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Tra trattativa e riciclaggio. Giovanni Brusca indagato dalla Procura di Palermo PDF Stampa E-mail
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Scritto da Anna Petrozzi   
Sabato 18 Settembre 2010 10:24
17 settembre 2010, Palermo. Stava cercando di riorganizzarsi la vita. Così almeno sembra da quanto stanno cercando di accertare i magistrati della procura di Palermo, Del Bene, Sava e Buzzolani coordinati dall’aggiunto Antonio Ingroia volati a Roma per interrogarlo. Giovanni Brusca, il collaboratore di giustizia che ha confessato l’omicidio di Giovanni Falcone e che per primo ha fatto emergere l’enigma della trattativa tra mafia e Stato, ha subìto, la notte scorsa, la perquisizione della sua cella di sicurezza nel carcere di Rebibbia dove è detenuto dal 1996.
L’accusa è pesante: riciclaggio, intestazione fittizia dei beni e perfino estorsione. In sostanza Brusca non solo non avrebbe rivelato la reale entità delle sue ricchezze illecite, come prevede la legge per i collaboratori, ma avrebbe continuato a gestire il suo patrimonio personalmente e tramite prestanome. A dare il via all’ipotesi accusatoria alcune intercettazioni emerse dalle indagini che hanno portato alla cattura di Domenico Raccuglia, il boss di San Giuseppe Jato, mandamento di origine di Brusca, dove vi sarebbero proprietà ancora a lui riconducibili.

Sulla questione dei suoi beni ci sarebbe addirittura una lettera in cui l’ex killer di Totò Riina ammette la propria colpa: “Ho mentito spudoratamente”. E per difendere il patrimonio acquisito in tanti anni di attività criminali, soprattutto nel settore degli appalti in cui ricopriva un ruolo centrale, Brusca sarebbe arrivato a minacciare un suo ex prestanome per tornare ad impossessarsi di una azienda. Di qui il reato di tentata estorsione che gli viene contestato con l’aggravante dell’intimidazione mafiosa.
Fino ad oggi Giovanni Brusca si era comportato come un detenuto modello, aveva voluto scontare la sua pena, ridotta grazie alla sua scelta di parlare con i magistrati, in carcere e godeva di permessi ogni 45 giorni nei quali si ricongiungeva con la moglie e il figlio domiciliati in una località segreta. Per questo l’operazione di stamane, effettuata dai carabinieri del gruppo di Monreale, si è estesa sia nella casa dei familiari che in altre abitazioni nelle province di Milano, Roma, Chieti, Rovigo e naturalmente Palermo.
Evidentemente ora che si approssimava lo scadere del periodo di detenzione il collaboratore stava predisponendo il suo rientro nel mondo degli affari. Queste nuove indagini, invece, non solo allontanano questa prospettiva, ma mettono anche in seria discussione l’inserimento di Brusca e famiglia nello speciale programma di protezione.
La procura di Palermo del resto, con buona pace dei soliti detrattori che vorrebbero i magistrati succubi dei pentiti, è ben determinata ad andare fino in fondo. Questa recidiva però, sottolineano, non ha nulla a che fare con l’attendibilità delle dichiarazioni finora rese dal collaboratore, soprattutto sui temi di maggior delicatezza come la trattativa e le stragi.
Sono i riscontri, le prove e i fatti a stabilire le certezze processuali e per ora, malgrado furbizie e reticenze, non si può dire che quanto sostenuto da Brusca non abbia contribuito a ricostruire molte verità. Ciò non toglie che chi sbaglia deve pagare e sta volta il conto per l’ex boss si presenta molto salato, soprattutto per la campagna denigratoria che si abbatterà contro di lui a discapito anche di quanto di buono può aver fatto.


Anna Petrozzi (Antimafiduemila, 17 settembre 2010)





 

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Giancarlo54  - INQUIETANTE   |2010-09-18 12:35:50
Incredibile ed inquietante questo articolo. Da fare venire i brividi.

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