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Lettera aperta al figlio di Binnu Provenzano PDF Stampa E-mail
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Scritto da Pippo Giordano   
Mercoledì 09 Febbraio 2011 20:51
Solo pochi giorni orsono, il figlio di “Binnu” Provenzano, attraverso gli organi d’informazione aveva lanciato un appello, chiedendo “che suo padre venga curato e che non sia trattato come una bestia”.

Ovviamente, non posso non essere d’accordo sulla necessità di curare chi ammalato e, questo, indipendentemente se si chiami Provenzano a pinco pallino. Nel caso di specie il figlio non può pretendere di curare suo padre in regime di “arresti domiciliari”.

È ovvio che se si dovesse accertare che gli strumenti di cui dispongono le carceri, risultassero inidonei a debellare o lenire le sofferenze della malattia è giusto ricorrere, previo accertamento serio, alle cure esterne e comunque sempre in regime del 41/bis.

Lei, signor Angelo Provenzano, poi, afferma: “Anche un pluriergastolano ha diritto di essere trattato come un essere umano. Se poi l’esistenza di mio padre dà fastidio, qualcuno abbia il coraggio di chiedere la pena di morte, anche ad personam”

Io credo che l’esistenza in vita di Bernardo Provenzano non dia affatto fastidio a nessuno e se lei, invero, ha contezza del contrario lo dica apertamente, ma lei non può accusare un intero Paese, Magistratura compresa di volere la morte di suo padre o addirittura farlo vivere come una bestia.

L’art. 41/bis si è reso necessario per tagliare quel cordone ombelicale che teneva in vita i rapporti tra i mafiosi detenuti e quelli liberi.

È proprio l’applicazione del 41/bis che ha scatenato l’ira del gotha mafioso, che sentendosi tradito dalla “politica” ha tentato di sovvertire le Istituzioni con le stragi del 92/93. Si sono resi conto che episodi come quello del capo mafia Saro Riccobono, che da latitante riuscì ad entrare ed uscire indisturbato dall’Ucciardone per festeggiare ad aragosta e champagne, non possono più accadere.

Vorrei, pertanto, rammentarle che a proposito di “pena di morte”, suo padre Bernardo Provenzano è stato uno dei propugnatori ed esecutore dell’applicazione della pena di morte.

È stato provato che c’era in Italia, con la compiacenza o la miopia di una certa classe politica, un “tribunale” che emetteva sentenze di morte senza alcuna possibilità di appello per i condannati. Ed io, immagino, che in siffatto “tribunale” presieduto da Totò Riina, lo stesso suo padre, esercitasse le funzioni di “giudice” a latere. Salvo poi assurgere a presidente ad avvenuto arresto di Riina.

Quindi, per favore, non parli di pena di morte quando è ancora vivo il dolore per la perdita di vite innocenti, causate da Cosa nostra: organizzazione della quale suo padre aveva indiscussa leadership.

Veda signor Angelo, a me avrebbe fatto piacere sentire dalla sua viva voce una ferma e dura condanna di quel che è stato il mondo di suo padre, e mi rendo conto che le colpe dei padri non possono essere attribuiti ai figli. Però, quando lei afferma di non essere riuscito ad immedesimarsi nei suoi coetanei che hanno perso un genitore per morte violenta, io le credo!

È vero, ogni dolore lascia una traccia indelebile e diversa nel cuore di ogni persona e che non potrà mai essere codificata e lenita. Tuttavia, lei ha l’opportunità di lenire questi dolori, dicendo ai familiari delle vittime della violenza mafiosa: Mi spiace!

Inoltre, per riscattare il passato, suo padre potrebbe riscrivere la “Storia” di Cosa nostra degli ultimi cinquantanni. Lo stesso invito, l’ho rivolto circa un mese fa, anche a Riina, Bagarella e i Graviano. Non ho chiesto loro di pentirsi e non lo chiedo nemmeno a suo padre. come ha fatto il Sen. Lumia. Suo padre e gli altri sanno bene come fare per dar luce ad un passato opaco: dire la verità e il movente delle stragi.

E, come ho scritto nel mio post precedente, per umano rispetto di tutte le vite umane, auguro a suo padre una pronta guarigione.

Pippo Giordano

da BlogSicilia.it

 

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