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'Autentici i pizzini di Ciancimino' PDF Stampa E-mail
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Scritto da Giuseppe Lo Bianco   
Mercoledì 13 Ottobre 2010 13:24
Il verdetto della Polizia scientifica, resta anonimo l'autore del 'papello'

Cinquantatré dei 55 documenti attribuiti “con certezza” a Vito Ciancimino sono stati consegnati dal figlio Massimo “in originale”, nessuna traccia di fotocopiatura o di collage – che possa far pensare a un posticcio “gioco di prestigio” – è stata rilevata.
Resta sconosciuto l’autore del “papello” (si sa soltanto che proviene da un’unica mano) e si continua a cercarlo, attraverso nuove comparazioni. E, alla fine, per fugare ogni dubbio sull’autenticità dei documenti – sollevato nell’udienza scorsa dal generale Mori – il pubblico ministero, come ha rivelato uno dei testi, ha disposto nuovi accertamenti.
Al processo Mori, accusato di favoreggiamento assieme al maggiore Mauro Obinu per la mancata cattura di Bernardo Provenzano, in corso a Palermo, è stato il giorno della task force scientifica a forte impatto mediatico: sul pretorio, con l’ausilio di computer e schermi giganti, hanno deposto il direttore della polizia scientifica Piero Angeloni, quattro funzionari del suo ufficio super-esperti in grafologia, analisi degli scritti e tecniche merceologiche, e persino un docente universitario, il professor Filippo Terrasi, ordinario di Fisica applicata alla Seconda Università di Napoli, che ha tenuto in aula una dotta e appassionata lezione sul carbonio 14, strumento indispensabile per datare le lettere e gli scritti consegnati da Ciancimino junior ai giudici.
I risultati? 53 dei 55 documenti sono stati consegnati “in originale” e dunque impossibili da manipolare, quelli attribuiti a don Vito sono risultati “veri”, tutti: fotocopie e originali, risalgono a una data compatibile con le dichiarazioni del figlio Massimo, accusato la scorsa udienza dal generale Mori di avere artefatto le carte, attraverso un abile “copia e incolla” informatico. Persino il post-it incriminato (“consegnato spontaneamente al gen. Mori”) risale a una data compresa tra il maggio ’85 e l’ottobre ’89 (e quindi compatibile con le parole di Massimo) così come gli altri due, effettivamente più recenti (’93-’98).
Un “gioco di prestigio” informatico del quale, hanno detto i testimoni, non vi è traccia in nessun documento, anche in quell’originale trovato a casa di Massimo durante la perquisizione del 2005, redatto a matita da un unico autore non identificato (e sul quale si erano concentrati i sospetti del generale) in cui è scritto che “l’on. Berlusconi metterà a disposizione una delle reti televisive”. E se il contro-papello attribuito all’ex sindaco mafioso di Palermo è stato fotocopiato oltre 15 anni fa (la carta risale al periodo ‘86-’91, la fotocopiatrice utilizzava un toner dismesso alla metà degli anni ’90, il tutto dunque compatibile con le dichiarazioni di Ciancimino junior), nessun tentativo di “collage” è stato rilevato dai consulenti che hanno sostenuto come nel foglio non sia stata evidenziata alcuna perdita di dettaglio o di qualità.
Assenze rilevate anche nei fogli A4 riempiti di scrittura per metà (come il documento 6), per i quali le due analiste che hanno deposto per ultime hanno sostenuto che “non è possibile fare collage”. Rimane qualche dubbio su un documento dattiloscritto (con annotazioni manoscritte attribuite con certezza a don Vito) sul quale sono stati avviati nuovi accertamenti, dopo che il generale Mori la scorsa udienza in aula aveva sollevato pesanti sospetti sulla sua autenticità. Qualche dubbio, evidenziato da una domanda del presidente Fontana, rimane anche sulla sequenza temporale dei pizzini consegnati da Massimo Ciancimino e redatti, secondo lui, in un arco di tempo di dieci anni: la carta risalirebbe a un unico periodo.
Resta irrisolto, infine, il mistero della paternità del papello, redatto in stampatello: su 27 calligrafie di potenziali autori (da Riina a Pietro Aglieri, dal geometra Lipari al medico Antonino Cinà, e persino il dirigente della Regione Siciliana, in pensione, Rino Lo Nigro) solo 8 sono state considerate utili per una comparazione, ma con scarsi risultati. Sei erano solo firme, 8 contenevano solo una parola in stampatello e 7 erano calligrafie in corsivo corrente.


Giuseppe Lo Bianco (il Fatto Quotidiano, 13 ottobre 2010)











 

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