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Da Conso a Mancino, la memoria a intermittenza PDF Stampa E-mail
Documenti - I mandanti occulti
Scritto da Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza   
Lunedì 15 Novembre 2010 16:52

Trattativa Stato-mafia: ripensamenti, nuove versioni e omissioni sui giorni delle Stragi


Palermo
Cinque mesi prima, a giugno del ’93, era convinto della validità della “linea dura” contro Cosa Nostra sul 41-bis: ma agli inizi di novembre decise di revocare la misura penitenziaria a 140 mafiosi “per fermare le stragi”. Chi, o che cosa, ha fatto cambiare idea e azione politica di contrasto alle cosche, passando dal bastone alla carota, dalla fermezza al cedimento, all’ex ministro della Giustizia Giovanni Conso?

L’interrogatorio di Chelazzi

È la domanda che si pongono i pubblici ministeri che indagano sulla trattativa tra Stato e mafia e che rivolgeranno molto probabilmente allo stesso Conso in un interrogatorio del quale starebbero valutando la data. La prova dell’improvviso cambio di rotta sta nel verbale d’interrogatorio del 24 settembre 2002, finora segreto, reso dallo stesso Conso al pm di Firenze, Gabriele Chelazzi, del quale il Fatto è entrato in possesso: l’ex ministro parte da lontano, dal marzo del ’93, quando “il tema del rinnovo dei decreti ex art. 41-bis era in quel momento senz’altro prematuro e quindi mi riservavo di farne oggetto di ulteriori, più aggiornate, meditazioni. E feci, a mio avviso, senz’altro bene, perché gli eventi successivi, e in particolare la strage di Firenze, mi convinsero nel modo più assoluto della necessità di mantenere fermo il 41-bis e di rinnovare i decreti”.
Nel frattempo, al vertice del Dap, il “morbido” Nicolò Amato era stato sostituito con Adalberto Capriotti, che nell’appunto del 26 giugno sottolineò la necessità di rinnovare i 41-bis. “…quell’appunto non poteva prescindere dalle stragi del maggio (via dei Georgofili, ndr) – ha aggiunto a verbale Conso – nonché – altro aspetto per me di grande significato – dall’atmosfera vissuta soprattutto nella ricorrenza dell’attentato a Falcone e nell’approssimarsi della ricorrenza dell’attentato a Borsellino, vicende ancora così cocenti da non poter giustificare soluzioni diverse da quella che si andava delineando nelle varie sedi ministeriali, a partire da quella da me diretta. Tanto da risultare ormai praticamente scontato che la soluzione sarebbe stata la proroga”. Per Conso la fermezza contro i boss detenuti era il faro che illuminava la sua strada al ministero: “Ribadisco in conclusione che la mia determinazione di rinnovare in linea di massima i decreti emanati dal mio predecessore è sempre stata chiara e convinta – ha aggiunto Conso nell’interrogatorio a Chelazzi – sin dal momento in cui ho cominciato a dedicarmi in modo specifico e responsabile al problema, nell’approssimarsi quindi della scadenza dei decreti”.
A fine ottobre del ’93, l’improvviso cambio di rotta, motivato dalla necessità di “fermare le stragi”. “Scandalo, chi deve si vergogni – commenta Giovanna Maggiani Chelli, associazione vittime di via dei Georgofili – di averci ingannato e ora non crediamo più a niente, non basteranno certo le parole di un uomo di 88 anni a convincerci che solo e solamente lui prese una decisione che ‘trattativa’ non si chiamerà, ma che come azione si commenta da sé”. L’ex Guardasigilli è solo l’ultimo, in ordine di tempo, tra i protagonisti politici di quella stagione istituzionale a palesare una memoria “ballerina”; altri, nel corso di questi anni, hanno più volte mostrato di possedere ricordi a orologeria: Martelli ha raccontato di essere stato avvertito dei contatti tra il Ros e Ciancimino alle telecamere di Annozero solo nell’ottobre scorso, Violante ha rivelato delle richieste di don Vito, formulate attraverso il generale Mori, di essere ascoltato in Antimafia, solo lo scorso anno; altri, infine, hanno persino fatto ricorso alle proprie agende, laddove la memoria non li ha soccorsi fino in fondo.

Fogli bianchi sull’agenda

È il caso di Nicola Mancino, vicepresidente del Csm, che lunedi scorso si è presentato in commissione Antimafia, a palazzo San Macuto, con la sua agenda da tavolo, la stessa che ha mostrato pochi mesi fa alle telecamere di La7, per far vedere ai commissari che alla data del 1 luglio del ’92, il giorno del suo insediamento al Viminale (e dell’incontro con Paolo Borsellino) c’era solo un foglio bianco. “Quel giorno – ha detto il senatore Mancino – non annotai alcun incontro con il giudice Borsellino”. Ma l’ex ministro non ha fatto i conti con lo scetticismo di Angela Napoli (Fli) che gli ha chiesto se 5 giorni dopo, il 6 luglio, fosse venuto a Palermo. E alla sua risposta affermativa la deputata lo ha sollecitato a mostrare la pagina relativa dell’agenda: anche in quel caso, tra sussurri e risate soffocate dei commissari dell’Antimafia, il vicepresidente del Csm è stato costretto a mostrare un foglio bianco. Un siparietto triste su una materia che ancora scotta sulla carne viva del Paese, che francamente si poteva risparmiare.


 
 
 
Reminiscenze.
Prima di Conso già Claudio Martelli e Luciano Violante, altri protagonisti di quei giorni, hanno esternato dopo molti anni. Mancino, invece, non ricorda l’incontro con Borsellino.


Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza

Da Il Fatto Quotidiano del 14-11-2010

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