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I servizi segreti dietro la cattura di Messina PDF Stampa E-mail
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Scritto da Salvo Palazzolo e Fabio Russello   
Domenica 24 Ottobre 2010 20:43

Una soffiata dei servizi segreti ha consentito l'arresto di Messina, un'altra imbeccata quattro mesi fa aveva portato al boss  Falsone. Cosa c'è dietro il nuovo corso antimafia dell'Aisi?

Da un mese i carabinieri tenevano sotto controllo alcuni insospettabili di Favara. Con pedinamenti, telecamere nascoste e intercettazioni. Un'indagine difficile, che ha rischiato di fallire più volte nel momento in cui ci si avvicinava al covo del latitante. Il vivandiere di Gerlandino Messina era prudente, si guardava sempre attorno fra le viuzze di Favara.

La pista giusta per arrivare al latitante l'ha offerta l'Aisi, il servizio segreto civile. Com'è prassi in questi casi, l'agenzia di informazioni e sicurezza interna ha passato la notizia sia ai vertici dell'Arma che della polizia di Stato: lo spunto d'indagine era inedito per entrambi. Risultato: alla Procura di Palermo sono arrivate due richieste per stringere le ricerche su Favara. La Procura ha dato il via libera ai carabinieri, per una sorta di par condicio. Nel giugno scorso, erano stati invece i poliziotti della squadra mobile di Palermo a lavorare su un'altra notizia offerta dai servizi segreti, che fu determinante per l'arresto del superlatitante agrigentino Giuseppe Falsone.
 

Per l'Aisi è un momento d'oro. Non è mai accaduto nella storia della lotta alla mafia che i servizi offrissero così tanti spunti utili per l'arresto dei latitanti. Purtroppo, in un passato non molto lontano, alcuni 007 facevano il contrario: Bruno Contrada, il numero tre dei servizi che fu anche il coordinatore dei gruppi ricerca dei latitanti, sta scontando una condanna a 10 anni di carcere per aver favorito Cosa nostra. E a Palermo è ancora sotto processo l'ex direttore dell'allora Sisde, Mario Mori, accusato di aver favorito la latitanza di Provenzano.

Dietro la nuova stagione di impegno antimafia dei servizi segreti c'è un'intelligente campagna acquisti fatta negli ultimi anni tra le fila di polizia, carabinieri e finanza. Alcuni dei giovani investigatori più brillanti, che hanno lavorato al fianco dei pm delle Direzioni distrettuali antimafia siciliane, sono oggi gli 007 del nuovo corso.  Ma c'è solo la bravura di questi uomini dietro le notizie che continuano ad arrivare dall'Aisi? È un momento particolare di transizione per Cosa nostra, la domanda non è di poco conto.

Chi sono le fonti che offrono le notizie giuste ai servizi? Lo fanno solo per soldi (si dice che il governo ne abbia stanziati tanti per questo tipo di attività) oppure per interesse? Se è vero quanto riferiscono alcuni pentiti, ad esempio, Matteo Messina Denaro aveva da sempre grandi problemi con la provincia di Agrigento: con l'arresto di Falsone e Messina non ci sono più ostacoli alla leadership del padrino di Trapani. Questo è il campo delle ipotesi e dei ragionamenti, nessuno ha certezze. Anche alla Procura di Palermo ci si interroga. Nessuno lo dice ufficialmente, ma a fare paura sono le relazioni segrete di Messina Denaro, anche con la vecchia guardia dei servizi (che non è andata in pensione).


Salvo Palazzolo (la Repubblica, 24 ottobre 2010)



 


Mafia, preso Gerlandino Messina. E' il capo di Cosa nostra ad Agrigento

I carabinieri hanno arrestato a Favara Gerlandino Messina, capo della mafia di Agrigento. Era nella lista dei trenta latitanti più pericolosi diramata dal ministero dell'Interno


AGRIGENTO - I carabinieri hanno catturato in una palazzina di Favara (Agrigento), Gerlandino Messina, 38 anni, originario di Porto Empedocle, ritenuto il nuovo capo provinciale della mafia di Agrigento. Il boss è stato catturato dai carabinieri del Ros e dalle teste di cuoio del Gis di Livorno. Si nascondeva in un edificio di via Stati Uniti, alla periferia nord del paese (FOTO I carabinieri durante il blitz).

Gerlandino Messina aveva preso il comando della Cosa nostra provinciale dopo la cattura, il 25 giugno a Marsiglia, di Giuseppe Falsone. Messina era inserito nella lista dei trenta latitanti più pericolosi diramata dal ministero dell'Interno. Era ricercato dal 1999, sulle sue spalle diverse condanne per associazione mafiosa e omicidio. È accusato di essere il killer del maresciallo dei carabinieri Giuliano Guazzelli, assassinato a colpi di arma da fuoco il 4 aprile del 1992 mentre viaggiava su una Ritmo, lungo la statale di Agrigento. Il padre di Gerlandino Messina, Giuseppe, venne assassinato nella strage di Porto Empedocle del luglio del 1986.

Al blitz che ha permesso la cattura di Messina hanno partecipato almeno una ventina di carabinieri, tra militari del gis di Livorno, del Ros e del reparto operativo di Agrigento. Alcuni uomini delle teste di cuoio hanno sfondato la porta d'ingresso e contemporaneamente altri militari sono entrati da una finestra. Sono state utilizzate bombe accecanti. Il boss non ha avuto nemmeno il tempo di reagire e quando gli è stato chiesto se era effettivamente Gerlando Messina, non ha profferito parola. Rispetto alle foto segnaletiche è molto ingrassato e non ha più capelli. Messina abitava in un appartamento al civico 79 di via Stati Uniti. Un fabbricato fatiscente: i due piani superiori non sono stati terminati. Il boss aveva con sé due pistole.

L'appartamento al civico 79 di via Stati Uniti si trova alla periferia Nord di Favara. I carabinieri stanno cercando di risalire ai proprietari. "Messina non ha avuto il tempo di opporre alcuna resistenza - ha detto il colonnello Mario Di Iulio, comandante provinciale dei carabinieri - Avevamo avuto la quasi certezza che Messina fosse lì dentro ieri sera e oggi abbiamo deciso di fare scattare il blitz".

Una piccola folla di persone si è radunata sotto la palazzina di Favara dove il boss è stato catturato ed ha atteso in silenzio l'uscita di Gerlandino Messina. Ha assistito in silenzio e non ha applaudito mentre i carabinieri caricavano in macchina il capomafia diretti alla caserma del reparto operativo a Villaseta alla periferia di Agrigento. Qui non sono mancati i momenti di tensione. Alcuni familiari del boss si sono infatti radunati fuori dalla caserma urlando e piangendo davanti ai cancelli. Uno dei familiari del boss ha anche tentato di aggredire cameraman e giornalisti.

Sul posto è giunta anche Giuseppa Nicosia, madre di Gerlandino Messina. La donna ha subito chiesto notizie sullo stato di salute del figlio: "Come sta? Vivo è?". Poi un carabiniere l'ha rassicurata dicendole "sta bene", la donna ha urlato: "Signuri ti ringrazio".

Nel covo di Gerlandino Messina i carabinieri hanno trovato tra i documenti che ora saranno analizzati dagli investigatori anche un libro sulla vita di Totò Riina e due pistole, una a tamburo e una semiautomatica con il colpo in canna. L'appartamento era difeso da una porta blindata.


Fabio Russello (la Repubblica, 23 ottobre 2010)

 






 


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