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19 luglio 1992, strage di Stato PDF Stampa E-mail
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Scritto da Francesca Britti   
Giovedì 17 Febbraio 2011 17:53

Un’aula universitaria gremita di gente, soprattutto giovani. Un obiettivo comune: la lotta per la verità. Quella verità ancora nascosta sulla morte di Paolo Borsellino, ucciso in un attentato il 19 luglio 1992.

La facoltà di Economia della Sapienza di Roma ha ospitato, la sera di venerdì 11 febbraio, la proiezione in anteprima del film 19 luglio 1992. Una strage di Stato. Il documentario, scritto da Marco Canestrari e Salvatore Borsellino e diretto dallo stesso Marco Canestrari, raccoglie i momenti salienti della vita e della carriera di Paolo Borsellino tra immagini di repertorio e testimonianze di chi l’ha conosciuto come, ad esempio, Umberto Lucentini, biografo del magistrato palermitano, che ha ricordato il rapporto di stima e amicizia con Giovanni Falcone, ucciso anche lui in un attentato il 23 maggio dello stesso anno.

O come Antonio Ingroia, magistrato cresciuto nel pool antimafia di cui faceva parte Borsellino stesso, che, dopo la morte di quest’ultimo, in segno di protesta, insieme ai colleghi, si dimise dalla procura antimafia perché convinto che lo Stato non avesse protetto il suo “maestro”.

Tra le testimonianze più forti e incisive c’è quella di Gioacchino Genchi, consulente informatico che condusse l’inchiesta, nonostante l’ostracismo istituzionale, sull’attentato di via d’Amelio. Così come sostiene Salvatore Borsellino anche per il vicequestore di Palermo la morte del procuratore anti-mafia Borsellino non è stata “solo una strage di mafia”. Affermazioni che tutt’oggi paga caramente.

In ricordo di Paolo Borsellino e della sua lotta esiste l’Agenda Rossa, scritta da Sandra Rizza e Giuseppe lo Bianco. L’agenda nasce per “la rabbia di cercare e sapere al verità”, ha affermato con emozione Salvatore Borsellino. Ed è stato proprio lui a mostrarla con orgoglio al pubblico presente in sala che, a fine proiezione, ha tributato con commozione, in onore del fratello, un lunghissimo applauso.

In questo insolito venerdì se un’aula universitaria è così affollata di giovani vuol dire che, anche se ancora in parte minoritaria, c’è chi vuole sapere la verità. Chi lotta per un’Italia migliore, diversa da quella vista e letta (e soprattutto vissuta)  in questi ultimi anni.

Tra gli ospiti presenti al dibattito, moderato da Federica Fabbretti, oltre ai citati Gioacchino Genchi e Salvatore Borsellino, è intervenuto il pm Luca Tescaroli, che ha dichiarato con fermezza come l’unico modo per  garantire la legalità “è compiere il nostro dovere come hanno fatto Falcone e Borsellino”.

A concludere l’incontro Salvatore Borsellino. Il suo discorso è stato un mix di commozione e rabbia. Rivivere quei momenti è dura ma il fratello del magistrato ora non vuole più tacere. Lo ha fatto per ben 10 anni. “Troppi”, ha detto. I ricordi sono vivi, dall’infanzia al giorno dell’attentato. Ha ricordato del rapporto di Paolo con la madre, dell’“amore conquistato” per la Sicilia, del coraggio e della lucidità con cui ha affrontato le lotte anti-mafia. Con quegli stessi stati d’animo è andato incontro alla morte quel 19 luglio 1992 in via d’Amelio.

Paolo Borsellino sapeva troppo. E come per Falcone, anche per lui il destino era segnato. “Paolo l’hanno ucciso fisicamente ma la sua anima rivive in voi che avete affollato oggi quest’aula. Sapeva che stava per morire ma in una lettera si dichiarava ottimista perché diceva che i giovani continueranno a gridare RESISTENZA”, ha concluso Salvatore Borsellino.

19 luglio 1992 è in vendita da sabato 12 febbraio in edicola con Il Fatto Quotidiano e acquistabile online sul sito del giornale


Francesca Britti

da Gligliottina.it

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