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La verità di Tranchina sulle stragi PDF Stampa E-mail
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Scritto da Giovanni Bianconi   
Giovedì 21 Aprile 2011 13:19
Il mafioso «pentito per una sera»
L’interrogatorio davanti ai pm di Firenze: al secondo appuntamento l'ex autista del boss Graviano dice: «Sono confuso, nulla da aggiungere»


ROMA — «I Graviano dopo l’arresto di Riina hanno portato avanti le stragi per trovare una trattativa con lo Stato. Giuseppe Graviano adorava Riina, ebbe a dirmi che eravamo tutti figli suoi» . E ancora: «Il giorno dell’arresto di Riina Graviano mi disse che ci sarebbe stata una guerra, nel senso che come fare le leggi glielo dovevano fare capire loro, anche se avevano le loro assicurazioni. Ricordo che alle elezioni venivano indicazioni di voto per Forza Italia. Graviano non mi ha mai fatto il nome di Dell’Utri, però con frasi del tipo "noialtri le persone le abbiamo, o fanno quello che gli diciamo o gli rompiamo le corna", mi faceva comprendere».

PENTITO PER UNA SERA - S’è pentito per una sera, il condannato per mafia Fabio Tranchina, già autista del boss stragista Giuseppe Graviano. Per tre ore, dalle 20.15 di sabato 16 aprile, davanti ai pubblici ministeri di Firenze che indagano sulle bombe del 1993 ha parlato di quegli attentati, dei rapporti politici dei fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, dell’eccidio di via D’Amelio in cui morì Paolo Borsellino e quello di Capaci che eliminò Giovanni Falcone, di altri agguati eseguiti, falliti o solo progettati. L’interrogatorio è stato chiuso alle 23.30 e aggiornato alle 9.30 dell’indomani, domenica. Ma al secondo appuntamento Tranchina ha detto di essere confuso. Poi ha parlato con sua moglie che lo aveva raggiunto da Palermo, e dopo il colloquio ha spiegato che non aveva altro da aggiungere. La donna è la sorella di Cesare Lupo, già arrestato e inquisito per i suoi rapporti coi fratelli Graviano, di cui il cognato aveva appena detto che «curava molti affari dei Graviano» e ora gestisce in un triunvirato il mandamento mafioso palermitano di Brancaccio.

LA STRAGE DI VIA D'AMELIO - Interrotta la collaborazione Tranchina è tornato a Palermo, dove è stato fermato dalla Direzione investigativa antimafia per ordine dalla Procura di Caltanissetta, che lo accusa di concorso nella strage di via D’Amelio. Poi un altro fermo è arrivato dalla Procura di Palermo. A carico del «pentito per una sera» ci sono alcune dichiarazioni del collaboratore Gaspare Spatuzza e le sue stesse ammissioni ai pm di Firenze. A loro, ricordando di aver scontato una pena per associazione mafiosa fra il 1995 e il 1999, aveva detto: «Dopo il contatto avuto con gli ufficiali della Dia ho deciso di venire a parlare con voi, volontariamente. Ho deciso di collaborare per tutto quello che so e che vi può servire. Penso sia normale avere paura. Io sono qui, ma la mia famiglia è a Palermo». Evidentemente è bastato un contatto con la moglie per cambiare idea al punto che l’altra sera, nel primo contatto coi magistrati di Caltanissetta e Palermo, Tranchina ha scelto di rimanere in silenzio. Al suo fianco non c’era più l’avvocato d’ufficio che l’aveva assistito nell’interrogatorio di Firenze, ma un legale di fiducia. Il quale ieri ha sostenuto che il suo cliente avrebbe subito non meglio precisate «pressioni psicologiche» per collaborare, dopo che gli uomini della Dia lo avevano sorpreso in compagnia di una donna che non era sua moglie.

L'EX AUTISTA DI GRAVIANO - Il «pentimento» di Tranchina s’è dunque esaurito — almeno per ora — con la richiesta di scuse alla consorte, ma le sue dichiarazioni audioregistrate di sabato sera sono comunque entrate nelle nuove inchieste sulle stragi. In quel verbale il condannato per mafia ha raccontato che i suoi rapporti con i Graviano risalgono al 1991, quando lui aveva appena vent’anni e suo cognato Cesare Lupo gli chiese se voleva assistere un suo amico latitante: «Accettai e conobbi Giuseppe Graviano. Lui e il fratello Filippo erano la stessa cosa... All’inizio del 1994 furono arrestati. In quei tre anni accaddero tante cose. Per esempio, una settimana prima della strage di Capaci Giuseppe Graviano mi disse di non passare dall’autostrada, compresi l’avvertimento dopo che avvenne l’attentato. Lo stesso per la morte del dottor Borsellino. Prima dell’attentato più volte mi fece passare da via D’Amelio riaccompagnandolo, e io non capivo cosa dovesse vedere. Poi mi chiese di trovargli un appartamento in via D’Amelio, e visto che non l’avevo trovato ebbe a dirmi che allora si sarebbe messo comodo nel giardino. Dov’è avvenuta la strage in effetti c’era un muro e un giardino. La mattina della strage lo consegnai ad altra persona, e poi seppi che era avvenuto l’attentato» . L’ex autista di Graviano ha parlato anche dell’ordine ricevuto dal boss di acquistare due radiocomandi, ma non sa dire se «prima o subito dopo la strage di via D’Amelio, mi sembra dopo» .

IL PENTITO GIOVANNI DRAGO - Ha spiegato di essere andato in Piemonte per organizzare un attentato al pentito Giovanni Drago, e di aver portato a un parente di Cesare Lupo «dieci o venti milioni di lire per conto di Giuseppe Graviano; era un riciclatore, mise su una gelateria con la novità dell’epoca del gelato allo yogurt» . Ha ricordato che due condannati per le stragi del ’93 in continente, Giorgio Pizzo e Cosimo Lo Nigro, «avevano una villa in Versilia, bellissima; era in affitto, e dicevano che precedentemente era stata di un importante calciatore». Sui rapporti con la politica ha riferito di un incontro tra Graviano e il senatore Vincenzo Inzerillo, in carcere da gennaio dove sta scontando una condanna definitiva per concorso in associazione mafiosa. Poi la frase su Dell’Utri, con l’aggiunta che negli anni Novanta «mio cognato mi fece capire di non parlarne, facendo un gesto eloquente davanti alla bocca» . Stavolta aveva anticipato che la collaborazione sarebbe stata totale, ma dopo il primo verbale s’è bloccato.

Giovanni Bianconi

da:  corrieredelmezzogiorno.corriere.it

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