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33 anni fa l'omicidio di Russo e Costa PDF Stampa E-mail
Documenti - Per non dimenticare
Scritto da Serena Verrecchia   
Giovedì 19 Agosto 2010 18:00

La mafia non va in vacanza, nemmeno la settimana di Ferragosto. Quando ci sono conti da regolare, tutto il resto passa in secondo piano. E di conti aperti con Cosa nostra, il tenente colonnello Giuseppe Russo ne aveva più di uno, in quel lontano 1977. Comandante del Nucleo Investigativo di Palermo e uomo di fiducia di Carlo Alberto Dalla Chiesa, l’ufficiale calabrese era l’unico, insieme al giudice Cesare Terranova e al commissario Boris Giuliano, ad aver intuito la pericolosità dei Corleonesi di Totò Riina nell’organigramma criminale degli anni Settanta.

“Un nemico irriducibile dei mafiosi”, lo definivano i colleghi, che voleva mettere i bastoni tra le ruote a Cosa nostra nella sua brutale caccia ai subappalti, che gravitavano attorno alla costruzione della diga Garcia. L’affare del secolo per le cosche; ma non fu solamente quello a costargli la vita. Il fatto che fosse un mastino alle calcagna di Riina e Provenzano decretò la sua condanna a morte. Aveva persino finto dissidi con gli altri comandi del capoluogo, nella speranza di un aggancio con don Tano Badalamenti per una “soffiata” sui nascondigli dei due boss. Catturare i due Corleonesi era ciò che gli stava più a cuore e non lo si può certo biasimare se si pensa che, se fosse riuscito ad acciuffarli a quei tempi, l’Italia oggi avrebbe meno morti da piangere.

Il commando di morte, però, fu mobilitato ancora prima che i sogni di Giuseppe Russo potessero ben delinearsi. La sera del 20 agosto di trentatré anni fa, l’uomo di fiducia di Carlo Alberto Dalla Chiesa perse la vita davanti ad un bar di Ficuzza, frazione di Corleone, territorio dei boss. Il colonnello non fu l’unica vittima dell’agguato. Filippo Costa, un insegnante che non aveva niente a che fare col mondo della mafia, morì insieme all’ufficiale, colpevole solo di aver voluto fare quattro passi con un amico.

Ecco come ricordò quella tragica sera del 1977 il giornalista Mario Francese, sul “Giornale di Sicilia”, all’indomani dell’omicidio:

“Al bar entrò soltanto Russo per fare una telefonata, Costa attese fuori. Un minuto dopo i due amici riprendevano la loro passeggiata… Nello stesso momento vi fu chi si accorse di una ’128’ verde che procedeva lentamente per il viale principale, evidentemente controllando i movimenti di Russo e Costa... L’auto continuò la sua marcia fino alla parte alta della piazza, effettuò una conversione ad ’U’ e si fermò proprio davanti all’abitazione del colonnello Russo. I due amici erano vicini alla macchina degli assassini. Non se ne resero conto. Non potevano. Si fermarono, Russo tirò fuori dal taschino della camiciola una sigaretta e dalla tasca dei pantaloni una scatola di ’Minerva’. Russo non ebbe il tempo di accendere la sua ultima sigaretta.

Erano le 22,15. Dalla 128 scesero tre o quattro individui, tutti a viso scoperto. Lentamente, per non destare sospetti, camminavano verso i due.  

Appena furono vicini aprirono il fuoco con le calibro 38. Sparavano tutti contro Russo, tranne uno, armato di fucile che aveva il compito di uccidere Costa. Erano killer certamente molto tesi. Al punto che uno di loro lanciandosi contro Russo per finirlo, gli cadde addosso. Si rialzò immediatamente e, come in preda ad un raptus, imbracciò il fucile sparando alla testa. Fu il colpo di grazia. Il killer voleva essere certo che l’esecuzione fosse completa e mirò anche alla testa dell’insegnante Filippo Costa. Fu il secondo colpo di grazia.

Si poteva andar via. Ma l’ultimo killer nella fuga perse gli occhiali che saranno ritrovati sotto il corpo senza vita del colonnello Russo.

Ci si convinse subito che si trattava di un duplice delitto di mafia. Un agguato preparato nei dettagli almeno da 26 giorni. La 128, trovata abbandonata a tre chilometri da Ficuzza, è stata rubata infatti a Palermo il 25 luglio, appunto 26 giorni prima. Non sarebbe stato più semplice per la mafia uccidere il colonnello Russo «in via Ausonia sotto casa a Palermo e il professor Costa a Misilmeri, dove abitava?- si chiede ancora il giornalista- No, perché la mafia voleva un’esecuzione spettacolare ed esemplare”

Per l’omicidio del tenente colonnello e del suo amico professore furono inizialmente condannati tre pastori: Salvatore Bonello, Rosario Mulè e Casimiro Russo; quest’ultimo, autoaccusatosi, aveva chiamato in causa gli altri due; ma nel ‘97 vengono assolti e la II sezione della Corte di Assise di Appello di Palermo condanna definitivamente all’ergastolo Leoluca Bagarella, Salvatore Riina e Bernardo Provenzano per l’assassinio di Giuseppe Russo e Filippo Costa.

Un’altra storia da non dimenticare in queste calde giornate estive.

Domani alle ore 10, nella frazione di Ficuzza del Comune di Corleone (Palermo),  verrà deposta una corona d'alloro sulla stele commemorativa dell'uccisione del tenente colonnello Giuseppe Russo e del professor Filippo Costa. Una rappresentanza dell'Arma parteciperà alla cerimonia.

Serena Verrecchia

P.s Milly, la figlia del Dott. Paolo Giaccone, che 5 anni dopo fu assassinato dalla mafia per essersi rifiutato di alterare una perizia, ci ricorda un anedoto che ci permettiamo di aggiungere:
  "Papà fece l'autopsia del suo amico il tenente colonnello Giuseppe Russo, ed i giornali riportarono: "Anche il medico legale, il Prof. Giaccone, piangeva mentre eseguiva l'autopsia del Colonnello Russo".... Lo ricordo come fosse ieri...."

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