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'Ho guardato la mafia negli occhi' PDF Stampa E-mail
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Scritto da Francesca De Sanctis   
Domenica 09 Maggio 2010 13:17
Intervista a Letizia Battaglia
«Sono ossessionata dal mio passato, troppo doloroso. Paura? Ne ho avuta tanta. E oggi qui a Palermo non posso fare mostre, né libri»

Nel suo sogno ricorrente lei, Letizia Battaglia -75anni, fotografa dal 1972- brucia tutti il suoi negativi, il lavoro di una vita. «Sono esausta delle mie foto del passato, ho bisogno di distruggerle, non ce la faccio più: il dolore, il sangue, la mafia, mi hanno segnato». Ecco perché ha deciso di disfarsi del suo immenso archivio.
«Cerco un museo o una fondazione che possa accogliere vent’anni della mia vita: ho documentato gli anni della guerra civile a Palermo e credo che niente di tutto questo debba andare disperso».
Del suo “sguardo fotografico” Letizia Battaglia - che per il suo lavoro ha ricevuto premi e riconoscimenti in tutto il mondo - parlerà oggi (8 maggio 2010, ndr) a Lodi, dove è ospite del festival «Comportamenti umani». E il prossimo 22 maggio inaugurerà una sua mostra alla Statale di Milano (Se la guerra è civile). Intanto parla di lei a l’Unità.

Letizia, ci sono tanti motivi per i quali un fotografo decide i fare questo mestiere. Lei perché lo ha fatto?

«Parliamo più o meno di mezzo secolo fa... quando vivevo a Milano e facevo la freelance perché avevo bisogno di lavorare, mi ero appena separata da mio marito. Dovevo vendere i miei pezzi scritti, che senza le fotografie non funzionavano molto. Allora non sapevo nulla di fotografia».

E poi cosa è successo?
«Poi il giornale l’Ora mi ha fatto tornare a Palermo perché ormai ero diventata una fotografa, ed è lì che ho iniziato ad amare la fotografia e i fotografi. Io credo molto in quello che faccio».

Il suo modo di utilizzare la macchina fotografica e di guardare il mondo è cambiato in tutti questi anni?
«Ho sempre fotografato in un certo modo, con passione, avvicinando il soggetto con compartecipazione. Ho fotografato in vari modi, perché per 19 anni - quando lavoravo per l’Ora - fotografavo quello che mi dicevano di fotografare, 24 ore su 24: il morto, il processo, ecc... Poi, negli ultimissimi anni, ho iniziato a fotografare per me: scelgo alcuni miei scatti del passato (il dolore di una donna o la morte di qualcuno), li uso come fondali, e davanti inserisco una donna spesso nuda o un bambino, un ibrido tra il passato doloroso che sento presente e una rappresentazione della vita. Sono ossessionata dal mio passato, ma non posso accantonarlo. Ecco perché faccio queste nuove foto».

Oggi siamo bombardati dalle immagini: tv, internet.. come sopravvive la buona fotografia?
«La buona fotografia ha sempre un senso. Io sono pure su facebook, e sono rattristata dell’uso pessimo e superficiale che si fa in internet della fotografia. Per questo mi cancellerò... Ma la buona fotografia trasmette sempre una visione del mondo e ci sono fotografi meravigliosi. Purtroppo bisogna fare i conti anche con questo: che la fotografia viene utilizzata per il banale e non per il sublime».

Quando ha iniziato a fotografare i mafiosi, ha avuto paura?

«Sì, ho avuto paura».

E dove ha trovato il coraggio di andare avanti?

«Il coraggio di fotografare è il coraggio di vivere, se le cose si devono fare si fanno. Se continuo a fare mostre è perché credo che serva non dimenticare».

Non ha mai avuto problemi?

«Si, ne ho avuti di problemi... Ne ho parlato anche con il giudice Falcone prima che lo ammazzassero. E poi ho il problema di vivere in Sicilia. Qui non posso fare libri, mostre, incontri perché sono considerata una persona imbarazzante che sarebbe meglio se ne stesse tranquilla. Continuo a pagare nei sogni e nella mia vita personale perché non riesco più a stare felicemente in una società, dove vige poco amore per gli altri».

Cosa ne pensa di quello ha detto il nostro premier qualche settimana fa a proposito di serie tv come «La piovra» o romanzi come «Gomorra» di Saviano, e cioè che farebbero fare brutta figura all’Italia perché parlano di mafia?

«Penso che il nostro premier non sappia le cose.. perché se un film inneggiasse la mafia è chiaro che sarebbe meglio non farlo... Ma Saviano, che io amo e con il quale mi piacerebbe tanto fare qualcosa, è un ragazzo giovane così bravo.... Dovremmo essergli grati per quello che fa. Il premier purtroppo dice spesso sciocchezze».

Qual è stata la foto più difficile che ha dovuto scattare?
«Le più difficili sono quelle che non ho voluto scattare. Non ho più avuto la forza di scattare quando ammazzarono Falcone e Borsellino. Avevo la macchina fotografica ma non ho scattato. Ero al pronto soccorso quando hanno ammazzato Falcone e ho visto pezzi di corpi e di auto quando è morto Borsellino. Oggi me ne pento. Sarebbe meglio far ricordare, ma allora non ebbi la forza. Anche oggi forse non scatterei. Dopo aver visto tanti morti, sapere che tutto questo è servito a poco è molto doloroso. Ti fa rifiutare di fotografare ancora».

Ma è giusto continuare...
«Si è giustissimo. Ora però tocca agli altri».


Francesca De Sanctis


Info Festival dei comportamenti umani: comportamentiumani.org

articolo Tratto da:
l'Unità

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