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Giuseppe Insalaco, vittima di mafia PDF Stampa E-mail
Documenti - Per non dimenticare
Scritto da paginedellastoria.splinder.com   
Mercoledì 12 Gennaio 2011 15:54
Alcune vittime della mafia, purtroppo, vengono dimenticate. Tra queste c’è Giuseppe Insalaco, che ricoprì la carica di Sindaco di Palermo per soli tre mesi, dal 17 aprile al 13 luglio del 1984.

Le elezioni amministrative del 1980 hanno consegnato alla storia del capoluogo siciliano un Consiglio comunale completamente in mano alla Democrazia Cristiana: 46,7% di suffragi, 39 consiglieri su 80: una maggioranza schiacciante, quasi assoluta, che avrebbe dovuto consentire alla “Balena Bianca” di governare in tutta tranquillità.

Tuttavia, poco dopo la formazione dell’assemblea, emerge uno scontro tra tendenze nuove, finalizzate ad una politica diversa e più vicina alla gente ed ai suoi mille problemi, e il vecchio modo di intendere la cosa pubblica, colluso e clientelare: da una parte quindi alcuni giovani volenterosi, dall’altra il blocco di potere guidato e rappresentato da Vito Ciancimino.

In questo contesto nacque la giunta di Insalaco, che fin dal primo giorno si dovette confrontare col sistema di potere che fa capo proprio a Ciancimino il quale, in prima persona, non voleva che si cambiassero gli appalti per la gestione delle strade e delle fognature (gestito ininterrottamente dal 1938 dalla ditta Lesca, della nobile famiglia Cassina) e per la manutenzione dell’illuminazione delle strade pubbliche (gestite dal 1969 dalla Icem di Roberto Parisi).
La nascita della giunta di Insalaco, infatti, doveva essere nella mente del blocco di potere di Ciancimino un contentino alle forze nuove della DC che spingevano per un forte cambiamento: assegnare la poltrona di primo cittadino ad un giovane, ad un volto nuovo e pulito, rappresentava per i membri del consolidato sistema affaristico–politico presente in Palermo, un modo sicuro per contentare l’opinione pubblica ma anche per far sì che nulla cambiasse, convinti come erano che il nuovo ed inesperto Sindaco sarebbe stato comodamente manovrabile e che, quindi, non avrebbe messo mano al modo di assegnazione degli appalti pubblici fino ad allora adottato.

Tuttavia, Ciancimino si trovò di fronte ad un Sindaco diverso da quello che credeva: Insalaco insistette infatti affinchè gli appalti venissero da allora in poi assegnati non sulla base di una trattativa privata, ma in virtù di gare pubbliche aperte a tutte le imprese che avessero voluto parteciparvi. Tale decisione venne ratificata il 6 luglio del 1984 dalla seduta del consiglio comunale, i cui atti verranno poi trasferiti dallo stesso Sindaco alla Procura della Repubblica ed alla Commissione antimafia, contribuendo così a ricostruire il clima di pesante condizionamento in cui le Istituzioni palermitane erano solite operare.

Da quel momento, iniziano a circolare su Insalaco sospetti di collusione ed accuse di interesse privato in atti d’ufficio: le accuse, pervenute in forma anonima in due esposti (uno precedente alla sua nomina a sindaco, uno immediatamente successivo) dopo il 6 luglio vengono prese sul serio dal Sostituto Procuratore Carrara. Così, gravato da queste accuse, Insalaco si dimette dalla carica il 13 luglio del 1984: il 3 ottobre successivo, in una deposizione storica davanti alla Commissione parlamentare antimafia, parlerà del modo con cui venivano distribuiti gli appalti in Sicilia e del ruolo delle cosche, affermando tra l’altro:

“Non sono un democristiano pentito, ma sono venuto qui per dire quello che penso della DC palermitana, degli affari, dei grandi appalti, di Ciancimino, dei perversi giochi che mi hanno costretto alle dimissioni dopo appena tre mesi”

Il 17 ottobre la sua auto, parcheggiata davanti casa, prese misteriosamente fuoco. Nel mese di febbraio del 1985 viene arrestato e, dopo lunghe deposizioni rese al Consigliere Antonino Caponnetto ed al Giudice istruttore Giovanni Falcone, ad agosto ottiene la libertà provvisoria.

La mafia però non dimentica gli sgarbi: lasciato solo per i successivi ventinove mesi, Giuseppe Insalaco viene assassinato il 12 gennaio del 1988, ucciso a colpi di pistola nella sua automobile mentre rientrava a casa. Dopo la sua morte viene rinvenuto un memoriale ricco di accuse verso i vertici della DC palermitana e il mondo imprenditoriale siciliano.

Nel 2001 per Domenico Ganci è diventata definitiva la condanna all’ergastolo per l’assassinio dell’ex Sindaco di Palermo: per lo stesso Ganci il 30 dicembre 2008 il Giudice di Sorveglianza di Roma ha disposto la sospensione del regime carcerario “duro” (41 bis).

Fonte: paginedellastoria.splinder.com

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