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Scritto da Giuseppe Giustolisi   
Martedì 26 Luglio 2011 21:39

Ce la farà Catania ad avere un procuratore della Repubblica estraneo all'ambiente, come chiedono le associazioni catanesi - Libera in testa - in diversi appelli al Csm? Un signore di un altro distretto, possibilmente di un'altra regione che non abbia mai avuto a che fare con le controverse vicende della "giustizia" etnea?

Da qualche giorno pare più difficile. La quinta commissione del Csm ha infatti proposto al plenum tre nomi, due dei quali sono del tutto addentro al sistema catanese (oltreché discussi per differenti ragioni). Parliamo di Giovanni Tinebra, procuratore generale della città, candidato di Magistratura Indipendente, e di Giuseppe Gennaro, sostituto procuratore a Catania, candidato Unicost (la corrente di cui è uno dei leader). E poi c'è il candidato che viene da fuori, il sostituto procuratore a Roma Giovanni Salvi, sostenuto da Magistratura Democratica.

Tinebra fu nominato nel 2006 procuratore generale all'unanimità. Veniva da Caltanissetta, dove aveva retto la Procura dall'epoca delle stragi, e forse quella nomina qualche problema di opportunità lo poneva, visto che Catania è competente per i reati commessi da magistrati in servizio nel capoluogo nisseno. Lo stesso Tinebra era stato indagato e poi archiviato per i rapporti coi legali di Silvio Berlusconi, nell'ambito dell'inchiesta sui mandanti occulti delle stragi. Recentemente sono stati sollevati pesanti dubbi sulle sue condizioni di salute, per le quali Tinebra ha marcato visita e non si è presentato al processo contro il generale Mori, dove era testimone. Certo è che il plenum del Csm gli ha concesso da poco il via libera necessario per rimanere in servizio altri quattro anni.
L'episodio della mancata testimonianza è stato denunciato dalla parlamentare radicale Rita Bernardini, in un'interrogazione nella quale si fa anche riferimento ai rapporti di Tinebra con il fior fiore dell'imprenditoria catanese e romana, da Mario Ciancio, editore monopolista all'ombra dell'Etna, a Francesco Caltagirone.

Un'altra interrogazione targata centrosinistra riguarda Giuseppe Gennaro. A scriverla è stato il leader dell'Italia dei Valori Antonio Di Pietro, che ha ricordato al ministro della Giustizia Alfano "i rapporti personali fra Gennaro e il boss mafioso Carmelo Rizzo", organico alla cosca dei Laudani di San Giovanni La Punta, in provincia di Catania. Di Pietro ha anche rievocato la vicenda del- l'acquisto da parte di Gennaro di una villetta a San Giovanni La Punta, dove il magistrato risiede, costruita dalla Di Stefano costruzioni, società riconducibile allo stesso Rizzo.
Su queste storie ha fatto chiarezza la sentenza del Tribunale di Roma (non appellata dalla Procura) che ha assolto chi scrive e Marco Travaglio dall'accusa di diffamazione nei confronti di Gennaro. Il magistrato ci aveva querelati per un pezzo pubblicato su Micromega nel 2006. La sentenza ci dà atto di aver esercitato correttamente il diritto di cronaca e di critica. Nell'articolo si raccontava come il magistrato catanese avesse mentito sui suoi reali rapporti con Rizzo dinanzi ai colleghi che lo interrogavano a Messina (dove era indagato per 416 bis, inchiesta poi archiviata): "In effetti Gennaro", scrive il Tribunale nella motivazione, "ebbe ad escludere alcun rapporto di sorta con Rizzo in rilevanti sedi giudiziarie, in contrasto con molteplici risultanze, emergenti sia da fonti dichiarative che dalla significativa fonte documentale costituita dall'assegno girato all'inizio del 91, e dunque in coincidenza con l'acquisto della villetta, alla CG Fratelli Rizzo". E i rapporti di Rizzo con la mafia? Precedono l'acquisto della villetta: "Gli accertamenti dei carabinieri già nel '90", prosegue il giudice, "diedero spunto per l'avvio del procedimento di misura di prevenzione nei confronti di Rizzo". Sulle modalità di acquisto della villa, poi, il Tribunale segnala che "non sono stati reperiti tutti i connessi mezzi di pagamento con le relative ricevute". Questi i fatti. Con buona pace di tutti quelli che hanno liquidato la vicenda sotto la voce "veleni". La Sicilia di Ciancio in testa.

Ce n'è abbastanza per raccogliere l'appello delle associazioni di Catania. Quel procuratore estraneo all'ambiente potrebbe essere Salvi, il magistrato del "nord" nato a Lecce, autore di grosse inchieste su terrorismo e mafia. Non il salvatore della patria, certo, ma soltanto un magistrato alieno dalle beghe catanesi, da giudicare alla prova dei fatti. Quel procuratore estraneo al sistema che l'ex presidente del Tribunale per minorenni di Catania, Giambattista Scidà, bandiera della questione morale, già invocava quindici anni fa in un appello inascoltato al Csm in cui, come esempio della patologia giudiziaria catanese, citava il processo per il centro fieristico di Viale Africa, una mega-opera pubblica imposta a suon di tangenti da un imprenditore mai perseguito dalla giustizia etnea. La sentenza del Tribunale di Roma è stata acquisita dal Csm che ora, prima di nominare il nuovo procuratore catanese, ha di che riflettere.


Giuseppe Giustolisi (Il Fatto Quotidiano, 26 luglio 2011)







 

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