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I (pre)giudizi su Ciancimino PDF Stampa E-mail
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Scritto da Antonio Ingroia   
Martedì 21 Giugno 2011 10:14
Il fatto che perfino uno scrittore e giornalista serio e brillante come Gaetano Savatteri sia anch’egli rimasto vittima della semplificazione imperante dei luoghi comuni e dei (pre)giudizi approssimativi e sferzanti sulla vicenda di Massimo Ciancimino, che ne hanno imposto l’incriminazione e l’arresto, credo sia una conferma di quanto andiamo dicendo da qualche tempo a proposito dei rischi di un’informazione giudiziaria non sempre improntata ai canoni di equilibrio e di aderenza ai fatti, da tenere ben distinti dalle opinioni.

E così il rischio si concretizza quando Savatteri, in un articolo pubblicato sull’ultimo numero di questa rivista, qualifica tout court come un’impostura e una mistificazione la “parabola” di Ciancimino, e quindi tutte le sue dichiarazioni all’autorità giudiziaria, ignorando ogni chiave di lettura alternativa che tenga conto che accanto ad alcune accuse, rivelatesi false e calunniose, ve ne siano altre risultate già positivamente riscontrate. E lo stesso rischio di fuorviante semplificazione si realizza quando si ritiene di cogliere un mio atteggiamento di quasi complice e compiaciuta ammirazione nei confronti di Ciancimino quando l’ho definito in un mio scritto “molto americano” nel suo rapporto coi media. Qui il fraintendimento è totale, dovuto probabilmente anche ad una mia espressione forse troppo sibillina, sicché può essere questa una buona occasione per chiarirla.

Non c’era, ovviamente, alcun compiacimento nel sottolineare il paradosso del figlio di un mafioso come Ciancimino divenuto quasi “un’icona dell’antimafia”. Tutt’altro. Quel che volevo esprimere era ed è la preoccupazione per l’uso mediatico della propria immagine che indagati, imputati e condannati possono fare sul modello – appunto – americano, dove da sempre si registrano casi di criminali ed assassini diventati scrittori e autori di bestseller, come da ultimo il caso di Cesare Battisti ha evidenziato. Il dilemma è semmai, e questo volevo porre già allora, come difendersi in Italia da questa nuova deriva mediatica, senza però ostacolare il processo, in sé positivo, che certi figli di mafiosi, da Ciancimino a Brusca, scelgano di aderire alla cultura della parola, rinnegando la cultura del silenzio e dell’omertà. Questo è il tema che volevo porre al centro del dibattito, un tema che mi pareva meritare approfondimento e confronto, piuttosto che essere liquidato con la sufficienza di chi crede di sapere già tutto avendo la verità in tasca.

da: Livesicilia.com

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