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Certi palazzi. La favola nera che Schifani non racconta PDF Stampa E-mail
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Scritto da Marco Lillo   
Lunedì 30 Agosto 2010 08:19
Sembra il film “Up” Un potente costruttore (mafioso) prova a cacciare due vecchiette Il Presidente è con lui.

“Il presidente del Senato tiene inoltre a precisare che la sua pregressa attività di avvocato è stata sempre improntata al pieno e totale rispetto di tutte le leggi e di tutte le regole deontologiche proprie dell’attività forense”. Con questa risposta burocratica Renato Schifani pensa di avere assolto il suo dovere di rendere conto sulle sue passate vicende professionali, ricordate dal Fatto anche a beneficio del PD che lo invita alla sua festa come ospite d’onore.
La deontologia è una buona difesa per un avvocato di fronte al suo Ordine ma al presidente del Senato si chiede qualcosa di più. Per esempio, di spiegare perché da una ventina di anni un palazzo abusivo costruito dalla mafia violando i diritti di due signorine inermi viene difeso davanti a tutte le corti dallo studio legale Schifani-Pinelli, fondato dal politico con Nunzio Pinelli e ora ereditato dal figlio Roberto Schifani.
  Forse le sorelle coraggio Maria Rosa e Savina Pilliu vinceranno la loro battaglia. Forse il palazzo sarà abbattuto e le loro case saranno restaurate ma tutto ciò accadrà non grazie a Schifani, bensì nonostante lui e i suoi amici palermitani. Nelle ultime settimane ci sono state due importanti novità in questa lunga storia che i lettori del Fatto conoscono bene (vedi Schifani e il palazzo abitato dai boss, 20 novembre 2009).

Da un lato I giudici della Corte di appello di Palermo, il 21 luglio scorso, hanno confermato il verdetto di primo grado del 2002: il palazzo costruito in piazza Leoni, di fronte al Parco della Favorita, dal costruttore Pietro Lo Sicco nel 1992, poi arrestato per mafia nel 1998 e condannato con sentenza definitiva nel 2008, deve essere arretrato di 2,25 metri e quindi abbattuto almeno in parte per rispettare le distanze con la proprietà delle Pilliu. La seconda notizia è che le casupole delle sorelle, danneggiate dalla ruspa del costruttore mafioso che le voleva abbattere per aumentare la   cubatura del palazzo, saranno risanate a spese dello Stato. Ebbene, in entrambe le vicende legali lo studio Schifani-Pinelli e i grandi avvocati legati al presidente stavano dalla parte del palazzo, e lottavano in tribunale contro le vittime della prepotenza mafiosa.   

Una storia da raccontare agli alunni delle scuole   

A PIAZZA LEONI bisognerebbe portare le scolaresche per mostrare quanto è difficile distinguere l’antimafia e la mafia. Da un lato si vede un palazzo grande e bello, costruito nel 1992 dalla Lopedil di Pietro Lo Sicco, allora un grande costruttore   difeso da un grande avvocato: Renato Schifani. Dall’altro lato ci sono due casette sghembe e diroccate. Le hanno imprigionate in una rete per nascondere una realtà sconcia. Alla scolaresca bisognerebbe infatti chiedere: dove sta la mafia? Tutti punterebbero il dito sulle casette e allora bisognerebbe spiegare ai piccoli che la mafia è dall’altra parte: nel palazzo illegale ma ricco rimasto in piedi grazie a politici e avvocati. Mentre quelle case abbandonate da tutti sono in realtà la cosa più pulita della città.
Poi bisognerebbe cominciare a raccontare questa storia che somiglia a quella del film “Up”, il kolossal dell’animazione della Disney-Pixar. In entrambi i casi c’è un costruttore prepotente e un palazzone di cemento che minaccia abitazioni antiche, persone e sentimenti. A Palermo il cemento fa più paura perché è di un
  mafioso in carne e ossa, per di più difeso da un avvocato che una dozzina di anni dopo diverrà presidente del Senato. Eppure mentre nel film “Up” l’anziano vedovo Carl Fredrickson alla fine abbandona il campo e decolla verso le cascate Paradiso   con la forza del sogno e dei palloncini, a Palermo, le orfane Pilliu – contro ogni logica – non lasciano le case ereditate dal padre. E vincono. La Corte di appello il 21 luglio ha scritto la parola fine su questo monumento alla prepotenza composto di tre scale e 11 piani che profuma di mafia dalle fondamenta al tetto. In ossequio alle nuove norme e a una diversa interpretazione – la parte illegale da abbattere si riduce in appello da 8 metri a 2,25 metri. Resta però il principio e resta soprattutto lo smacco per lo studio Pinelli-Schifani che – dopo aver perso una causa amministrativa durata molti anni – si è ostinato a difendere il palazzo indifendibile, anche nel giudizio civile. Il presidente del senato Schifani, da qualche anno ha lasciato lo studio al figlio Roberto ma se lo stabile è ancora in piedi, lo si deve un pò anche a lui. Davanti al Tar, l’avvocato Schifani in persona, ottenne un'insperata vittoria nel 1995 inf avore del costruttore Lo Sicco, poi condannato per mafia.Fortunatamente le sorelle Pilliu riuscirono a ribaltare quel verdetto in secondo grado ottenendo, nonostante la difesa di Schifani, l’annullamento della licenza edilizia ottenuta con la corruzione e l’abuso. Pietro Lo Sicco sarà arrestato nel 1998 quando i magistrati scopriranno che da Brusca a Bagarella, da Savoca a Guastella, da Lo Piccolo a Pullarà, molti boss di Palermo si erano interessati a quella costruzione o avevano abitato i suoi appartamenti signorili. Schifani di tutto ciò non sapeva nulla. Sapeva però che quel palazzo aveva una storia edilizia particolare.   Pur avendo partecipato a un sopralluogo nel quale si rilevava il mancato rispetto della distanza prescritta, sostenne in giudizio che il palazzo era legale. La sua difesa non era quella di un penalista. Non garantiva la libertà di un presunto colpevole ma gli interessi di un costruttore prepotente. Lo Sicco, già indagato e prosciolto da Giovanni Falcone, d’altro canto era un ottimo cliente. Dopo la sentenza del 2008 gli è stato confiscato un patrimonio di 102 milioni di euro.   


Un avvocato che si dette molto da fare   

IL NIPOTE che allora collaborava con lui, Innocenzo Lo Sicco, ha raccontato che l’avvocato Schifani si diede molto da fare per quel palazzo e si vantò con lui di aver fatto “pennellare” una norma del condono Berlusconi nel 1994 (Schifani non era ancora in Parlamento ma collaborava come tecnico alla stesura delle norme, secondo Lo Sicco Jr) proprio per sanare la situazione di piazza Leoni. La norma per condonare i palazzi senza licenza effettivamente nel condono Berlusconi c’era. Il pm Domenico Gozzo aprì un’indagine. Schifani fu sentito come persona informata sui fatti ma poi la Procura ritenne la vicenda non rilevante penalmente e archiviò tutto. Il presidente ha sempre negato. Lui non si è mai accorto di nulla. Né delle amicizie del suo cliente né dei suoi modi spicci per ottenere la licenza. Il costruttore aveva bisogno di comprare le case delle Pilliu per poi abbatterle in modo da non avere il problema delle distanze. Lo Sicco dava per scontato che, con le buone o con le cattive, le sorelle avrebbero ceduto e presentò il progetto al comune come se suoli e case fossero già sue. Maria Rosa e Savina però non si piegarono. Lo Sicco allora cominciò ad abbattere   le case sopra e in mezzo, minandone la stabilità. Poi partì con la costruzione. La forma della legge era dalla sua parte: aveva in tasca una licenza, poi annullata, arrivata grazie a una mazzetta di 25 milioni di lire all’assessore Michele Raimondo. Lo Sicco sarà poi condannato per truffa e corruzione ma allora Schifani e il suo socio Pinelli lo difendevano in tribunale e Pinelli andava in televisione a parlare in suo favore e al suo fianco contro le sorelle Pilliu. Oggi che è socio del figlio di Renato Schifani, Pinelli non molla la presa, nonostante nel frattempo le Pilliu siano state riconosciute vittime della prepotenza mafiosa dall’antiracket regionale.   

Un nuovo simbolo per l’antimafia a Palermo?   

NEL PROCEDIMENTO delle distanze le ragioni delle sorelle Pilliu sono state difese dagli avvocati Cristiano Dolce e Luigi Mazzei, mentre a difendere il palazzo c’erano il professore Giovanni Pitruzzella per la Lopedil e Nunzio Pinelli per i condomini che hanno firmato i contratti preliminari. La storia del palazzo continua quindi a essere intrecciata con gli interventi di amici, soci ed ex consulenti di Schifani. Basti dire che nel 2008 Schifani ha scelto Pitruzzella come presidente della Commissione di garanzia sugli scioperi e come avvocato nella sua causa per diffamazione contro Travaglio, insieme a Giuseppe Pinelli. Mentre il padre Nunzio Pinelli – dominus dello studio – è stato nominato nella stessa Commissione. Pinelli si contrappone alle Pilliu anche nella causa intentata alla Lopedil dalle sorelle per chiedere di puntellare le casette debilitate dalla violenza del buldozzer di Lo Sicco. Solo quando una tromba d’aria ha fatto volare il muro ormai marcio, lo Stato si è svegliato e ha colpito senza pietà. Ovviamente le vittime, non la mafia: le sorelle Pilliu sono state rinviate a giudizio dal giudice penale per crollo colposo e poi, all’inizio dell’estate, l’amministratore giudiziario della Lopedil, Luigi Turchio, ha spedito un telegramma nel quale, sulla base di una presunta imminente ordinanza del giudice, intimava loro di demolire le case. Le Pilliu dopo avere vinto la battaglia con la mafia stavano per soccombere allo Stato. L’epilogo beffardo è stato sventato grazie al giudice e all’Agenzia dei beni confiscati alla mafia. Se l’ordinanza avesse davvero ordinato di abbattere le casupole come sembrava intimare il telegramma, il problema delle distanze sarebbe stato risolto alla radice. Niente case (legali) delle Pilliu, niente distanze, niente abbattimento del palazzo (illegale), tutti felici. In particolare i difensori del palazzo e i contraenti che avevano siglato i compromessi con Lo Sicco, compresa la figlia del boss Stefano Bontate, che finalmente avrebbero potuto rogitare l’atto.Fortunatamente i funzionari dell’Agenzia dei beni confiscati alla mafia, creata pochi mesi fa dal ministro Roberto Maroni, hanno stoppato tutto: nessuna demolizione. L’Agenzia puntellerà le case come simbolo della legalità.   Si parla di un progetto ambizioso: le case distrutte da Lo Sicco potrebbero essere ricostruite e unite a quelle delle Pilliu. Il filare antico risusciterebbe per ospitare i negozi di prodotti tipici delle sorelle più un presidio dell’Agenzia che organizzi attività antimafia. Per ricordare a tutti che la legge vale anche a Palermo, anche se dall’altra parte c’è lo studio Schifani. E per dimostrare che anche senza palloncini, le casette talvolta possono volare.


Marco Lillo (il Fatto Quotidiano, 29 agosto 2010)




Una scena del film "Up"



 

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