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Alfano attacca il pm antimafia PDF Stampa E-mail
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Scritto da Umberto Lucentini   
Venerdì 08 Ottobre 2010 09:36
Il ministero chiede accertamenti per le dichiarazioni del sostituto procuratore Nino Di Matteo, che aveva criticato la presenza delle toghe a via Arenula. Guarda caso, è il magistrato che sta occupandosi di Spatuzza e di Schifani. L'Anm di Palermo: 'Un inaccettabile tentativo di censurare la libera espressione'

Il pubblico ministero antimafia Nino Di Matteo, una delle toghe di Palermo più esposte nelle indagini contro Cosa nostra, finisce nel mirino per alcune opinioni espresse come presidente dell'Associazione nazionale magistrati di Palermo. Negli uffici del ministero della Giustizia, Angelino Alfano, non sarebbero state gradite alcune dichiarazioni rese lo scorso giugno da Di Matteo a tutela dei colleghi magistrati dopo le ennesime parole di fuoco del premier Silvio Berlusconi contro le toghe. E così, giorni fa, Di Matteo ha ricevuto notizia di "accertamenti" avviati su di lui e che potrebbero portare ad un procedimento disciplinare.

"Mi chiedo con quale faccia continuino a collaborare con questo Governo i colleghi distaccati al ministero della Giustizia" si era chiesto Di Matteo il 13 giugno dopo le dichiarazioni di Berlusconi sui magistrati.

Ieri sera, la giunta di Palermo dell'Anm ha affrontato il caso Di Matteo e ha emesso un documento: "La Giunta denuncia la singolarità e la gravità di un'iniziativa sollecitata dal ministero della Giustizia al Procuratore Generale della Corte di Cassazione - organi deputati all'esercizio dell'azione disciplinare - per vicende unicamente attinenti ad opinioni espresse nella qualità di Presidente della Giunta distrettuale dell'Anm e dunque al di fuori dall'esercizio delle funzioni giurisdizionali. Gli accertamenti disposti dai massimi vertici della giurisdizione e dell'amministrazione giudiziaria appaiono come un inaccettabile tentativo di censurare la libera espressione del pensiero dell'Associazione Nazionale Magistrati attraverso i suoi rappresentanti".

Fonti del ministero della Giustizia ricostruiscono così la vicenda: il 14 giugno il capo Dipartimento Luigi Birritteri, magistrato, avrebbe segnalato all'allora vicepresidente del Csm, Nicola Mancino, le dichiarazioni di Di Matteo chiedendo l'apertura di una pratica a tutela delle toghe che lavorano al ministero. La richiesta era stata archiviata e la procura generale della Cassazione aveva chiesto a Birrittella chiarimenti, trasmettendo a quel punto la richiesta di accertamenti alla procura generale di Palermo.

Di Matteo, sostituto procuratore della Dda di Palermo, si occupa di molte, delicate inchieste: dalla trattativa tra pezzi dello Stato e mafiosi per fermare le stragi (e che potrebbero aver provocato l'uccisione di Paolo Borsellino nel '92) alle dichiarazioni dell'ex boss Gaspare Spatuzza e del collaboratore Francesco Campanella che parlano del presidente del Senato, Renato Schifani, del suo passato di avvocato civilista e degli uomini dei boss Graviano.

Ecco cosa aveva testualmente detto il pm antimafia dopo l'ultima esternazione di Berlusconi contro le toghe: "Continua la sistematica e violenta offensiva di denigrazione e isolamento di quei magistrati che credono ancora nel principio dell'uguaglianza di tutti davanti alla legge. Noi resisteremo perché crediamo nella Costituzione sulla quale abbiamo giurato". Poi la domanda ai colleghi magistrati: con quale faccia si collabora con questo governo?

Alle parole di Di Matteo era seguita la replica di Roberto Piscitello e Angelo Piraino: il primo è stato a Palermo pubblico ministero della Dda di Trapani e dal settembre del 2008 è vicecapo di gabinetto vicario del ministro Alfano; il secondo, esperto in diritto civile, dal tribunale di Palermo si è spostato a via Arenula dove è vice capo dell'ufficio legislativo.

"La nostra faccia" avevano risposto Piscitello e Piraino, "è quella di magistrati che pensano a come rendere più efficiente l'amministrazione della giustizia o a come poter contribuire per rendere più efficace il contrasto alla mafia, per esempio in tema di misure di prevenzione o di confisca. È quella che suggerisce i 41 bis da applicare ai pericolosi boss mafiosi dei quali ci si chiede, o quella che propone al Ministro di ripristinarli, nonostante taluni annullamenti dei Tribunali di Sorveglianza. Quella che nelle riunioni di staff ci fa anche dire no, quando un no può servire a fare rimeditare una intenzione, a rivedere un proposito o a meglio riflettere su una iniziativa legislativa".

«Non ho avviato alcuna inchiesta nei confronti dei magistrati di Palermo, che si sono pronunciati negativamente su alcuni loro colleghi per il fatto che essi lavorano al ministero della Giustizia» dichiara intanto il ministro della Giustizia. «Non ho mai avviato alcuna iniziativa quando sono stato attaccato sul piano personale e politico da vari magistrati; e non ho alcuna intenzione di farlo nei confronti dei magistrati di Palermo così intensamente impegnati nel contrasto alla mafia e che hanno solo espresso la loro opinione sulla "vexata questio" dei magistrati fuori ruolo».


Umberto Lucentini (L'ESPRESSO, 8 ottobre 2010)










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