"Nella Sicilia della prima metà del ‘900, dove gran parte della popolazione era costretta a vivere in condizioni di povertà e schiavitù, Accursio Miraglia pagò con la vita la sua coraggiosa lotta contro le ingiustizie.

Come nel resto dell’Isola anche a Sciacca le famiglie aristocratiche e quelle borghesi, in combutta con la mafia, esercitavano un feroce controllo del territorio che impediva alla povera gente qualsiasi possibilità di sviluppo ed emancipazione economica e sociale.
Qui Miraglia diede vita alla prima Camera del lavoro della Sicilia al fine di dare rappresentanza ai lavoratori, nella stragrande maggioranza dei casi analfabeti e abbrutiti dalla fatica. La sua impresa più importante fu sicuramente la costituzione della cooperativa “La Madre Terra”, con la quale si fece portavoce di decine di agricoltori che chiedevano l’attuazione dei decreti Gullo, per la redistribuzione delle terre incolte alle cooperative di contadini.
Nel corso degli anni l’attività sindacale e politica svolta da Accursio Miraglia divenne una minaccia per notabili e mafiosi. Per questo Cosa nostra lo uccise il 4 gennaio del 1947.

La sua fu una vita spesa per i diritti e la libertà degli ultimi e degli emarginati; una vita che bisognava “vivere all’impiedi e non in ginocchio”, come amava dire. Una testimonianza della storia dell’antimafia e dell’impegno civile del nostro Paese che dovrebbe appartenere al patrimonio culturale e valoriale di ogni cittadino onesto e consapevole.

A 63 anni di distanza il suo assassinio grida ancora verità e giustizia. L’inchiesta, infatti, fu oggetto di depistaggi da parte di quei settori delle istituzioni collusi con la mafia e con i mandanti dell’omicidio.

Così come è stato fatto per la strage di Portella della Ginestra bisogna riaprire il caso di Accursio Miraglia e di tutti coloro che hanno perso la vita nella lotta alla criminalità organizzata senza che abbiano ricevuto giustizia come, ad esempio, Placido Rizzotto e Turiddu Carnevale.
È necessario togliere il segreto ai documenti dei servizi e dare la possibilità alla magistratura e alla Commissione antimafia di accedere direttamente agli archivi dei servizi segreti e consultarli insieme agli storici e ai rappresentanti delle famiglie delle vittime.

Giuseppe Lumia"

da: giuseppeLumia.it

Oggi cade anche l’anniversario della morte del sovrintendente calabrese Salvatore Aversa, ucciso in un agguato della ‘ndrangheta a Lamezia Terme, insieme con la moglie Lucia Precenzano. Si trovavano in via dei Campioni, una via che oggi porta il loro nome, quando un commando di morte, guidato dai tarantini Salvatore Chirico e Stefano Speciale, uccise entrambi senza pietà. Salvatore Avversa era un poliziotto scomodo perché indagava con passione, serietà e dedizione sulle attività illecite delle cosche della ‘ndrangheta lametina ed è un altro degli innumerevoli servitori dello Stato che vanno ad aggiungersi a quella lista interminabile di eroi che vengono acclamati ed onorati solo dopo la morte, solo quando una strada porta il loro nome. È quando si incrociano per strada, quando sono ancora vivi che dobbiamo onorarli e supportarli gli eroi come Salvatore Aversa. Preservare il ricordo di questi servitori dello Stato deve essere un dovere morale che vada al di là delle semplici commemorazioni annuali e oltrepassi le soglie della memoria, sino a restituire nuovamente loro la vita. Se diciannove anni fa Salvatore Aversa era un morto che camminava, facciamo in modo che, due decenni dopo, egli sia vivo e presente in mezzo a noi e costituisca il modello al quale i giovani, e anche quelli un po’ più vecchietti, possano ispirarsi quotidianamente.

Serena Verrecchia

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