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Ass. Georgofili: ''Sconforto per uomini di Provenzano liberati'' PDF Stampa E-mail
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Scritto da Giovanna Maggiani Chelli   
Domenica 05 Giugno 2011 13:57

4 giugno 2011, Firenze. Quattro uomini di mafia tutti vicini a Bernardo Provenzano, uomini che favorirono alla grande la latitanza del Boss di “cosa nostra”responsabile in primis della strage di via sei Georgofili sono tornati in libertà per scadenza dei termini di custodia cautelare, così almeno scrive oggi un quotidiano.
18 anni fa,  il 27 Maggio 1993 ,siamo stati messi nelle mani della mafia, nelle mani di Bernardo Provenzano e dei suoi uomini più crudeli, quella stessa mafia che oggi viene favorita alla grande. Il nostro sconforto è senza pari, la lotta alla mafia così tanto ostentata in questi giorni in manifestazioni di facciata, cadde banalmente là dove la mafia trova risposte positive ai suoi desideri come quello di uscire dal carcere.

Cordiali saluti


Giovanna Maggiani Chelli
Presidente Associazione tra i familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili



 

MAFIA, ALFANO (IDV), “FINTA ANTIMAFIA DEL GOVERNO AIUTA BOSS A USCIRE DAL CARCERE”

PALERMO, 04 GIU. – “Proprio quando Angelino Alfano annuncia di non poter ancora lasciare la poltrona di Ministro perchè troppo impegnato nella lotta alle mafie, quattro mafiosi fiancheggiatori del superboss Bernardo Provenzano vengono scarcerati per decorrenza dei termini, neanche si trattasse di ladri di galline. Il Ministro, e il suo degno collega Maroni, si rendono conto della gravità di quanto accaduto o sono troppo impegnati a fare propaganda per salvare il salvabile?”.

Lo ha detto Sonia Alfano, responsabile nazionale del Dipartimento Antimafia di IdV e Presidente dell’Associazione Nazionale Familiari Vittime di Mafia, commentando la notizia della scarcerazione di quattro imputati accusati di aver favorito la latitanza del boss Bernardo Provenzano.

“Invece di continuare a gettare fumo negli occhi degli italiani vantandosi degli arresti dei latitanti, notoriamente voluti dai magistrati e messi in pratica dalle forze dell’ordine – prosegue – il Governo dovrebbe rispondere ai cittadini su come intende ovviare a situazioni gravissime come questa, che continuano a ripetersi da sempre e che hanno consentito a fin troppi boss mafiosi di godersi il proprio strapotere indisturbati e di mantenere in piedi i propri affari – sottolinea – invece di pagare per le proprie colpe nelle patrie galere. Alfano dovrebbe pensare a queste scarcerazioni anzichè rivolgere il proprio astio contro i pm palermitani, responsabili, fra l’altro, di indagare per mafia sul padre della sua portavoce, l’ex capo del Ros Antonio Subranni, assurto agli onori della cronaca quale depistatore delle indagini sul delitto Impastato – conclude – e già precedentemente indagato per il favoreggiamento di Bernardo Provenzano”.




Termini scaduti, liberi i fedelissimi di Provenzano


Non arriva la sentenza della Cassazione, quattro boss scarcerati. Alfano dispone accertamenti. Condannati in appello a pene tra i sei e gli otto anni: da due sono in attesa del giudizio definitivo

ROMA - Quattro uomini "stretti" di Provenzano. Di lui avevano coperto la latitanza e festeggiato il ritorno a Villabate. Condannati il 2 luglio 2009 a Palermo come fiancheggiatori del capo di Cosa Nostra. Ma dal 29 aprile liberi. Per colpa della Cassazione che non ha emesso in tempo la sentenza definitiva. Scaduti i termini di carcerazione, i quattro sono stati liberati dalla Corte d´appello di Palermo che ha potuto solo prendere atto dell´istanza dei legali. La notizia trapela più d´un mese dopo e subito scoppia un caso. Dalla Cassazione, fino a lunedì, non si potrà sapere cos´è accaduto. Nel frattempo il Guardasigilli Angelino Alfano dispone «immediati accertamenti» per verificare se la messa in libertà «sia conseguenza di un´irregolarità o di indebiti ritardi nel trattare il procedimento». Ed esplode lo scontro tra maggioranza e opposizione. La prima, con Gasparri e la Lega, accusa gli ermellini di non aver fatto il loro dovere e invita la sinistra a «rivolgersi ai magistrati che non rispettano i tempi». Il Pd, con Finocchiaro, Ferranti e Lumia, definisce «grave e inaccettabile» la scarcerazione, chiede chiarimenti, ma invita Gasparri a non lanciare accuse «ridicole e di cattivo gusto».
Il caso c´è tutto. I quattro mafiosi sono liberi, solo con l´obbligo di presentarsi tre volte alla settimana alla polizia, il loro rango nell´organizzazione criminale è elevato. In Cassazione si coglie sia la preoccupazione per l´accaduto, sia l´urgenza di accertare fatti e responsabilità. Al vertice non ci sono tentativi di minimizzare.
Allo stato, la ricostruzione possibile è questa. A Palermo, il 2 luglio 2009, viene letto in aula il dispositivo della sentenza contro i quattro (Gioacchino Badagliacca, Giampiero Pitarresi, Vincenzo Paparopoli, Vincenzo Alfano). A Roma, nel palazzaccio di piazza Cavour, il processo è assegnato alla quinta sezione, presieduta da Aldo Grassi, uno delle quattro dedicate alle mafie. Una sezione, per così dire "iatturata", dove di recente si sono susseguite molte malattie dei giudici. Sta di fatto che il 14 gennaio il caso è in udienza, ma viene rinviato perché manca la copia della sentenza d´appello. Prossima data il 14 giugno. E qui, per quella che a Palermo per ora è solo un´ipotesi, il collegio, e in particolare il relatore che è responsabile del fascicolo, non si sarebbe reso conto del rischio della possibile scarcerazione. Una stranezza, perché sulla copertina dei processi, in calce, sono sottolineate le date importanti, come prescrizioni e scarcerazioni. A "tradire" i giudici potrebbe essere stato un errore nei calcoli o il fatto che, per Badagliacca, a seguito di un ricorso, il tetto della custodia era stato ridotto da sei a quattro anni. In Cassazione comunque la linea è quella di «assumersi fino in fondo ogni responsabilità».
È necessario descrivere l´identikit dei quattro fiancheggiatori per comprendere la gravità del fatto. Dal 2003 Provenzato, nascosto tra Villabate e Bagheria, aveva chiesto loro aiuti e appoggi, in particolare per il viaggio a Marsiglia, dove fu operato al braccio e alla prostata. Badagliacca l´aveva accompagnato e, nel tempo libero, giocava al casinò di Saint Vincent. Arrestato nel 2006, fu condannato a sette anni e mezzo. Stessa pena nel 2009 per Pitarresi, che curava le finanze del clan. Paparopoli fornì la carta d´identità per dare al gruppo, in partenza per Marsiglia, schede telefoniche pulite. Alfano mise a disposizione la ditta edile per far infiltrare i boss in alcuni appalti. I quattro, tuttora depositari di molti segreti, sono liberi proprio mentre un altro picciotto di Villabate, il vivandiere di zu´ Binnu Stefano Lo Verso, si pente e racconta ai pm anche le confidenze che in carcere gli ha fatto Paparopoli. Pure sui rapporti tra mafia e politica.



Liana Milella e Salvo Palazzolo (La Repubblica, 5 giugno 2011)






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