm Sergio Colaiocco (che ha sin lì lavorato all'indagine sugli appalti dei Mondiali di nuoto 2009), la Finanza ottiene semaforo verde. Non una delega di indagine in senso proprio, ma "un supplemento" di istruttoria a quella segnalazione della Banca d'Italia.

I primi risultati arrivano in Procura il 15 gennaio scorso. E quindi vengono integrati il 26 e il 28 di quello stesso mese. Quei movimenti - documenta la Finanza - consentono di tirare un filo investigativo che porta da Anemone a Balducci. I pm Cocomello e Colaiocco si mettono a lavorare a una bozza di richiesta di intercettazioni telefoniche sulle utenze di Anemone e di altri protagonisti della "cricca" che verrà formalmente presentata al gip il 29 gennaio. Due giorni dopo che Ferrara ha avuto conferma che Firenze intercetta Balducci&co da un anno e mezzo. Lo stesso giorno in cui sa che pendono richieste di arresto. Oltre un anno dopo quella prima informativa dei carabinieri del Noe. In dodici mesi, è il primo atto di indagine di Piazzale Clodio. Perché quei finanzieri che hanno visitato gli uffici di Anemone nel 2009 sono stati soltanto un incidente di percorso. Lui non lo sa ma non li ha mandati la procura, ma una visita fiscale di routine.



Carlo Bonini (la Repubblica, 23 febbraio 2010)



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