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Spatuzza, il TAR boccia la commissione pentiti PDF Stampa E-mail
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Scritto da Lorenzo Baldo   
Venerdì 01 Luglio 2011 21:09
Tar boccia la commissione pentiti e propone il ripristino della programma di protezione a Spatuzza

1° luglio 2011
. “E' stato accolto il motivo di ricorso relativo al fatto che trattandosi di dichiarazioni de relato non dovevano essere comprese nelle dichiarazioni dei primi sei mesi”.  A spiegare i motivi della bocciatura del Tar del Lazio nei confronti della decisione della commissione pentiti che lo scorso anno aveva negato il programma di protezione a Gaspare Spatuzza è l'amministrativista Adriano Tolomeo che insieme agli avvocati Valeria Maffei e Sergio Luceri difende l'ex boss di Brancaccio già condannato all'ergastolo per le stragi di Firenze, Roma e Milano del '92/'93. Al telefono l'avv. Tolomeo si limita solamente ad accennare la sentenza che di fatto ribalta la decisione della commissione sui collaboratori di giustizia.
Il 15 giugno del 2010 la commissione presieduta da Alfredo Mantovano aveva di fatto rifiutato l'inserimento di Spatuzza nello speciale programma di protezione per i collaboratori di giustizia, nonostante il parere favorevole di ben tre procure. Degli otto componenti della commissione, sette erano presenti al voto, tra questi i due magistrati Maurizio De Lucia e Gianfranco Donadio, che si erano battuti per far ottenere a Gaspare Spatuzza lo status di collaboratore, rimanendo però in minoranza sotto la scure di una palese ragione politica.
Nel documento firmato da Mantovano il sottosegretario del Pdl si era prodigato a ripercorrere tutte le dichiarazioni “controverse”, a parere del politico, che avrebbero dimostrato la tardività delle rivelazioni del pentito sulla presunta trattativa in corso, negli anni caldi delle stragi, tra Giuseppe Graviano, Marcello Dell'Utri e Silvio Berlusconi. Nello specifico Mantovano si riferiva al noto colloquio tra lo stesso Spatuzza e il boss Giuseppe Graviano all'interno del bar Doney di Via Veneto, a Roma, nel gennaio del 1994. Quando Graviano, euforico, al suo braccio destro avrebbe detto: grazie a Berlusconi “e c'era di mezzo un nostro compaesano, Dell'Utri” (“una persona vicinissima a noi”, “qualcosa di più di Berlusconi”) “ci siamo messi il Paese nelle mani”. Informazioni, recitava il documento del Viminale, rese dopo i 180 giorni previsti dalla legge “per riferire fatti gravi o comunque indimenticabili”. Ma nel giugno del 2010 era emerso che Spatuzza aveva approfondito fatti già inseriti in un elenco consegnato alle procure entro i 6 mesi, come previsto dalla legge.
Una sola dichiarazione ipoteticamente tardiva non poteva in ogni caso compromettere un'intera collaborazione, per una questione squisitamente giuridica. Le dichiarazioni cosiddette de relato (cioè apprese da terza persona), come previsto dall'art. 195 del codice di procedura penale, non sono sottoposte alla legge dei 180 giorni. Un particolare già evidenziato all'epoca dall'avvocato sen. Luigi Li Gotti (legale di molti collaboratori di giustizia) che aveva individuato “la debolezza giuridica della motivazione (della commissione pentiti, ndr) e un evidente errore frutto di chiara sciatteria”. “Le dichiarazioni che devono essere rese entro 180 giorni – aveva rimarcato, ripetendo quanto già dichiarato dall'avvocato Valeria Maffei - per espressa previsione della legge, sono quelle rientranti nell'art. 194 della procedura penale, ossia le dichiarazioni concernenti atti vissuti o conosciuti direttamente”. “Distinzione abbondantemente spiegata dalla Corte di Cassazione”. Secondo Li Gotti il provvedimento conteneva quindi un gravissimo errore giuridico e soprattutto lanciava oggettivamente “un messaggio devastante a possibili future collaborazioni”. A distanza di un anno i primi stralci della sentenza rilanciati dalle agenzie danno ragione a Li Gotti in quanto non è contestato ne contestabile che «la tardiva testimonianza» resa da Gaspare Spatuzza, e che aveva portato alla sua esclusione dal programma di protezione, è giustificata dal fatto che riguarda «un fatto che egli non ha percepito direttamente» ma che «dichiara di aver appreso da altro soggetto, il quale a sua volta può essere testimone». Per i giudici amministrativi i fatti oggetto della tardiva testimonianza di Spatuzza «dopo la chiusura dei verbali illustrativi non andavano necessariamente compendiati all'interno di tali documenti e conseguentemente la loro divulgazione non poteva interdire l'ammissione alla misura tutoria proposta».
La discussione sull'inserimento di Gaspare Spatuzza nel programma di protezione tornerà quindi nuovamente alla commissione di Mantovano che “dovrà però pronunciarsi tenendo conto dei contenuti e degli obblighi conformativi imposti dalla stessa sentenza”. L'avv Tolomeo specifica inoltre che ad oggi “il motivo posto a base del diniego di ammissione al programma di protezione è venuto giù”. “Formalmente – sottolinea infine il legale – la commissione potrebbe riformulare un suo provvedimento in esito alla domanda formulata dalle procure però è evidente che non può dirci di no per lo stesso motivo”.
Viva soddisfazione per la sentenza del Tar è stata espressa da Giovanna Maggiani Chelli, presidente dell'Associazione vittime della strage dei Georgofili. La signora Chelli ha auspicato che la figura di Gaspare Spatuzza sia “rivalutata fino in fondo, senza il peso di documenti del ministero che non autorizzano l'ammissione al programma di protezione al collaboratore di giustizia”. Lo stesso procuratore di Caltanissetta, Sergio Lari, ha commentato la notizia sottolineando come Spatuzza sia “un collaboratore di giustizia ritenuto da noi fondamentale per andare avanti e fare luce sulla strage di via D'Amelio” rimarcando il fatto che “ci ha consentito di ricostruire lo svolgimento di un importante segmento della strage di via D'Amelio” e osservando infine che “sarebbe stato deleterio non ammettere Spatuzza al Servizio di protezione”. Dal canto suo il procuratore di Palermo, Francesco Messineo, pur sostenendo che da parte di Spatuzza c’erano state “violazioni di canoni comportamentali”, ciò era avvenuto “per la particolare importanza delle rivelazioni che il pentito aveva fatto che potevano determinare anche un lungo periodo di maturazione”. Il procuratore di Firenze, Giuseppe Quattrocchi, ha ribadito infine che la sentenza del Tar del Lazio “va a coincidere con la richiesta che, unitamente alle procura di Caltanissetta e Palermo, abbiamo fatto l'anno scorso”, pur osservando che la decisione del Tribunale amministrativo è da considerarsi a tutti gli effetti “interlocutoria” in quanto resta aperta la possibilità di un ulteriore ricorso davanti al Consiglio di Stato. La posta in gioco resta molto alta e la partita non è affatto conclusa.

Lorenzo Baldo (Antimafiaduemila)




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Francesco Grasso  - PRIORITA' DELLA VERITA'   |2011-07-03 22:03:33
E' necessario ricordare ai politici che dichiarano di combattere la mafia, che
la giurisprudenza costituzionale ha ampiamente chiarito e consacrato nel nostro
ordinamento che la finalità prioritaria del processo è LA RICERCA DELLA
VERITA' !!! Pertanto le norme in contrasto non hanno valore. Che comunque
bisogna rivedere la legge nel rigorosissimo rispetto del principio di ricerca
della verità.
nel nostro paese è arrivato il tempo di delineare con
precisione chi vuole la verità e chi la teme

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