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Anche le idee di Carlo Alberto camminano sulle nostre gambe PDF Stampa E-mail
Documenti - Per non dimenticare
Scritto da Serena Verrecchia   
Venerdì 03 Settembre 2010 10:24

Un altro anno è passato dalla morte del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, il ventottesimo per l’esattezza e si rischia di ricordare solo il suo nome, che conserva un non so che di nobile, ma non la sua storia, le battaglie che si nascondono dietro quel nome. Una vita da studiare nelle scuole quella del generale Dalla Chiesa. Un partigiano ai tempi della Resistenza, uno che, nel 1944, partecipò alla presa di Roma con gli Alleati. Uno di quei tanti uomini che buttarono il sangue per liberarci dalla dittatura e per garantirci quella Costituzione che oggi viene continuamente vilipesa e oltraggiata. Questa non è però, l’unica pagina della storia italiana che scrisse il generale.

A scuola, tra le tante cose che (non) si fanno, dovrebbero spiegarci come è stato sconfitto il terrorismo, come Dalla Chiesa ha messo al tappeto le Brigate Rosse. E poi dovrebbero parlarci del coraggio dell’uomo che negli anni Ottanta, anni in cui le strade di Palermo si tingevano ogni giorno del sangue delle vittime della brutalità mafiosa, fu mandato in Sicilia, immerso nei tentacoli della piovra e nel mare di omertà che circonda l’isola.

Dopo decenni, l’ufficiale piemontese si ritrovò di nuovo faccia a faccia con i Corleonesi di Totò Riina. Forse ricordava ancora i suoi primi anni di servizio, il generale, quando Corleone brulicava di morti ammazzati e lui tentava di divincolarsi nella pericolosa rete criminale che tessevano Luciano Liggio e i suoi viddani. Forse, mentre sorvolava il capoluogo siciliano in attesa della nuova guerra che lo aspettava, ebbe il tempo di ricordare la ferocia della mafia e la pericolosità del nemico che andava ad affrontare. Una battaglia che non ebbe neppure il tempo di essere combattuta. Cento giorni durò Carlo Alberto Dalla Chiesa a Palermo, neanche il tempo per riabituare gli occhi all’orrore della mafia.

Il 3 settembre 1982, in via Carini, Antonio Madonia, Calogero Ganci e Pino Greco “Scarpuzzedda” gli tolsero la vita a colpi di kalashnikov. Morirono insieme al generale, la compagna Emanuela Setti Carraro e l’agente di scorta Domenico Russo. E “la speranza dei palermitani onesti”, la speranza di una Sicilia diversa. La mafia e chissà quale potere occulto, quale misteriosa “entità”, decisero che lì doveva morire un uomo che aveva ridato la speranza ad un intero popolo.

Dalla Chiesa combattè tre battaglie nella sua vita: contro il fascismo, contro il terrorismo e contro la mafia. Sconfisse abilmente i primi due nemici, ma fu fermato per sempre dal terzo. La mafia lo uccise ventotto anni fa, ma non si può dire che sia stato sconfitto.

Non sono certo le corone d’alloro o la finta commozione che ogni anno esprimono gli uomini delle Istituzioni ad onorare la memoria di Carlo Alberto Dalla Chiesa, ma il suo ricordo vivo nel cuore di tanti uomini, donne e giovani che seguono il suo sogno di un’Italia libera dalla mafia e dal compromesso. È lo stesso spirito partigiano del generale ad animare oggi una parte di quel popolo italiano che resiste e che si mobilita per cambiare le cose in questo Paese. È per questo che Carlo Alberto Dalla Chiesa non è stato sconfitto, perché “le sue idee camminano sulle nostre gambe” e il suo spirito prende vita nelle nostre anime.

Serena Verrecchia

dal blog di Nando Dalla Chiesa: Se ne vale la pena. Domande a distanza (di 28 anni)

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