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Mafia, nuovi guai per Ciancimino jr PDF Stampa E-mail
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Scritto da Redazione Il Fatto Quotidiano   
Domenica 19 Dicembre 2010 10:39

Il Corriere della Sera riporta stralci delle intercettazioni tra il figlio di don Vito e Strangi, uomo vicino alla 'ndrangheta. L'erede dell'ex sindaco di Palermo si vanta di poter avere informazioni sulle inchieste e parla del presunto tesoro del padre

Per Massimo Ciancimino adesso si fa davvero dura. Il Corriere della Sera pubblica la trascrizione di una serie di intercettazioni ambientali che, se confermate nel contenuto, dimostrano come il figlio di don Vito nasconda ancora all’estero una parte importante del tesoro di suo padre. E soprattutto evidenziano come Ciancimino junior per farlo rientrare in Italia abbia tentato di mettere in piedi un’operazione di riciclaggio basata su contratti di consulenza e fatture false.

Al centro della storia c’è l’ormai famoso viaggio a Verona effettuato da Ciancimino a fine ottobre senza scorta. Un viaggio in cui, il testimone di vent’anni di rapporti tra lo Stato e la mafia recentemente indagato per calunnia ai danni del capo degli 007 Gianni De Gennaro, incontra assieme al suo commercialista Girolamo Strangi, un professionista calabrese legato al clan Piromalli di Gioia Tauro.

Nelle sue interviste Massimo Ciancimino aveva sostenuto di essere finito da Strangi quasi per caso. A fare da tramite con lui, aveva infatti spiegato, sarebbe stato un commercialista che cercava persone disposte a finanziare le sue attività di brokeraggio di acciaio.

Una ricostruzione che cozza con quanto scrive il Corriere. Il quotidiano di via Solferino spiega infatti che durante un colloquio con Strangi l’erede dell’ex sindaco di Palermo, condannato per mafia, parla del presunto tesoro del padre. Il denaro sta a Parigi, scrive il quotidiano milanese, i due discutono di come farli rientrare. “Un intermediario, tale Paolo, sarebbe dovuto andare a Parigi e portare il denaro in macchina fino in Calabria, ma Ciancimino è perplesso: ‘Ti fidi a fare tutto questo percorso in macchina con i soldi? Io non ho problemi, che sono con scorte e tutto, passo ovunque’”. Da quel che dice il figlio di “don Vito”, quei contanti da riconvertire in altre forme sembrano derivare dalla vendita della società Gas Natural, “vicenda già passata al setaccio nel processo in cui è stato condannato: ‘Questi sette (presumibilmente milioni di euro, ndr) miei in nero, alcuni li ho spesi e poi sono rimasti’. In tutto sarebbero cinque milioni: ‘Io ce ne ho un pacco ancora da cinque che è sottovuoto…. la banca me li dà sottovuoto cinque milioni…’. E in un altro passaggio Ciancimino jr si lamenta: ‘Stanno là a fare la muffa’”.

All’origine dell’indagine della procura di Reggio Calabria, che ha inquisito Ciancimino jr per riciclaggio, ci sarebbe il tentativo di ripulire i fondi neri attraverso uno scambio di contanti con assegni. Notizia emersa già settimana scorsa ma che oggi trova nuove conferme. Stando almeno a quanto scrive il Corriere. “Li porto in Italia i miei cento e poi li do a Paolo?”, chiede Ciancimino. E ancora: “Una volta che abbiamo messi questi cento, mi devi dare settanta di assegni, giusto?”. Centomila contro settantamila, par di capire. Prosegue l’articolo: “Perché Massimo Ciancimino – già condannato per riciclaggio di una parte del “tesoro” di provenienza mafiosa accumulato dal padre – sostiene di avere molto contante in Francia, che deve far rientrare in Italia sotto altre forme: ‘Per me il contante è micidiale. Io faccio tutto con carta di credito. A me serve. Perché girano le tue aziende, che poi riesci a farmele avere come consulenze. L’ideale sarebbe creare una società all’estero a cui io fatturo consulenza tipo informatica, energie… cose varie… e loro mi pagano’.

Ciancimino dice a Strangi che per lui i contanti “’sono carta straccia’ e spiega che se venisse sorpreso a versare, spendere o spostare banconote ricomincerebbero i suoi guadi ‘vado su tutti i giornali del mondo’, ‘Ciancimino è andato a recuperare il tesoro’, sono rovinato’”, conclude.

Ieri la procura ha interrogato Girolamo Strangi, ritenuto complice del figlio di don Vito. A Strangi i magistrati di Reggio hanno contestato i colloqui intercettati nel suo ufficio con Ciancimino jr e altre vicende. Comprese le preoccupazioni giudiziarie dell’imprenditore calabrese, che il suo interlocutore si propone di risolvere, riporta sempre il Corriere della Sera.

“’A me mi stanno addosso”, dice Strangi. E Ciancimino: ‘Se hai problemi dimmelo. A Verona ti faccio nominare un avvocato che, praticamente, è il professore all’accademia della guardia di finanza’. Poi sostiene di essere in grado di verificare l’esistenza di qualsiasi indagine grazie alla banca dati dei magistrati di Palermo, di cui afferma di poter disporre pressoché a suo piacimento: ‘Io me la vado a vedere nel registro. C’è la convergenza nazionale dei dati. E ti stampano tutto, quelle in corso e tutto. Se gli digito un nome mi dice se c’è l’iscrizione in un’indagine, anche dei vigili urbani. E’ la banca dati del ministero. Della dda, dell’antimafia, ce li ha tutti i dati, pure se hai perso il passaporto. Se ti serve saperlo io, quando ho un attimo guardo’.

Strangi si mostra interessato ma dubbioso: “Non vorrei innescare un meccanismo che tu vai a vedere e quello… non vorrei causare casini’, e Ciancimino ribatte ‘Sennò regalo un i-phone a qualcuno e glielo faccio vedere’”.

Non solo, l’erede dell’ex sindaco di Palermo sostiene di avere mani libere. “Io faccio quello che minchia voglio là dentro. L’altra volta mi sono andato a vedere un file dove c’erano le barche da sequestrare”. E poi, riferendosi a inchieste fiscali a suo carico (ce n’è una a Forlì) e alla trasmissione Annozero alla quale aveva appena partecipato: “L’hai vista? Sono un’icona per loro. Se io dico, mi vogliono fottere con una minchiata, mi vogliono coinvolgere e robe varie, loro….. in gioco io c’ho molto di più di un’inchiesta fiscale. E allora gli dicono a quelli: guardate che è il nostro teste principale d’accusa su quel che è successo negli ultimi vent’anni, non mo screditate per una cazzata’”. Parole che, spiega il Corriere, gli investigatori ritengono essere una millanteria. Ma che bastano per screditare Ciancimino. Non tanto per quanto riguarda il contenuto delle sue dichiarazioni sulla trattativa Stato Mafia, ritenute credibili dai magistrati solo quando supportate da documenti. Ma per quanto riguarda le motivazioni che lo hanno spinto a parlare.

Lettera aperta di Benny Calasanzio a Massimo Ciancimino: clicca qui

Da IlFattoQuotidiano.it




La sovraesposizione mediatica di Massimo Ciancimino


In una conversazione il superteste della trattativa tra Stato e mafia si definisce "icona dell’antimafia", come suo padre lo fu della mafia politica, millantando di muoversi tra procure e divise con la stessa logica "vincente" di don Vito: fare favori per ottenere favori

Promette intrusioni fraudolente nel registro degli indagati della Procura e recluta avvocati che insegnano “all’Accademia della Guardia di Finanza’’. Si propone come corriere per portare contanti (“non ho problemi, con la scorta passo ovunque’’) e di offrire I-Phone in regalo per corrompere funzionari. E alla fine rivela il suo problema principale: “Far rientrare dalla Francia cinque milioni di euro che stanno lì a fare la muffa’’.  L’orecchio attento delle intercettazioni (sempre benedette, in questo Paese che offre il suo vero volto solo al riparo dai riflettori) capta i discorsi di Ciancimino jr, a colloquio a Verona con un imprenditore sospettato di essere vicino alla ‘ndrangheta. E incontrato il 1 dicembre scorso da Ciancimino jr che ha eluso per qualche ora la sorveglianza della sua scorta.

Nella conversazione il superteste della trattativa tra Stato e  mafia si definisce “icona dell’antimafia”, come suo padre lo fu della mafia politica, millantando di muoversi tra procure e divise con la stessa logica “vincente” di don Vito: fare favori per ottenere favori. “Io faccio quello che minchia voglio là dentro’’  si vanta Massimuccio, che è certo di avere in tasca la matta (il re di cuori) dell’Antimafia che gli assicurerebbe, dice, la piena impunità, soprattutto per quello che gli sta più a cuore: i milioni di euro accumulati dal padre. “In  gioco io ho molto di più di un’inchiesta fiscale, così gli dicono (i pm di Palermo, ndr) a quelli (di Caltanissetta, ndr) guardate che è il nostro teste d’accusa  su quel che è successo negli ultimi vent’anni, non ce lo screditate per una cazzata”.

Questa e’ stata probabilmente la goccia che ha fatto tracimare il vaso, già colmo, della tolleranza nissena:  subito dopo quelle parole, il figlio di don Vito, è passato in quella procura da teste ad indagato per calunnia nei confronti di Gianni De Gennaro e Lorenzo Narracci, “icona” reale dell’antimafia il primo, funzionario del Sisde il secondo, due 007 che hanno attraversato la stagione antimafia ricca ancora oggi di molte luci e qualche ombra.  Calunnia a Caltanissetta e riciclaggio a Reggio Calabria, proprio per i suoi rapporti ancora da decifrare con l’imprenditore Girolamo Strangi emersi nell’intercettazione di Verona sono le nuove accuse cui Massimo Ciancimino è chiamato a rispondere.

Oggi che l’icona antimafia si sporca, e viene ricondotta nel più tradizionale alveo familiare la delusione coglie solo chi si era illuso che Massimo Ciancimino portasse con sé la bandiera dell’antimafia. Chi l’ha sempre visto come un semplice teste, si interroga soltanto su quella che il pm Antonio Ingroia definisce ‘’metamorfosi mediatica’’. E cioè la sovraesposizione di un teste dal cognome  ‘pesante’, a Palermo, portato in giro, per giornali, tv e presentazioni di libri, scortato come un magistrato, ed esaltato come una star: una sovraesposizione che ha trasformato in mito antimafia il figlio minore del gran burattinaio degli affari palermitani a cavallo tra politica e mafia, che ha deciso, per motivi suoi, di rompere, con modi e tempi tutti suoi, l’omertà paterna. Tutto cio’ non inficia, però, la credibilità delle sue dichiarazioni, così come gli omicidi commessi dal pentito Marino Mannoia non hanno scalfito la forza delle sue accuse, confermate dalla Cassazione, sull’incontro tra Andreotti ed il boss Stefano Bontade.

Semmai rafforza il setaccio giudiziario attraverso cui i suoi segreti vengono passati, a cominciare dalla trattativa tra mafia e Stato: sono state le parole di Ciancimino jr a sollecitare la memoria di illustri esponenti delle istituzioni che fino a quel momento si erano ben guardati dal riferire cio’ che sapevano.  A differenza dei collegi giudicanti, a Palermo e  Firenze, che hanno giudicato inattendibili e generiche le parole di Ciancimino jr prima ancora di averlo ascoltato, la procura di Palermo continua a sentirlo e a valutarne le rivelazioni e i documenti. Non stupisce (come due anni fa, ma oggi c’e’ una conferma) che a dispetto dei buoni propositi il figlio di don Vito, appare abbarbicato alla sub cultura del padre:  ma, al netto dei riscontri, è il prezzo che questo Paese deve pagare perche’ vengano ricostruiti brandelli di verità su un periodo oscuro lungo ben piu’ di una stagione stragista.

Le ombre, semmai, possono riguardare i motivi che lo hanno indotto a parlare, ma sono ininfluenti rispetto alla veridicita’ delle dichiarazioni e riguardano solo lui: “Mi ero rotto le scatole di proteggere tutti e pagare solo io – ha detto in un’intervista – e mia moglie (stanca dei guai giudiziari, n.d.r.) mi disse che stavo rovinando il bambino chiamandolo Vito Andrea. Con lei presi un impegno, il giorno che sarei stato condannato avrei smesso con questa vita. Da oggi voglio che mio figlio Vito sia orgoglioso di portare il cognome che porta’’.  E dipende solo da lui se dovra’ rinviare il proposito di una generazione, delegando il pesante fardello a Vito Andrea.


Giuseppe Lo Bianco (ilfattoquotidiano.it, 18 dicembre 2010)


















 

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