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Condannato per la Diaz diventa questore PDF Stampa E-mail
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Scritto da Roberta Zunini, Marco Preve e Gianluca Di Feo   
Domenica 05 Giugno 2011 09:37
G8: promosso l’ex capo della Digos di Genova, Spartaco Mortola

C’è un nuovo dirigente superiore della polizia di Stato, cioè un questore che vigilerà sulla sicurezza dei cittadini italiani. Si chiama Spartaco Mortola, meglio noto come ex capo della Digos di Genova, condannato in appello a 3 anni e 8 mesi per aver coperto i sanguinosi pestaggi alla scuola Diaz durante il G8 e a 1 anno e 2 mesi per induzione alla falsa testimonianza. Secondo la sentenza suggerì a un testimone una versione dei fatti nel processo in cui lui rivestiva la qualità di imputato. Il questore – vale la pena ricordarlo – è colui che deve esercitare tutte le attività proprie della polizia di sicurezza e della polizia amministrativa, come emettere ordinanze, diffide, permessi, licenze, autorizzazioni, e svolgere anche funzioni ispettive.
“Non riteniamo opportuna questa nomina – precisa Roberto Traverso segretario provinciale del sindacato Silp-Cglil – si sarebbe dovuta attendere la sentenza della Cassazione, anche perché, in base all’appello, Mortola è stato condannato all’interdizione ai pubblici uffici”. Se dunque la Cassazione, quando verrà celebrato il processo, confermerà la condanna dell’appello, Mortola non potrà continuare a ricoprire la carica che ha ottenuto dopo aver superato un corso di alta formazione per dirigenti, il 1 giugno. Il fatto che non sia stato ancora destinato a una sede operativa, non consola. Soprattutto perché è stato giudicato colpevole per aver detto il falso circa il ritrovamento delle bottiglie incendiarie presso la Diaz, il dormitorio dei ragazzi del social forum. La “presenza” delle molotov era dirimente per sostenere che in realtà la scuola fosse il covo dei famigerati black bloc, non del social forum, e giustificare così il blitz. In tribunale venne però dimostrato che le molotov furono messe dagli agenti di polizia.
SPARTACO Mortola, durante il dibattimento, sostenne che nelle aule della scuola Diaz c’erano “circa 50 persone a piano terra, tranquille e apparentemente non ferite”. Tutti invece ricordano le immagini scioccanti dei giovani con la testa sanguinante, le ossa spezzate, tanto che per alcuni furono necessarie le barelle, come per Sarah Bartesaghi. “Sarah allora aveva 21 anni ed era andata a Genova con due amici – ricorda la madre Enrica , presidente del comitato Verità e Giustizia per Genova – l’irruzione della polizia è avvenuta mentre lei si stava lavando i denti prima di ripartire. Durante il pestaggio subì un forte trauma cranico e varie contusioni. Dopo essere stata un giorno in ospedale fu trasferita nel carcere provvisorio di Bolzaneto, dove i ragazzi furono sottoposti a torture indegne di un paese democratico e quindi trasferita a Vercelli. Ancora oggi mi vengono i brividi quando penso che oltre ai danni fisici mia figlia ha subito un enorme trauma psicologico”. La madre di Sarah si riferisce alla sfiducia della figlia nelle istituzioni italiane, tanto che si è trasferita in Francia. “Mia figlia non solo fu pestata a sangue senza aver commesso alcun reato ma fu anche sequestrata da chi avrebbe dovuto difenderla – prosegue la signora Bartesaghi – e non le fu permesso di comunicare con nessuno. Dal sabato al lunedì non ho avuto notizie di mia figlia. Nessuno ci disse nulla, scoprimmo noi, dopo ripetute telefonate a ospedali e questure che era finita in carcere a Vercelli”. Dopo aver chiamato le questure, certo. Perché il cittadino che non sa dove trovare un figlio scomparso, si rivolge innanzitutto alla questura, la cui carica più alta potrebbe d’ora in poi essere anche ricoperta da un pubblico ufficiale condannato in secondo grado per reati connessi alla propria funzione.
Secondo Roberto Traverso “questa nomina non aiuta chi come il Silp per la Cgil si batte ogni giorno per l’immagine e i valori democratici della Polizia di Stato. Lo scorso anno il Viminale sostenne che la nomina non sarebbe stata imminente, invece si è verificato l’opposto”. MA  ANCHE secondo Massimo Valeri – segretario della provincia di Genova del Sap, il sindacato autonomo di polizia – “sarebbe stato opportuno aspettare la sentenza definitiva prima di procedere alla promozione di Mortola”. Un salto di carriera che suona come “un’assunzione di paternità dell’intera vicenda da parte del governo”, sottolineano Lorenzo Guadagnucci, il cronista del Resto del Carlino che si trovava nella scuola e riportò la rottura dello scafoide e Vittorio Agnoletto, allora portavoce del social forum, che hanno appena pubblicato un libro L’eclisse della democrazia, per non dimenticare il decimo anniversario del G8. Un monito rivolto a tutto il mondo politico, all’opposizione, il cui silenzio di fronte a questa promozione è eloquente. “Secondo la Convezione europea dei diritti dell’uomo – sottolineano gli autori del libro – quando un pubblico ufficiale è inquisito per reati in violazione di diritti fondamentali, deve essere immediatamente sospeso e quando è condannato deve essere rimosso”. Il nome di Mortola è comparso anche nelle carte dell’inchiesta sui legami scomodi tra l’ex questore di Genova, Oscar Fiorolli e Fouzi Hadj, un imprenditore siriano che un Comitato di esperti nominato dal Consiglio di sicurezza dell’Onu, indica come trafficante d’armi. Mortola sarebbe amico del siriano e un suo parente avrebbe trovato un lavoro in Guinea grazie a lui.

di Roberta Zunini (Il Fatto Quotidiano del 04/06/201)





Due condanne, una carriera. Mortola promosso questore

 

A dieci anni dal G8 di Genova viene promosso a questore il funzionario condannato in appello sia per la "macelleria messicana" della scuola Diaz che per la complicità con l'ex capo della Polizia Gianni De Gennaro nel falsare le deposizioni dei testi: Spartaco Mortola, dirigente Digos nel luglio 2001, è diventato questore. Il sindacato Silp-Cgil grida allo scandalo, ma la nomina rientra in una strategia ben precisa del Viminale e dei vertici della Ps.
Il messaggio che arriva da Roma, dal capo della polizia Antonio Manganelli in primis, è quello che conferma l'atteggiamento tenuto in questi dieci anni dai vertici del corpo, in barba al malessere di centinaia di funzionari e migliaia di agenti: "Quelli della Diaz non si toccano". Anche se si attende ancora il verdetto della Cassazione, le pesanti condanne di secondo grado (pene fino a 4 anni) non hanno mai, di fatto, interrotto la progressione delle carriere degli alti funzionari come Francesco Gratteri, Giovanni Luperi, Gilberto Caldarozzi, ai vertici dell'antiterrorismo e dell'antimafia.
Mortola fu condannato a tre anni e 8 mesi per i falsi dei verbali di arresto della scuola Diaz e a un anno e due mesi (due in meno di De Gennaro) per l'induzione alla falsa testimonianza dell'allora questore di Genova Francesco Colucci.
Roberto Traverso, segretario genovese del Silp Cgil firma un comunicato durissimo: "L'annuncio della nomina a Questore del dottor Mortola con decorrenza 1° gennaio 2011, non aiuta chi, come il Silp per la Cgil, si batte ogni giorno per l'immagine e i valori democratici della Polizia di Stato. Oggi siamo amareggiati e preoccupati, perché in un momento delicato e fondamentale per la nostra categoria, crediamo che il Dipartimento della Ps abbia perso un occasione per dare un segnale di rottura".
Traverso si fa portavoce del malessere di tanti poliziotti della truppa, di quelli che non appartengono ai gruppi di vertice e che anche nelle vicende G8 sono gli unici ad aver pagato un prezzo: "C'è una base che chiede finalmente tutela per coloro che appartengono alla "truppa" e che per responsabilità oggettive, sono stati abbandonati, parcheggiati in un "limbo" ammantato da una livida cappa a forma di "prescrizione" alla stessa stregua di chi di responsabilità, se non altro deontologiche, ne ha, eccome".
Sorprende il sindacato l'assoluta mancanza di senso dell'opportunità del Viminale: "Sarebbe stato importante attendere almeno l'esito della sentenza della Corte di Cassazione, visto che il dottor Mortola è stato condannato anche in appello all'interdizione dai pubblici uffici". Traverso, infine, auspica un ricongiungimento istituzionale tra Procura e Questura di Genova che certo non è avvenuto dopo le dichiarazioni del prefetto Manganelli improntate più alla rimozione che all'approfondimento. Infine una considerazione a pochi giorni dalle celebrazioni dei dieci anni dal G8 del 2001: "Scelte come questa non aiutano in particolare a Genova una città dove il tempo per certi argomenti sembra non voler scorrere e dove da tempo il Silp Cgil sta contribuendo con forza a prendere le distanze da chi non perde occasione per strumentalizzare e destabilizzare la piazza".


Marco Preve (La Repubblica, 5 giugno 2011)






 

 

G8, la polizia tentò di insabbiare

Sono passati dieci anni dalla 'macelleria messicana' di Genova. E un libro rivela che dal Viminale arrivò una proposta ai Pm: voi non indagate sui pestaggi e noi faremo altrettanto con i manifestanti. Alla faccia della legalità


Di quello che è accaduto si sa tutto, o quasi. Manca una risposta, quella fondamentale: perché? Di quello che è accaduto si sa tutto, o quasi: un manifestante ucciso, circa 560 tra dimostranti e agenti feriti, almeno 25 milioni di euro di danni. Ma nessuno finora ha pagato e, complice la prescrizione dei reati, probabilmente nessuno pagherà mai: la violenza che in quel luglio 2001 si è impadronita di Genova resterà senza responsabili. Sono passati dieci anni dal G8 che annichilì un movimento, capace di riportare alla politica masse senza tessera: una festa giovane, con cittadini d'ogni età e nazionalità, schiacciata dalle botte degli uomini in uniforme e dalla guerriglia urbana di una minuscola minoranza in tuta nera. Chi si è trovato prigioniero di quella bolgia feroce non ha più dimenticato.

Ora il decennale apre la corsa a ricordare: ci saranno memorie, celebrazioni e libri sul vertice che ha marcato in modo nefasto l'esordio del lungo governo della destra italiana. Il primo volume porta la firma dell'ideatore di quella kermesse nata per essere pacifica, Vittorio Agnoletto. Assieme a lui, Lorenzo Guadagnucci, un giornalista che da allora si è occupato a tempo pieno di quei giorni di fuoco e di sangue. In "L'eclisse della democrazia" (ed. Feltrinelli, 270 pagine,15 euro) offrono una ricostruzione dettagliata e inedita degli episodi più vergognosi. A partire dalle pressioni per ostacolare le indagini.
Perché quella del G8 sembra una storia semplice ma non lo è. Squadre organizzate di black bloc si infiltrano nei cortei, vanno all'assalto e provocano una reazione scomposta delle polizie che caricano alla cieca. Nella nebbia dei lacrimogeni, tutto diventa violenza. In uno degli scontri, un carabiniere spara e uccide Carlo Giuliani. E questo trasforma le strade in un campo di battaglia, dove ogni regola viene calpestata. Nella caserma di Bolzaneto centinaia di persone subiscono torture fisiche e psicologiche. Fino al blitz nella scuola Diaz, concepito per gonfiare le statistiche degli arresti, che si è trasformato nella "macelleria messicana" con il pestaggio di 93 innocenti. Per Amnesty International è stata "una violazione dei diritti umani di proporzioni mai viste in Europa nella storia recente".

Chi lo ha permesso? Il Parlamento non ha voluto indagare: ai tempi del governo Prodi e della maggioranza di centrosinistra, i rappresentanti del popolo italiano se ne sono lavati le mani e hanno delegato tutto ai giudici. I corpi dello Stato invece hanno fatto quadrato. Ed è questa la parte più inquietante del saggio di Agnoletto e Guadagnucci: l'analisi di come la polizia sia stata contro la magistratura in ogni fase del procedimento. Lo raccontano per la prima volta i pm che si sono occupati dell'inchiesta, a partire da Enrico Zucca che testimonia una "proposta indecente", gravissima dal punto di vista istituzionale: "Arriva dalla polizia una richiesta esplicita, una sorta di patto: voi rinunciate ad andare a fondo nelle inchieste sulla polizia, noi facciamo altrettanto nelle indagini sui manifestanti. La proposta ci è riferita in questi termini dal procuratore aggiunto Giancarlo Pellegrino. E' decisamente rifiutata". Lo conferma anche Patrizia Petruzziello, il magistrato che ha poi condotto l'inchiesta su Bolzaneto: "Si proponeva una sorta di pari e patta".
Secondo i pm, il no alla proposta diede inizio a uno scontro frontale tra istituzioni che finora è rimasto relegato nelle aule di giustizia genovesi ma che invece richiederebbe una riflessione molto più alta sui poteri degli apparati statali nell'Italia del XXI secolo. La spaccatura è arrivata fin dentro la procura, dove i sostituti sono stati costretti a firmare un documento per chiedere di indagare i funzionari che hanno guidato il raid nella Diaz. Zucca ricorda un clima di tensione crescente: "Proprio agli albori dell'indagine pervenne un messaggio oscuro e sibillino, nel senso che si vociferava che pezzi deviati della polizia, al di fuori di ogni controllo, stavano tramando e non avrebbero tollerato alcuna inchiesta.

Fu una voce poi non verificata, ma l'effetto intimidatorio, nella fase in cui erano in gioco le decisioni sulla stessa apertura di un'inchiesta e con le lacerazioni esistenti in procura, era garantito. Inoltre l'inchiesta si sommava ai normali carichi di lavoro. In procura eravamo 25 sostituti, ma non fu deciso di dedicarne alcuni a tempo pieno alle inchieste sul G8". La pressione arriva al culmine quando l'istruttoria punta sull'VII nucleo antisommossa, la "celere" romana passata dagli stadi all'irruzione nella Diaz: "Ci arrivò il messaggio di aspettare, di essere cauti: "Non riusciremmo a contenere eventuali reazioni"...".
I rapporti tra procura e Viminale sono diventati surreali: viene taciuto il nome di uno degli agenti con i capelli raccolti in una lunga coda di cavallo, ripreso mentre bastona un giovane. Ricorda Zucca: "Nelle audizioni di De Gennaro e di Manganelli, attuale capo della polizia, facemmo presente il disagio procurato dal mancato chiarimento di alcune circostanze, per noi intollerabile e che gettava discredito sull'immagine dell'istituzione. Era un segno troppo evidente della mancata collaborazione". Per Zucca con l'incriminazione di Gianni De Gennaro, accusato di avere spinto un questore a mentire, si va "allo scontro finale". In primo grado De Gennaro è stato assolto, in appello condannato a 16 mesi. Nel frattempo il prefetto è diventato il direttore di tutti i servizi segreti, primo dirigente a occupare l'incarico di massimo potere creato con la riforma dell'intelligence. E quasi tutti gli uomini in divisa coinvolti hanno fatto carriera: i meno fortunati - sottolinea il libro - sono quelli che in qualche maniera hanno collaborato con l'autorità giudiziaria.
Oltre all'allora numero uno della polizia, sul banco degli imputati sono finiti 29 agenti per la Diaz; 45 tra carabinieri, poliziotti, guardie carcerarie e medici per "il lager" di Bolzaneto e 25 dimostranti per le devastazioni. La Cassazione deve ancora pronunciarsi, ma gran parte dei reati sono già prescritti. Di fatto non ci sono responsabili per quella che Amnesty ha definito "la più vasta e cruenta repressione di massa della storia europea recente". E non si capisce nemmeno il perché di tanta violenza: è stata solo l'impreparazione delle forze dell'ordine, che non hanno saputo prevenire e fronteggiare i casseur in tuta nera?

Andrea Camilleri
nell'introduzione al libro offre una lettura diversa: "Ho sempre sostenuto che per me il G8 è stato una sorta di prova generale, un tentativo di golpe da parte della destra che fortunatamente è andato fallito. Rimango convinto che nella cabina di regia di quei giorni oltre alla polizia e ai carabinieri ci fossero anche politici e credo, oggi più che mai, che il fallimento di quell'operazione abbia fatto cambiare parere circa la strategia da seguire in Italia a qualche alta personalità politica". Le indagini non hanno dimostrato una regia politica. Ma dieci anni dopo, resta aperta "la ferita", - come si intitola un altro saggio dedicato a quei giorni, a firma di Marco Imarisio e in uscita sempre per Feltrinelli - quella che ha infranto il sogno dei no global: i manganelli di Genova hanno spezzato la fiducia nello Stato e hanno allontanato un'intera generazione dalla politica. Una ferita che resta un problema fondamentale per il futuro della democrazia nel nostro Paese.


Gianluca Di Feo (L'Espresso, 18 maggio 2011)





















 

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