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Trattative Stato/Cosa nostra? Quadratura del cerchio PDF Stampa E-mail
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Scritto da Pippo Giordano   
Giovedì 03 Febbraio 2011 15:36
3 febbraio 2010. Va riconosciuto ai PM di Palermo, Caltanissetta e Firenze, l’intensa attività certosina posta in essere per “scrivere” quello che appare evidente sulla trattativa tra Stato e mafia il cui fine era quello di fermare la stagione stragista del 92/93.

È obbligo dire che quando si sviscerano fatti riconducibili a Cosa nostra, bisogna tenere in mente che decifrare il mondo mafioso è assai più semplice di quello che spesso ci appare.

In sostanza, talvolta si cerca di sezionare e sviscerare, idee, fatti o progetti mafiosi facendoci fuorviare da leggende metropolitane che ammantano Cosa nostra, propagandate da una certa letteratura fantasiosa.

Il vero problema di fondo è che a Palermo, noi investigatori di allora e credo che sia ancora così, sapevamo molto del mondo di Cosa nostra e vorrei sfatare quella nomea che i siciliani erano e sono omertosi.

È ovvio che chi “parlava” lo faceva ad personam, ovvero perché conosceva bene l’interlocutore e si fidava ciecamente. La difficoltà per noi, era mettere “nero su bianco” quelle notizie che difficilmente potevano assurgere ad elementi di prova da confutare in un’aula di Tribunale, perché mancava la testimonianza del relato. Dovevamo salvaguardare le loro vite.

E questa era la grande forza della mafia: intimidazione! Invero, la nostra debolezza, commista ad amarezza, consisteva nell’impossibilità di “indagare” sui signori politici, anche se chiari e limpidi segnali giungevano alle nostre orecchie.

La trattativa tra Stato e Cosa nostra, rientra in quest’articolato complesso di rapporti ove gli attori dei due schieramenti in simbiosi tra loro, si giovavano di interessi particolari.

Banalmente si potrebbe sintetizzare dicendo che una mano lava l’altra e che tutte due permettevano a Cosa nostra di prosperare a dismisura, mentre allo Stato, inteso come singolo politico o come partito, di poter governare localmente o a livello nazionale. Ma, a queste due realtà, che la cronaca giudiziaria ci ha ampiamente dimostrato, si dovevano giocoforza aggiungere le “entità” che si intersecavano nel patto di non belligeranza tra Stato e mafia e cioè, la massoneria e gli iscritti alla P2.

In quest’ottica complessa ma di puerile visibilità occorre ricercare quello che oggi viene definita “trattativa” tra pezzi dello Stato e il gotha di Cosa nostra, in ordine alle stragi del 92/93. Sono convintissimo che la “trattativa” ci sia stata.

Questa mia convinzione, parte da molto, molto lontano. In primo luogo e lo affermo con forza, se abbiamo avuto una Cosa nostra nel periodo di reggenza di Totò Riina così forte, è addebitabile agli accordi intercorsi tra mafia e politica: accordi verosimilmente continuati anche dopo l’arresto di Totò Riina.

Le stragi del 92/93 sono la conseguenza di un patto concordato e non onorato. In buona sostanza, Cosa nostra, vistasi “tradita”, ha ritenuto opportuno mandare messaggi di morte col chiaro intento di piegare lo Stato. Un sorta di remake dell’operazione Lima ed esattore Di Salvo, ma questa volta, poiché gli interessi generali dei mafiosi erano preminenti e vitali per salvaguardare l’intera organizzazione, ecco che Cosa nostra si è avvalsa delle stragi.

Le trattative per fermare le stragi, sono convinto che sono avvenute, ma mi preme fare un distinguo.

È probabile che all’inizio ci siano stati “contatti” tra pezzi dello Stato e mafiosi e che i contatti facevano parte di “esigenze investigative” il cui fine era appurare con certezza chi fossero gli autori delle stragi. Una volta aperto il canale e accertato che Cosa nostra era l’autrice delle stragi, nasceva l’esigenza di fermarli: ed ecco la “trattativa”.

Però, per esperienza diretta, mi sento di dire che la “trattativa” non poteva essere condotta dai soli investigatori, anche se rivestivano un ruolo di primo piano. Quindi, il bene placito per condurre le trattative con ampia sicurezza di riuscita, doveva per forza essere approvato dai responsabili politici che governavano il Paese.

Per meglio far comprendere quello che dico, giova un esempio. Sono stato autore di una complessa attività investigativa, condotta con trattative e che alla fine mi ha permesso stroncare un traffico di armi da guerra (missili, mine e armamenti vari) tra l’Italia e Saddam Hussein: operazione culminata col sequestro di due container a Fiumicino carichi di micidiali bombe cluster.

Successive altre trattative, da me condotte, dovevano far uscire da una ambasciata straniera di Roma, 2 kg e mezzo di uranio che erano nella disponibilità di un diplomatico. Ebbene, mentre nel primo caso non c’era alcun bisogno d’essere autorizzato, nel secondo invece, occorreva l’autorizzazione ad alto livello, che non è mai giunta. Io sono stato stoppato e l’uranio è rimasto nell’ambasciata.

Per concludere, affermo che la “trattativa” tra mafia e Stato, in ordine alle stragi del 92/93 sia avvenuta, giacchè la mafia aveva bisogno di riaffermare la propria forza minata dall’indiscussa opera di Chinnici, Falcone e Borsellino e lo Stato doveva recuperare la “Faccia”, persa nel non aver saputo evitare le stragi. La strage di via D’Amelio potrebbe inquadrarsi in quella che è stato il diniego di Borsellino nel condividere la “trattativa”.

Ad ogni modo, Cosa nostra e pezzi dello Stato, hanno voluto riaffermare il potere mediante la quadratura del cerchio: quadratura riuscita con via D’Amelio.


Pippo Giordano


da Blogsicilia.it








 

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