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Lima, Cuffaro, Dell’Utri, Cosa nostra e l’elogio della dignità PDF Stampa E-mail
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Scritto da Pippo Giordano   
Lunedì 24 Gennaio 2011 21:29

24 gennaio 2011 -  La sentenza emessa a carico di Cuffaro dimostra per intero, che finalmente la Giustizia si è appropriata di quella parte di territorio, per anni e anni in mano a Cosa nostra e a taluni politici.

Risulta risibile disquisire se la sentenza irrorata sia più o meno equa, talchè l’aspetto preminente non è nella quantificazione della pena, ma bensì sull’affermazione che nessuno e ribadisco nessuno, può essere a riparo della longa manus della Legge. La sentenza di condanna, apre nuovi scenari sinora volutamente sopiti, sui rapporti tra mafia e politica: d’ora innanzi non ci saranno più sacrestie o ambulacri inviolabili.

Questa è una sentenza emessa in nome del Popolo italiano, ben diversa da quella emessa da Cosa nostra di Totò Riina, nei confronti di Salvo Lima, dell’esattore Di Salvo e contro tanti innocenti.

In questi giorni, con evidente chiacchiericcio da bar dello sport, si sono sprecati gli aggettivi per connotare la sentenza e su tutto emergeva l’invito a riaffermare che le sentenze “vanno rispettate”, altresì è stata evidenziata la compostezza di Cuffaro. Dissento e non apprezzo l’elogio sulla dignità di Totò Cuffaro.

No! La dignità l’ha persa nel momento in cui si è accordato coi mafiosi. Non condivido pur rispettandole le espressioni di Luca Telese del Fatto Quotidiano e di Enrico Bellavia di Repubblica, che affermano di “provare rispetto” nei confronti di Cuffaro.

Signori giornalisti, io non nutro affatto rispetto con chi esercitando una carica istituzionale ha fatto accordi coi mafiosi. Non foss’altro perché i tanti Cuffaro hanno permesso a Cosa nostra di impadronirsi dell’onestà dei Siciliani. E, non provo nessun sentimento per la sua detenzione. Anzi, mi auguro che altri lo seguano, perché non si può essere collusi con Cosa nostra e nello stesso tempo ricoprire cariche pubbliche. Se vuoi fare il mafioso ti fai “punciri” ed entri di diritto nella consorteria criminale.

Le sentenze devono essere rispettate, d’accordo, ma ciò non toglie che devono essere condivise. Per esempio, non ho condiviso la frettolosa sentenza emessa a proposito dell’Agenda Rossa di Paolo Borsellino. A parer mio, in quella circostanza la Cassazione non ha tenuto in debito conto delle “amnesie” e delle dichiarazioni discordanti, che gli attori intervenuti in via D’Amelio, avevano fatto emergere con lapalissiana contraddizione, consentendo di fatto allo “sciacallo” di rimanere impunito.

La sentenza di Cuffaro. Questa sentenza arriva con un trentennio di ritardo poiché i vari Cuffaro e Dell’Utri di oggi, sono i Lima o gli Andreotti di ieri, quando la prosopopea e l’arroganza dell’immunità, era scontata.

E, solo un pugno di uomini da Cassarà, Chinnici, Falcone e Borsellino contrastavano quel becero patto tra politica e mafia. Loro, hanno tentato di perforare quel muro di gomma che era stato eretto a protezione del mondo politico siciliano e nazionale, e che gli stessi uomini di Cosa nostra vigilavano armati sino ai denti. Ad ogni piè sospiro veniva ricordato loro che “chi tocca i fili muore”, e di non disturbare il “cane che dorme”.

Eppure, quel bunker inaccessibile ad un certo punto, in seguito alle dichiarazioni di alcuni pentiti, inizia a sgretolarsi e tuttavia, la strada per loro era sempre in salita. Ma, come poteva lo Stato di combattere la mafia se la Polizia disponeva di una Sezione investigativa antimafia composta da soli 42 addetti? Mentre l’esercito di Cosa nostra, poteva contare su un esercito di 5000/6000 uomini? Se questa non era compiacenza, favoreggiamento e vicinanza, della politica a Cosa nostra, ditemi cos’era?

Nella Sicilia degli anni ottanta era notorio che taluni politici erano “molto vicini” ad esponenti di Cosa nostra e non lo nascondevano nemmeno. Anzi, la visibilità in pubblico e a braccetto col mafioso, era il pass-partout per vincere le elezioni.

Le nostre amarezze e se vogliamo la nostra impotenza, amplificata dalla nostra solitudine, era voluta da chi avrebbe dovuto per dovere istituzionale, fornirci leggi e strumenti idonei per la bisogna. Poi, quando Lima e i uno dei cugini Di Salvo, referenti in Sicilia di Andreotti, sono stati assassinati per aver “tradito” Cosa nostra, ecco che la realtà collusiva emergeva in tutta la sua interezza.

Ma quanti altri politici siciliani non sono stati sfiorati dalle indagini di mafia? Tanti!

Oggi. Cuffaro paga perché qualcosa di nuovo è emerso nella lotta a Cosa nostra. Ma questo “nuovo” purtroppo, è intriso di sangue innocente delle vittime di violenza mafiosa. Ritengo, che a Salvatore Borsellino, fratello di Paolo, vada riconosciuto il merito di aver risvegliato le coscienze degli italiani onesti e soprattutto nei giovani. Il ruolo propositivo delle Procure di Palermo, Caltanissetta e Firenze ha consentito il realizzarsi di quelle che furono le aspettative di Falcone e Borsellino.

Marcello Dell’Utri, già condannato in primo grado e in appello, attende la decisione della Cassazione ed io accetterò qualsiasi esito, salvo poi esprimere la mia opinione. Ma per favore smettiamola con questo buonismo italico ora elargito a Totò Cuffaro e domani magari a Dell’Utri: la magnificenza della dignità. Ci manca solo che li invitiamo ad andare da David Letterman show.

Comunque, una cosa deve essere chiaro per tutti. Non meritavamo di pagare un prezzo così alto di vite umane, per affermare che la politica era collusa con Cosa nostra. Il politici devono capire che lo Stato di Diritto è l’elemento fondante della nostra Democrazia. Non ci sono scorciatoie, la disonestà non paga. Cuffaro è un esempio, altro che elogio della dignità.


Pippo Giordano









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