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Guarnotta: 'Napolitano rimandi il testo alle Camere' PDF Stampa E-mail
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Scritto da Sandra Amurri   
Sabato 22 Maggio 2010 21:30
I ricordi sono come scolpiti. Il tempo non li ha sciupati. E ogni volta che li riprende in mano la commozione torna a rendere incerta la voce. Leonardo Guarnotta, 60 anni, alto, distinto con il vizio di chiamare le cose con il loro nome, da qualche giorno nominato a maggioranza dal plenum del Csm presidente del Tribunale di Palermo, è stato giudice istruttore del pool di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino guidato da Antonino Caponnetto. Racconta e si racconta senza sottrarsi dal pronunciare parole chiare e forti contro il ddl sulle intercettazioni. “È come se la ferita per la perdita di Giovanni e di Paolo, due colleghi amici fraterni, non si fosse mai rimarginata e tornasse a sanguinare ogni volta che ne parlo, che li penso, e accade spesso".


Un ricordo tra mille che conserva? “Infiniti, tutti impregnati della loro sicilianità, della loro palermitanità. L’ironia e la sensibilità che li accomunava. Di Paolo non dimenticherò mai un sabato mattina. Era a Marsala. Venne a piedi senza scorta a trovarmi nel mio ufficio con suo figlio Manfredi. Osservò le tante coppe in fila sulla libreria vinte al calcio, allora ero titolare di una squadra composta da colleghi. Il lunedì mattina tornò. Bussò così forte che per un istante pensai che la porta venisse giù. Mi guardò e disse: son venuto per spararti, mio figlio mi ha detto: ‘Papà tu non hai nemmeno una coppa, allora non conti niente!’ Sa, con loro ho condiviso una primavera giudiziaria unica e irripetibile. Erano i primi anni ‘80, e ci trovammo di fronte ad un lavoro che credevamo non si sarebbe mai potuto fare, mentre rappresentanti delle istituzioni dicevano che la mafia non esisteva, che era un’invenzione dei giornalisti. Non a caso, il primo pentito, Leonardo Vitale, che ci parlò di don Vito Ciancimino come uomo dei Corleonesi, venne rinchiuso in un ospedale psichiatrico”.

Il passato che ritorna. Oggi chi è alla guida del Paese dice che scrivere di mafia equivale ad offrire un’immagine negativa dell’Italia. “Vorrei che non si fosse detto allora. Vorrei che non si dicesse ora. Bisogna continuare ad indagare, a scrivere sentenze, a parlarne sui giornali, in televisione, perché dopo 18 anni stanno emergendo elementi preziosi che possono finalmente mettere fine all’inganno che è passato sopra le nostre teste e ha tenuto prigioniero il Paese. Concordo con la carissima Agnese (Borsellino, ndr) quando dice che finché non ci sarà verità continueremo ad essere vittime di ricattati e ricattatori. Pretendere verità, adoperandosi ognuno nel proprio ambito per ottenerla, è il solo modo per commemorare questi nostri colleghi, che non erano eroi ma persone che credevano nella giustizia, che volevano liberare soprattutto i giovani da questa gramigna per farli diventare non più sudditi che chiedono per favore ciò che è un loro diritto avere: lavoro, dignità, legalità e giustizia. Ho piena fiducia nei colleghi delle Procure di Palermo e di Caltanissetta, dirette da Messineo e Lari. Penso a Ingroia, a Di Matteo, a Gozzo, che è stato pm del processo Dell’Utri, che conosco personalmente e so quanto siano seri e determinati, sapranno valutare le dichiarazioni a prescindere da chi le rende”.

Un riferimento chiaro alle polemiche sul ruolo di Massimo Ciancimino: “Lui è sicuramente un testimone vivente di quell’intreccio perverso mafia-politica, pezzi delle istituzioni e servizi segreti, in parte già descritto nella sentenza Andreotti. Anche qui non bisogna mai stancarsi di ripetere che la Corte di Cassazione ha detto che il reato fino all’80 è stato prescritto e si prescrive solo ciò che è reato”. Lei è stato presidente del tribunale che in primo grado ha condannato Marcello Dell’Utri... “Anche in quella sentenza viene descritto l’intreccio mafia-politica. Nel capitolo ‘stagione politica’ viene ricostruita la nascita e la discesa di Forza Italia”.

Indagini che se il ddl sulle intercettazioni diventasse legge resterebbero un ricordo. “Innanzitutto lederebbe il diritto di cronaca, che se non sbaglio è costituzionalmente garantito. Per quanto riguarda le indagini, si dice ad eccezione di quelle di mafia, ma così non è. L’esperienza mi fa dire che si può arrivare a scoprire un latitante anche da un pascolo abusivo, lo stesso vale per la concussione e la corruzione, dunque, si tratta di affermazioni di facciata. Leggo che nelle intenzioni il ddl nasce per sanare un problema di uso improprio delle intercettazioni a tutela della privacy. Bene. Voglio crederci. Ma mi chiedo: perché si restringono i campi di intercettazione impedendo di fatto l’utilizzo di uno strumento prezioso che ha dato ottimi risultati e si preclude ai giornalisti di informare quando esiste già il codice che regolamenta la materia? Sono certo che il presidente della Repubblica che rappresenta l’unità nazionale con la sua autorevolezza saprà fissare dei paletti rimandando, come è nei suoi poteri, la legge al Parlamento”. Come immagina che si comporterebbero Falcone e Borsellino? “Di certo non si lascerebbero ingannare dalle parole di facciata e difenderebbero, forse con maggior vigore di quanto facciamo noi, lo strumento delle intercettazioni, la tutela del segreto istruttorio e il diritto di cronaca”.


Sandra Amurri (
il Fatto Quotidiano del 22 maggio)









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