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Via D'Amelio, tre mesi per la verità sui killer PDF Stampa E-mail
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Scritto da Marco Lillo   
Sabato 30 Ottobre 2010 15:51
Ancora lontana, invece, quella sui mandanti esterni. Si sgonfia la pista che portava allo 007 Narracci (indicato da Spatuzza)

La nuova verità sulla strage di via D’Amelio è vicina. “Speriamo di finire entro due o tre mesi”, ha dichiarato ieri il procuratore capo di Caltanissetta Sergio Lari che sta coordinando le indagini partite dopo le rivelazioni di Gaspare Spatuzza. In realtà l’inchiesta che sta per chiudere dovrebbe essere quella riaperta dalle dichiarazioni del pentito sull’esecuzione della strage costata la vita a Paolo Borsellino e ai cinque uomini della scorta. Il pentito ha riscritto la storia del furto della Fiat 126 usata per l’attentato accusando sé stesso e Vittorio Tutino e scagionando alcuni condannati con pena definitiva. Restano in alto mare invece le indagini sui mandanti esterni e sui collegamenti della mafia con i Servizi. Non è vero – come scritto da molti quotidiani – che ci sarebbe una svolta su questo fronte. Per sapere se veramente i Servizi hanno partecipato all’attentato non basteranno certo 3 mesi. Nonostante i titoli entusiasti di alcuni quotidiani ieri (“Stragi, il pentito riconosce lo 007”) martedì a Caltanissetta, nei riconoscimenti all’americana, non sono stati fatti passi avanti.
Il Fatto aveva raccontato già il 28 maggio scorso il riconoscimento su foto di Lorenzo Narracci da parte di Spatuzza. L’alto funzionario dell’ex Sisde (ora Aise) era stato definito “somigliante” all’uomo che aveva partecipato alla preparazione dell’attentato. Secondo Spatuzza nel garage dove si imbottiva di semtex e tritolo la 126 appena rubata dal futuro pentito e da Vittorio Tutino non c’erano solo i picciotti. Insieme ai killer dei boss Graviano in quel garage c’era anche un misterioso “esterno”, probabilmente un agente dei servizi. Per individuarlo, i pm nisseni, molti mesi fa, hanno mostrato a Spatuzza, decine di ritratti. Di fronte alla foto di Narracci, il pentito ha detto: “gli somiglia” ma poi ha indicato anche altre foto da lui definite allo stesso modo.
A peggiorare la posizione del funzionario è stato il secondo riconoscimento di Ciancimino jr. Il figlio di don Vito ha indicato la foto di Narracci sostenendo che somigliava all’uomo spedito dal famigerato signor Franco (anello di congiunzione tra don Vito e i servizi) a Rebibbia e a casa sua per incontrare il padre durante la trattativa Stato-mafia. Sulla base del doppio, non univoco, riconoscimento, e sulla base di una serie di altre coincidenze (un foglietto col numero di telefonino di Narracci fu trovato vicino al cratere della strage di Capaci e la sua auto era parcheggiata vicino al luogo dell’attentato a Maurizio Costanzo) la Procura lo ha iscritto per strage. Quando Il Fatto diede notizia del doppio riconoscimento “su carta e a distanza di 18 anni” il 28 maggio scorso aggiunse “la pista va presa con le pinze. Prima di mettere all’indice un funzionario dello Stato che potrebbe essere semplicemente somigliante a qualcun altro, i pm procederanno a tutte le verifiche del caso”. Martedì scorso Spatuzza e Ciancimino sono stati posti di fronte a Narracci in carne e ossa per un riconoscimento all’americana. Dall’altro lato del vetro, oltre al funzionario indagato, c’erano – come nei film – cinque persone. Tutte in giacca blu, pantaloni grigi, camicia bianca e scarpe nere. Tutte somiglianti a Narracci. Spatuzza ha indicato il funzionario ma ha subito aggiunto: “Quello è l’uomo della foto. Cioé confermo che somiglia a quello del garage ma, come avevo detto allora, non sono certo sia lui”. Secondo l’avvocato di Narracci, Michele La Forgia questo vuol dire che “Spatuzza ha detto di non essere in grado di riconoscere con certezza Narracci”. Ancora meglio, per lui, è andato il riconoscimento con Ciancimino. Il figlio di don Vito, infatti, ha indicato inizialmente Narracci e un altro uomo come “somiglianti”. Quando i pm gli hanno chiesto di scegliere, però Ciancimino jr ha avuto qualche difficoltà. Alla fine ha puntato titubante il dito contro uno dei due. E non era Narracci.
In questi giorni il figlio di Don Vito è sottoposto a un tour de force di confronti e riconoscimenti. Ieri – dopo Narracci – si è trovato di fronte Rosario Piraino, nome in codice “agente James”, un funzionario dei servizi indagato di violenza privata aggravata dall’avere favorito la mafia perché, secondo l’accusa che si basa sui racconti di Ciancimino jr, avrebbe in due occasioni intimato al testimone della trattativa tra Stato e mafia di non fare ai magistrati il nome del presidente Berlusconi. Piraino ha negato, sostenendo di non aver mai visto Ciancimino jr prima. Il figlio di don VIto ha confermato tutto.

Marco Lillo (il Fatto Quotidiano, 29 ottobre 2010)









 

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