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Fallito attentato stadio Olimpico: quei misteriosi collegamenti con Gladio e Peteano PDF Stampa E-mail
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Scritto da Luigi Grimaldi   
Giovedì 02 Dicembre 2010 09:21
E' di pochi giorni fa, davanti ai magistrati della Dda di Palermo l'interrogatorio di Nicolò Amato l'ex direttore del Dipartimento amministrazione penitenziaria che nel '93, nel pieno di una, o forse due trattative parallele tra mafia e pezzi dello Stato, chiese la revoca del carcere duro, il 41 bis, per i detenuti mafiosi. Amato è stato ascoltato dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia e dai pm Antonino Di Matteo e Paolo Guido.
 Sia Amato che l'allora ministro Guardasigilli Giovanni Conso, hanno rivendicato la paternità esclusiva delle rispettive decisioni in merito al 41 bis, escludendo quindi l'esistenza di suggeritori. Ma Amato ha precisato che: “Della trattativa tra Stato e mafia non so nulla. Il fatto che l’allora ministro Conso non rinnovò 140 decreti di 41 bis nel novembre ’93 l’ho appreso solo in questi giorni”. Insomma l 'annullamento del carcere duro, richiesto da Cosa Nostra e non solo, a suon di bombe, sarebbe stato concesso da protagonisti che erano all'oscuro delle richieste di Cosa nostra ma coscienti della relazione tra annullamento del carcere duro e stagione stragista.
Conso ha infatti sostenuto che il suo intervento avrebbe evitato nuove stragi mafiose, riferendosi al fallito e mai ripetuto attentato dello stadio olimpico di Roma, la cui data è incerta, a fine ottobre 93 o a gennaio 94, ma sempre in coincidenza con partite nella capitale dell'Udinese: a ottobre contro la Lazio o a Gennaio contro la Roma. Una autobomba approntata in via dei Gladiatori, per fare strage tra i Carabinieri del servizio d'ordine pubblico. Carabinieri, Udine, Gladiatori, strage. Un messaggio denso di significati e di richiami, quasi una citazione delle vicende legate alla strage di Peteano del 1972, alla vicenda Gladio: fatti  nel '93 di esplosiva attualità, al centro della cronaca e di eclatanti vicende giudiziarie e politiche. Fatti che con la mafia, almeno per come noi la conosciamo, non sembrerebbero avere niente e che fare.

In una recente intervista rilasciata a chi scrive e a Luciano Scalettari, il Sostituto procuratore di Caltanissetta, (attualmente sostituto procuratore a Roma) Luca Tescaroli ha sostenuto che: “L’obiettivo in quel caso era di colpire soprattutto i carabinieri e di uccidere il più possibile. L’attentato non va a buon fine solo per il malfunzionamento del telecomando. Sarebbe stata la strage più tremenda: l’autobomba doveva esplodere di domenica, al termine della partita di calcio. Venne piazzata nel punto di concentramento degli appartenenti dell’Arma di servizio allo stadio, in occasione dell’incontro di calcio Lazio-Udinese”.
Una strage predisposta in via dei Gladiatori, un dettaglio interessante per ricordare l'attenzione posta nell’inviare messaggi anche attraverso le cosiddette rivendicazioni ambientali della Falange armata.
“Sì, in via dei Gladiatori. L’attentato era stato corredato dall’invio di lettere anonime. Faceva verosimilmente parte della strategia correlata alla trattativa”.

Un nuovo mistero. Il fatto è che Giovanni Conso, giurista prestigiosissimo e stimato, di cui Amato è stato un fidato collaboratore, nel 1972 venne incaricato dal Generale dei Carabinieri Giuseppe Palumbo di coordinare una intera pattuglia di avvocati di primo piano (consigliatigli dallo stesso Conso) per sostenere le fasi processuali (come difensori di parte civile) dei familiari dei carabinieri uccisi nella strage del 31 maggio 1972, a Peteano nei pressi di Gradisca, in provincia di Gorizia. Di fatto una azione di supporto giuridico delle accuse rivolte, per volontà del Servizio segreto militare, a 6 giovani goriziani innocenti. Un depistaggio, ordito anche allora all'insaputa di Conso, che nella vicenda non è mai stato direttamente o indirettamente coinvolto,  ma che è stato messo in atto da altissimi ufficiali dei Carabinieri e dai servizi segreti per impedire che la strage rivelasse l'esistenza di Gladio. Condannati per azioni depistatorie furono anche il colonnello Dino Mingarelli (Comandante della Legione di Udine, condanna confermata in Cassazione nel 1992) e, per il reato di favoreggiamento aggravato, l'allora segretario dell'MSI Giorgio Almirante (poi amnistiato). Anche il generale Giovanbattista Palumbo (comandante della divisione Pastrengo di Milano) aveva partecipato al depistaggio per attribuire l'attentato ai gruppi di estrema sinistra, evitare che venissero individuati i neofascisti udinesi (gli ordinovisti Cicuttini, Vinciguerra e Boccaccio), autori della strage dei carabinieri, e cicatrizzare la falla apertasi nella segretezza della Gladio. Operazione fallita. Gladio venne alla luce e il Generale Palumbo, se non fosse deceduto alcuni anni prima del processo, avrebbe dovuto sedere sul banco degli imputati. Proprio Palumbo è colui che incarica Giovanni Conso di “coordinare” l'attività di tutte le parti civili, di dirigere in pratica i legali dei familiari dei Carabinieri uccisi nella strage, sostenendo, ancora una volta a sua insaputa, le false tesi accusatorie depistanti montate nell'ambito del procedimento, sia in primo grado che in appello. Lo affermano le testimonianze di alcuni legali parte del pool, tra cui l'Avvocato Fabio Dean,  indicato a Palumbo da Conso, e noto come difensore, in quegli anni, di Licio Gelli e del bombardiere nero Gianni Nardi, fermato, poco dopo la strage di Peteano, al confine con la Svizzera, con un carico di armi e una mappa con segnalata una località molto prossima al luogo della strage. Si tratta  di deposizioni rese nel quadro delle indagini sui depistaggi delle indagini sulla strage, risalenti al 1987: vi sarebbero state diverse riunioni a Milano tra Carabinieri e avvocati, presenti lo stesso Dean, Giovanni Conso e i depistatori: il Colonnello Mingarelli e il Generaqle Palumbo. La storia di questo paese è purtroppo un intrigo senza fine, un pozzo senza fondo.

E infatti, chi non ricorda la misteriosa e allarmante presenza, asfissiante fino al 1994, della Falange Armata? Un nucleo di guerra psicologica coordinato e attivato da professionisti della destabilizzazione e dell'intimidazione. Roba da spie di alto livello. Dei vari 007 coinvolti dalle indagini uno solo è morto in circostanze misteriose. Vincenzo Li Causi, il responsabile del centro Gladio di Trapani, assassinato in Somalia nel 1993. Il fatto è che le indagini sulla Falange hanno percorso  due strade parallele (entrambe non hanno portato a nulla): da una parte la famosa “lista” degli uomini di punta di Gladio (formalmente allontanati dal servizio) e dall'altra l'individuazione di due presunti telefonisti (uno arrestato e poi scagionato, l'altro, udinese, coinvolto nelle indagini su Unabomber e collegato alla Falange e alle rivendicazioni del '93 da una perizia fonica). Dei due il primo, Carmelo Scalone, educatore carcerario, è stato indicato da più fonti come uno dei più stretti collaboratori proprio di Nicolò Amato (che però smentisce). Sia Amato che Scalone furono oggetto ricorrente, nel 1993 e 94, delle minacce della "Falange", tanto che a Scalone era stata assegnata una scorta. Ma alla fine Scalone è stato prosciolto da ogni accusa, il sospetto Unabomber non è mai andato a processo, Li Causi è deceduto e Amato, così come avvenuto per Conso in relazione alla strage di Peteano,  non è stato sfiorato dalle indagini sulla Falange. Ma oggi tutto acquista un altro sapore e un altro senso. Sono “i soliti sospetti”? Nessuno lo sa, per ora, e infatti si indaga sulla trattativa, le bombe e l'annullamento del 41 bis all'insaputa della trattativa tra mafia e Stato, in cui sarebbero stati protagonisti il Sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino e il Generale dei Carabinieri Mario Mori, da parte di Conso e Amato. Massimo Ciancimino, il figlio del Don Vito Ciancimino, è tornato nei giorni scorsi sulla vicenda rivelando che la nomina di Amato come difensore del padre avvenne “su spinta di rappresentanti delle istituzioni". Di più, Ciancimino Jr. ha sostenuto che il nome di Nicolo' Amato, ex direttore del Dap, come avvocato, "ci fu suggerito da Mario Mori (...) Nel giugno del '93 - ha raccontato - io e l'avvocato Giorgio Ghiron andammo a Roma dove Mori ci suggeri' il nome di Amato come difensore di mio padre che all'epoca era gia' detenuto". I misteri d'Italia: un pozzo senza fondo.


Luigi Grimaldi (Antimafiaduemila, 30 novembre 2010)










 

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