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Salvatore Borsellino, da via D'Amelio a Cuffaro PDF Stampa E-mail
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Scritto da Adriano Nitto   
Lunedì 24 Gennaio 2011 23:35
L'INCONTRO. A Concesio affollata e toccante conferenza del fratello del giudice Paolo, ucciso a Palermo dalla mafia il 19 luglio 1992 . Sulla condanna dell'ex presidente della Sicilia: «Finalmente un politico sconterà la sua pena»

24 gennaio 2011. «Oggi è un buon giorno, per me. Finalmente un politico dovrà scontare la sua pena»: ha esordito così, Salvatore Borsellino - fratello del giudice Paolo, ucciso a Palermo nell'attentato mafioso di via D'Amelio il 19 luglio 1992 -, ospite sabato di un incontro pubblico a Concesio promosso dal Comitato di solidarietà di San Vigilio.
All'evento hanno partecipato oltre 300 persone, spesso in piedi ad applaudire con un'autentica «standin ovations» il relatore. Poche ore prima, la Corte di Cassazione aveva confermato la condanna a 7 anni di reclusione dell'ex presidente della Regione Sicilia, Salvatore Cuffaro, per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra e rivelazione del segreto istruttorio. «Io non godo del male altrui, ma sono contento perché la giustizia ha fatto il suo corso», ha commenta Salvatore Borsellino.

Giustizia. Il fratello del giudice ucciso dalla mafia la chiede a gran voce da 18 anni. «Sette anni fa ho scritto una lettera aperta, dal titolo "Una strage di Stato" - ricorda -. Paolo si era messo di traverso alla trattativa Stato-mafia, per questo non c'è più. Sua moglie Agnese crede che non si saprà mai chi lo ha ammazzato, perché salterebbe in aria metà dello Stato. E allora dico: che salti. Se ci sono state responsabilità e connivenze, che escano alla luce, altrimenti il Paese continuerà a scivolare verso un fondo che non c'è».
L'ATTENZIONE di Salvatore Borsellino si rivolge spesso a «parole che nel tempo hanno perso significato»: «Hanno chiamato "eroe" Mangano, lo stalliere mafioso che per anni è stato ospite di Berlusconi ad Arcore - sottolinea -. Eroe perché morto in carcere senza aver parlato, come se l'omertà fosse un atto di eroismo. E considerano i giudici un cancro da estirpare, diversi dalla razza umana, deviati mentali. Mio fratello non era niente di tutto questo».
La voce roca e l'inflessione siciliana di Borsellino scavano nel profondo del cuore di chi ascolta. Gli applausi sono ripetuti, scanditi dagli inequivocabili colpi di glottide di chi nel pubblico manda giù un boccone amaro. Come quando Borsellino racconta il radicale cambiamento del fratello in seguito all'attentato dell'amico e collega Giovanni Falcone: «Giovanni arrivò in ospedale ancora vivo. Paolo fece appena in tempo a raggiungerlo, per vederlo morire fra le sue braccia. Da quel momento non fu più lo stesso. A chi gli faceva notare che lavorava troppo, rispondeva di aver poco tempo. Quando fu scoperto l'arrivo di un carico di tritolo in città, Paolo era certo fosse destinato a lui. La figlia Fiammetta, mia nipote, ricorda come il padre non le rivolgesse più le carezze di un tempo. Si è scoperto poi che stava esercitandosi al distacco, in modo che il dolore della sua imminente scomparsa non fosse troppo pesante per la famiglia». Qualcuno, nel pubblico, non riesce a trattenere le lacrime. Sono storie che fanno male, come il ruolo della madre nella strage di via D'Amelio: «Quando si reca a trovare nostra madre, Paolo ha solo il tempo di suonare il citofono - ricorda il fratello -. Lei si alza per rispondere, allontanandosi dal vetro del soggiorno che si affaccia su via D'Amelio e allo scoppio della bomba si frantuma in mille pezzi. Le schegge si conficcano nelle pareti. Mia madre si è salvata andando a rispondere, mentre di sotto il corpo del figlio veniva ridotto in brandelli».
Lo sgomento è tale che le accuse rivolte da Salvatore Borsellino al magistrato Giuseppe Ayala sembrano passare quasi nell'indifferenza: «L'ho querelato penalmente, perché di recente mi ha dato del Caino ricordando come anche Abele avesse un fratello - denuncia -. Ayala mercifica il ricordo di Falcone e Borsellino con uno spettacolo a pagamento da 40 euro a poltronissima. E intanto ha fornito 6 o 7 versioni diverse sulla scomparsa, dopo l'attentato, dell'agenda rossa sulla quale mio fratello annotava contatti e pensieri inconfessabili». Ed è proprio l'agenda rossa che l'Arma dei carabinieri regalò al giudice a dare il nome al movimento delle «Agende Rosse» organizzato da Salvatore Borsellino: «Sono giovani che nell'agenda vedono un simbolo di verità negata e giustizia nascosta - sottolinea -. Sono i giovani in cui credeva mio fratello. La loro consapevolezza è l'unica speranza per questo Paese».


Adriano Nitto
(www.bresciaoggi.it, 24 gennaio 2011)














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