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Caso Alfano: rigettata richiesta di archiviazione delle indagini PDF Stampa E-mail
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Scritto da Sonia Alfano e Fabio Repici   
Mercoledì 13 Luglio 2011 21:09

Oggi il mio avvocato, Fabio Repici, ha inoltrato un esposto ai Procuratori della Repubblica di Messina e di Reggio Calabria. Lo pubblico qui di seguito perché è bene che tutti sappiano quanto in questo momento le vicende della giustizia messinese e della mafia barcellonese siano a un punto di gravità estrema. Purtroppo, io e l’avv. Repici siamo fra i pochissimi (alle volte gli unici) a contrastare un andazzo non più tollerabile. Ed è in questo clima che io e l’avv. Repici, continuiamo a lottare perché venga fatta piena luce sull’assassinio di mio padre, dovendo spesso perfino combattere contro fughe di notizie e depistaggi a mezzo stampa. Bene, oggi il Gip di Messina ha rigettato, per la seconda volta, la richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura di Messina nel procedimento sui mandanti occulti dell’omicidio di Beppe Alfano.

Poiché su questa vicenda c’è stata un’attenzione parossistica, fornisco io, in questo modo stringato, la notizia. In quel procedimento le uniche parti siamo io, rappresentata dall’avv. Repici, e la Procura di Messina. Né io né il mio difensore aggiungeremo altro sul punto, perché oggi rivolgiamo il nostro sollecito alla Procura di Messina affinché, nel più ermetico silenzio e con la celerità e la profondità maggiori possibili, svolga il supplemento d’indagine ordinato dal Gip e tutte le altre investigazioni ritenute utili, perché questa volta davvero, se questa sarà la volontà degli inquirenti, si può chiudere il cerchio sulle responsabilità del terzo livello. Se il prosieguo delle indagini sarà accompagnato da ulteriori fughe di notizie, preannuncio fin da subito che ne farò immediata denuncia, perché sarebbe la prova definitiva che qualcuno gioca sporco. A distanza di oltre 18 anni dall’assassinio di mio padre, non lo potrei tollerare, come da subito non tollerai i depistaggi dell’allora pubblico ministero Olindo Canali.


Sonia Alfano (
sonialfano.it, 12 luglio 2011)



Al Sig. Procuratore della Repubblica
presso il Tribunale di Messina
(dr. Guido Lo Forte)
 
Al Sig. Procuratore della Repubblica
presso il Tribunale di Reggio Calabria
(dr. Giuseppe Pignatone)
 
Com’è noto, ieri mattina è stata notificata in carcere ai mafiosi barcellonesi Giovanni Rao, Carmelo Giambò, Carmelo D’Amico e Mariano Foti un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per estorsione continuata dal 1999 al 2008 in danno dell’Aias di Barcellona. Il provvedimento è stato emesso dal G.i.p. di Messina su richiesta della locale D.d.a., all’esito di indagini svolte dalla Squadra mobile di Messina.
In sostanza, le vittime dell’asserita estorsione sarebbero state il deceduto Pietro Arnò, Sebastiano Messina e Luigi La Rosa; le fonti di prova principali, invece, sono rappresentate dalle dichiarazioni rese dal suddetto Luigi La Rosa e dalla di lui moglie.
Il commercialista Luigi La Rosa è da decenni soggetto di alto interesse investigativo nelle vicende criminali barcellonesi. Da sempre è stato il braccio destro del pregiudicato Pietro Arnò e in virtù di tale non propriamente commendevole referenza fu perfino assessore al comune di Barcellona P.G., così come l’altra presunta vittima, Sebastiano Messina. Della triade Arnò-Messina-La Rosa si occupò nel gennaio 2006 la relazione di minoranza della commissione antimafia, con illuminanti ragguagli che non hanno mai trovato smentita. Allo stesso modo se ne occupò la commissione prefettizia che nell’estate 2006, sulla scorta di una corposa relazione, sollecitò invano lo scioglimento dell’amministrazione comunale barcellonese per le scandalose infiltrazioni mafiose.

È utile richiamare quella relazione ispettiva perché essa fu redatta, fra gli altri, dal dr. Giuseppe Anzalone, oggi dirigente della Squadra mobile di Messina. Così scriveva di Pietro Arnò: “nato l’08.12.1952 a Messina e residente a Barcellona Pozzo di Gotto in via Piave n. 25/pt1, commerciante. Risulta appartenere e frequentare soggetti di spicco del clan mafioso dei barcellonesi; il 29.12.1993 è stato tratto in arresto per detenzione e vendita illegale di esplosivi; risulta essere stato presidente della società ‘A.S. Igea Virtus s.a.s.’ (iscritta alla Federazione Italiana Gioco Calcio) dichiarata fallita; il 10.03.1999 è stato rinviato a giudizio dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Patti (ME) in relazione al reato di truffa in concorso ed altro (tra i suoi correi figura il pregiudicato Gullo Santo, nato il 01.11.1963 a Falcone (ME), affiliato a clan mafioso); il 16.02.2001 è stato denunciato in stato di libertà dal Commissariato di Pubblica Sicurezza di Barcellona P.G. per clonazione di carte di credito e successiva negoziazione fraudolenta in concorso; vittima di un tentativo di omicidio verificatosi intorno alle ore 18.50 del 14.11.2003 presso la sua abitazione di Barcellona Pozzo di Gotto via Piave n. 27”. Tra l’altro in quella relazione si segnalava come il mafioso cui Arnò era più legato era proprio il boss incontrastato Giuseppe Gullotti, insieme al quale e al pregiudicato Giovanni Sindoni, del resto, Arnò aveva gestito la locale squadra di calcio. Non a caso, Arnò e La Rosa, insieme a Gullotti, Sindoni ed altri barcellonesi di valore furono sottoposti a indagine in un procedimento attivato dalle investigazioni della Guardia di Finanza per ipotesi di reato legate alla gestione della società calcistica, fascicolo rimasto poi sepolto per anni nei capienti cassetti dell’allora sostituto barcellonese Olindo Canali e quindi definito per prescrizione.
Insomma, l’operazione definita fraudolentemente “Gotha 2” (con l’induzione in errore dei giornalisti che stamattina hanno titolato come se l’indagine sulla presunta estorsione all’Aias di Barcellona P.G. fosse derivata dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Carmelo Bisognano e Santo Gullo) è la prosecuzione coerente del percorso intrapreso dalla D.d.a. e dalla Squadra mobile di Messina con la raccolta delle dichiarazioni testimoniali di Maurizio Marchetta.
Ora, come per il processo denominato “Sistema” prima o poi si dovrà rispondere al quesito basilare (può il figlioccio dei boss Rosario Cattafi e Salvatore Di Salvo, appunto Maurizio Marchetta, essere stato vittima di estorsione ad opera di appartenenti alla famiglia mafiosa barcellonese?), anche per “Gotha 2” il dilemma è elementare: possono Arnò e La Rosa, fedelissimi del boss Gullotti, avere subito l’estorsione da parte dei luogotenenti di Gullotti?

C’è, poi, un altro tornante al quale D.d.a. e Squadra mobile di Messina non possono sottrarsi: Maurizio Sebastiano Marchetta e Luigi La Rosa possono ancora, dagli uffici inquirenti, essere esonerati dal rispondere a domande sul capomafia supremo di Barcellona Pozzo di Gotto, Rosario Pio Cattafi? Perché qui sta il punto: se quei due nulla hanno da dire su Cattafi, è la prova che la loro “collaborazione” con la giustizia è semplicemente l’ultimo disperato strumento con cui il cerchio più interno del sistema mafioso barcellonese, mollati ai loro destini luogotenenti che pure hanno sicuro rilievo criminale, cerca di evitare il crollo.

C’è un’ultima questione e riguarda il defunto Pietro Arnò. Sono in molti a sapere (e fra costoro sicuramente io) che Pietro Arnò, almeno fino ai primi anni Duemila è stato amico e frequentatore del barcellonese più potente e autorevole sotto il profilo istituzionale, “politico” e sociale, ovvero l’attuale Procuratore generale Antonio Franco Cassata. Che nell’immaginario collettivo barcellonese il dr. Cassata incarni la figura del “santo patrono” è pacifico. Basti ricordare come il 30 luglio 2003 l’imprenditore Tindaro Calabrese, mentre stava per essere ammanettato dai Carabinieri nel procedimento denominato “Omega”, si rivolse così alla madre: “dici a papà di chiamare il giudice Cassata, che è un amico e può sistemare la situazione”. E basti ricordare anche come il 2 ottobre 2000, rivolgendosi al Consiglio superiore della magistratura, l’avv. Ugo Colonna, oggi difensore di Maurizio Marchetta, definì il dr. Cassata, tout court, più o meno un mafioso. Ora, gli anni della frequentazione fra Arnò e Cassata sono ricompresi nella contestazione mossa a Rao e agli altri. È mai possibile che Arnò, se davvero fosse stato a quei tempi vittima di pressioni mafiose, non avrebbe confidato alcunché al dr. Cassata, nel corso di uno dei loro tanti riservati conciliaboli al Museo Cassata?
È superfluo aggiungere come io sia convinto che le scelte “collaborative” del mafioso Marchetta e del contiguo La Rosa (da chi sarà difeso?) rientrino in una strategia criminale di manipolazione della giustizia per finalità di alta mafia, strategia che ormai da troppo tempo sembra irrefrenabile. Le autorità in indirizzo hanno l’obbligo di porvi fine.



Messina, 12 luglio 2011
Avv. Fabio Repici











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