“Le colpe dei padri infami e traditori ricadranno sui figli - lei ed i suoi complici siete stati avvisati da troppo tempo lei e i suoi amici magistrati sarete causa di tutto”. Poche parole accompagnate da un proiettile lungo, molto probabilmente di un fucile ad alta precisione. Poche parole ma di quelle che bastano per toccare le corde più profonde dell’animo di un padre. A prendere la lettera dalla buca della posta di via Torre Arsa a Palermo indirizzata al figlio di soli 5 anni, ieri mattina intorno alle 11, è stato Massimo Ciancimino mentre teneva per mano il piccolo. “Ho appena detto alla Feltrinelli di bloccare il libro, non parteciperò più alle presentazioni. La mia collaborazione con i magistrati termina qui. Basta, a questo punto voglio stare in pace con la mia famiglia non reggo”.
La voce non è quella squillante e anche un po’ guascona di sempre. Piange Massimo Ciancimino mentre parla con Francesco La Licata, il giornalista che ha raccolto la sua testimonianza pubblicata da Feltrinelli poco prima di recarsi in Procura per denunciare la minaccia subita. “Don Vito” così si intitola il libro, dopo aver venduto 70 mila copie è in ristampa, e gli incontri sono sempre molto partecipati. Una pubblicità che pesa e molto a chi avrebbe voluto che quella trattativa tra Cosa Nostra e pezzi dello Stato restasse seppellita dalle bombe. Ma così non è accaduto.
DOPO DICIOTTO anni grazie alle dichiarazioni del boss Gaspare Spatuzza e alla meticolosa professionalità dei magistrati di tre Procure, Caltanissetta, Palermo e Firenze, e alla sua collaborazione, l’inganno sulla ricostruzione della strage in cui ha perso la vita il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti di scorta sta cominciando ad essere svelato ed è tornato al centro del dibattito politico e dell’opinione pubblica. Ad intimidire Massimo Ciancimino ci hanno già provato altre volte sempre con lo stesso metodo: lettere e proiettili. Ma lui ha continuato a collaborare con la giustizia e ad informare i cittadini su quella che è di certo una delle pagine più buie della storia del nostro Paese con ricordi, aneddoti, a volte anche esilaranti di vita vissuta accanto a Don Vito, il padre padrone anello di congiunzione tra Cosa Nostra e politica. Questa volta però il bersaglio è un bimbo: suo figlio. E di fronte a tanta vigliaccheria ha deciso di arrendersi. Ieri mattina ha consegnato al pm Di Matteo altri documenti trovati dalla madre Epifania Silvia Scardino scartabellando tra le carte del marito: “Non ne consegnerò più”, giura. “Non posso mettere a repentaglio la vita di mio figlio. Lui non deve pagare per me, ho già pagato io per mio padre e la storia non si può ripetere”. E se la Procura di Palermo lo invita a non cedere all’infame ricatto consigliandogli di continuare a collaborare e manifestandogli privatamente vicinanza, attestati di solidarietà ne sono arrivati pochi (Vendola, Lumia e Orlando in serata). “Quando arrivano lettere di minacce a qualunque altra persona, ci sono tonnellate di messaggi di solidarietà. Ma mio figlio non ne avrà, perché deve pagare non so per quali colpe”. Sicuramente la colpa di un padre che seppure con mille contraddizioni, timori, diffidenze, ambiguità, ha deciso di raccontare una vita spesa ad essere il figlio di Don Vito con tutto quello che porta con sé contribuendo a non far calare il sipario su una verità ancora tutta da scoprire. E che il suo libro sia scomodo lo dimostra anche l’assessorato di Castellammare di Stabia, che ha negato la villa comunale per la presentazione del 20 agosto, ora è stata spostata ad Alcamo. Massimo Ciancimino, al di là del valore probatorio delle sue dichiarazioni ancora tutto da dimostrare fa paura. Ma a chi?
NON CERTAMENTE a Cosa Nostra che dalle sue rivelazioni non ha nulla da temere. Si ricorderà che fu proprio Totò Riina a chiedere in aula ai magistrati che venisse ascoltato per conoscere la verità su via D’Amelio come dire che non fu solo mano della mafia. Seppure il metodo vigliacco della vendetta trasversale come la storia insegna sia un metodo mafioso. Ma come si sa la mafia insegna e spesso vi sono allievi dal volto pulito che superano i maestri. Resta che questa ennesima minaccia proprio per aver toccato una corda così profonda e intima rischia di centrare il bersaglio: far tacere un testimone senza bisogno di ricorrere alle armi. E se così fosse verrebbe meno un anello a quella catena che i magistrati con tanta fatica stanno cercando di ricostruire dopo diciotto anni. Una verità che il Paese dovrebbe auspicare per tornare ad essere libero da un ricatto durato fin troppo che invece rifugge: i conti come sempre sono dolorosi, provocano lacrime ma anche sorrisi di chi non ha mai smesso di pretendere giustizia.
Sandra Amurri
Nella foto di archivio Don Vito Ciancimino con il figlio Massimo (FOTO ANSA)
Fonte: Il Fatto Quotidiano, 10 agosto 2010