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18 luglio 2011 - Le trascrizioni degli interventi al convegno “Quinto Potere”/1 PDF Stampa E-mail
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Scritto da Redazione 19luglio1992.com   
Martedì 02 Agosto 2011 18:39

A seguire gli interventi di Antonio Ingroia, Nino Di Matteo, Roberto Scarpinato e Salvatore Borsellino durante il convegno "Quinto Potere" organizzato da AntimafiaDuemila il 18 luglio 2011 a Palermo (trascrizioni a cura di Adriana Stazio e Francesca Munno)


Intervento del Dott. Antonio Ingroia al convegno “Quinto Potere”- Palermo 18 Luglio 2011

Anna Petrozzi: L’anno scorso ci siamo lasciati, eravamo sempre qui e lei ha detto “siamo nell’anticamera della verità.” Noi vogliamo sapere se dall’anticamera siamo andati più avanti, più indietro, perché son successe molte cose, molte difficoltà. Non è stato un anno facile né per le indagini, né per gli eventi, né per quello che si profila e quindi è giusto per tutte queste persone che seguono attentamente e in quest’anno hanno seguito sempre attentamente e costantemente il vostro lavoro, sapere se siamo riusciti a fare dei passi avanti e se, per restare nel tema della nostra conferenza di stasera, negli ostacoli che avete trovato noi possiamo parlare di un quinto potere, senza, non è l’intenzione di creare entità astratte con intenti complottasti, è proprio un’esigenza di capire veramente chi comanda in questo Paese.

dott. Antonio Ingroia:

Grazie, buonasera a tutti, grazie ancora per l’invito, ormai sono un veterano di questi incontri, perché credo di non averne mancato nessuno, anzi sicuramente non ne ho mancato nessuno, sono 11 anni, stiamo invecchiando insieme un poco alla volta, speriamo con buoni risultati. Questa è l’occasione per fare il punto della situazione in un momento dell’anno cruciale, perché è sul finire della stagione giudiziaria prima dell’estate e nel ricordo della strage di Via D’Amelio che, senza voler fare ovviamente categorie o confronti tra questa o quella strage, ma certamente è quella che in modo più emblematico rappresenta la storia del nostro Paese, la storia del sistema criminale-mafioso e non solo mafioso e anche la storia difficile e tormentata della verità nel nostro Paese. Una storia purtroppo, quella della verità nel nostro Paese, fatta spesso più di ostacoli che di incoraggiamenti, più di porte chiuse anziché di porte aperte, più di verità negate che di verità trovate con il consenso e sostegno di un intero Paese.

Però è un giorno, è una serata questa ormai ricorrente, appunto, del 18 Luglio importante perché siamo sempre in tanti. Tantissimi nei primissimi incontri perché era ancora più viva l’emozione di quella stagione terribile del ’92-‘93 delle stragi, poi in qualche edizione successiva pochi, negli ultimi anni invece sempre di più, sempre tanti, ogni anno di più, credo, come diceva bene Rita Borsellino pocanzi, perché tutti noi e tutti voi soprattutto avvertite con una certa emozione, credo la stessa emozione che noi stessi avvertiamo con il passare del tempo, che la verità è un po’ più vicina, che la verità si è avvicinata quando forse pensavamo dovesse essere smarrita per sempre.

 

E quindi innanzitutto grazie per esserci, grazie a voi per essere così tanti, perché se questa verità si è avvicinata, è ovviamente principalmente merito dei magistrati che più da vicino si occupano delle indagini sulle stragi, quindi della Procura di Caltanissetta, è merito degli investigatori che si occupano quotidianamente di queste indagini, è merito, diciamo in piccola parte, anche nostra, della Procura di Palermo, dell’indagine che stiamo facendo sulla trattativa, ma credo che sia merito soprattutto vostro. E credo che sia merito soprattutto vostro, e non lo dico per retorica, o per guadagnarmi la vostra simpatia, ma perché l’ho detto in più di un’occasione, anche nei momenti più difficili, in cui la verità stentava a venire fuori, che quando la verità è difficile, quando si ha la netta sensazione appunto che ci sia quel qualcosa altro, come vogliamo chiamarlo chiamamolo, poco importa l’etichetta,  il non solo mafia, e che ci fosse non solo mafia dietro la strage di Via D’Amelio, come ricorderà Roberto Scarpinato con il quale diciamo abbiamo condiviso quelle ore subito dopo il 19 luglio del 1992, già assieme alla Procura di Palermo, noi quella sensazione che non fosse una strage di sola mafia la abbiamo percepita, intuita, direi non nei mesi e negli anni, ma nelle ore immediatamente successive alla strage di Via D’Amelio. Abbiamo percepito però che questa difficoltà poteva venire fuori solo se c’era un impegno collettivo e non un’azione isolata di un pezzo di magistratura. E fu questa anche la ragione, non facciamo la storia di questi anni, lunghissimi anni, fu anche una delle ragioni che ci indusse a quel tempo ad assumere quel gesto forte di protesta anche contro lo Stato, di cui noi eravamo rappresentanti, quando ci dimettemmo dalla Procura Distrettuale Antimafia e vi assicuro non fu scelta facile, che ci portò quasi sul punto noi di essere cacciati dalla magistratura con quell’atto di ribellione anche nei confronti del nostro Capo della Procura di quel tempo e di contestazione anche dei vertici della sicurezza locali e nazionali.

 

Bene, credo che sia appunto importante quindi che ci siate, vi dico grazie soprattutto per la vostra tenacia e direi anche per il vostro, non lo dico per piaggeria, coraggio, perché ci vuole anche coraggio ad impegnarsi, a partecipare, a fare una strada in salita come quella che voi state facendo per la verità e la giustizia in un’Italia dove spesso viene premiato più facilmente il furbo, l’opportunista, colui il quale si volta dall’altra parte e in questo si rende complice del sistema delle corruzioni e delle collusioni con la mafia. E quindi, diciamo, chiudo questa parentesi, doverosa però, di ringraziamento nei vostri confronti, perché noi abbiamo bisogno anche di voi, noi abbiamo bisogno ovviamente di strumenti, anche di doti di coraggio e di testardaggine per andare avanti su questo fronte, e come dire, ne avete bisogno voi, ne abbiamo bisogno noi,  ci incoraggiamo a vicenda e questo ci aiuta ad andare avanti. Anche questo è importante, io spero che con il nostro contributo, nostro e quello dei colleghi impegnati su questo fronte, vi diamo anche qualche buona ragione per avere coraggio, perché ovvio che se il coraggio è un coraggio irragionevole, senza ragioni, diventa irresponsabilità, diventa un coraggio irresponsabile, invece credo che ci sono ragioni per avere coraggio oggi, ragioni per impegnarsi ancora di più oggi.

 

Si sono aperte delle, per rispondere alla domanda sull’anticamera della verità, si sono aperte negli ultimi tempi delle fenditure, io le definirei, si sono aperte delle fenditure dentro questo muro di gomma, questa parete di silenzio, questa omertà che non voglio definire omertà di Stato, ma certamente è un’omertà interna ad una classe dirigente che ha chiuso la verità sulla strage di Via D’Amelio. Io oggi ho detto, stamattina, che c’è una parte dell’Italia che non vuole la verità su quella stagione. Io ne sono convinto, ed è l’Italia dei collusi, l’Italia dei corrotti, l’Italia che ha fondato il proprio potere sulla stagione delle stragi e della trattativa. Quell’Italia è un’Italia che i rapporti con i ceti criminali e i ceti violenti della nostra Sicilia e non solo della nostra Sicilia, ma del nostro Paese, li ha praticati ed esercitati per decenni ed ha costituito il proprio potere su questa alleanza con i ceti criminali del nostro Paese. Bene, rispetto a questo blocco di potere criminale e non solo criminale nel senso comune del termine, si è creata una fenditura, questa fenditura, credo che vada riconosciuto, un merito storico ce l’ha la magistratura e non noi magistrati, ma la magistratura a cominciare dai tanti magistrati come Paolo Borsellino e gli altri che sono stati giustamente prima elencati dal Professore Scaglione, e gli altri magistrati che hanno cominciato, spesso in situazioni di difficoltà, di isolamento e di solitudine istituzionale, un’opera difficile ma di applicazione dei principi costituzionali, a cominciare dal principio costituzionale di eguaglianza e di eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge. Bene, questa magistratura è stata una magistratura che ha costituito lo scandalo interno alla classe dirigente, una magistratura che applicando il principio di eguaglianza ha applicato un principio elementare, ha applicato la legge penale anche nei confronti dei potenti, quello che i magistrati poco avevano fatto nei decenni più lontani. Perché la magistratura nei decenni più lontani era quella magistratura che aveva circondato uomini come Falcone e Borsellino, li aveva assediati dentro quel Palazzo dei veleni come era stato ribattezzato il Palazzo di Giustizia di Palermo dove Falcone e Borsellino operavamo in uno stato, diciamo così, di libertà controllata. Bene, quello stato di libertà controllata piano piano quell’accerchiamento si è rotto, e i magistrati, allievi che hanno conosciuto, hanno avuto la fortuna, il privilegio di conoscere direttamente e di lavorare a fianco con Falcone e Borsellino, ma anche altri magistrati che non li hanno conosciuti direttamente, ma che si sono ispirati al loro modello, sono diventati parte prevalente dentro la magistratura, che è diventata una magistratura, purtroppo, senza Falcone e Borsellino, perché uccisi, ma che avevano dentro sempre più diffusi e prevalenti, i principi, l’eredità lasciata da Falcone e Borsellino, diventata pratica quotidiana. Questa magistratura  è quella che è diventata uno scandalo dentro la classe dirigente e proprio perciò è diventata oggetto di campagne di stampa, campagne di denigrazione, politiche di sostanziale annientamento dei poteri della magistratura e dell’autonomia e indipendenza della magistratura. E lungo questo percorso si è creato anche un pezzo di Italia che a questa magistratura e a questa ricerca di verità si è ispirata.

 

Uomini come Borsellino erano uomini che non si voltavano dall’altra parte, e io non so, ma la magistratura di Caltanissetta lo ha accertato, cosi almeno si è appreso, lo sapete per averlo appreso dalla lettura degli organi di stampa, io non so personalmente, ma la magistratura di Caltanissetta lo ha accertato, che Paolo Borsellino aveva saputo della trattativa. E’ certo, quello di cui io posso essere certo come testimone, come persona che ben conosceva Paolo Borsellino è che Paolo Borsellino se avesse saputo della trattativa certamente non si sarebbe voltato dall’altra parte, certamente non avrebbe fatto finta di niente. Ed io credo che proprio una delle lezioni più importanti che ha lasciato Paolo Borsellino è proprio quella di non voltarsi mai dall’altra parte, e credo che voi potrete essere motori di verità e rinnovamento, potrete essere padroni del vostro destino solo se vi ispirerete a questi modelli di comportamento, so che lo fate quotidianamente, va fatto ancora di più: mai voltarsi dall’altra parte, impegnarsi, crederci, avere quella stessa fede nell’uomo che Paolo Borsellino aveva, fede nell’uomo, cioè nella fede di potere cambiare le cose contro i potenti, contro i potenti che, a volte, proprio perché in combutta con i poteri criminali, tengono sotto scacco o sotto ricatto il nostro Paese.

 

Questa, rispondo a chi oggi ha detto “ma a chi si riferisce il Dott. Ingroia quando dice chi è quest’Italia che non vuole la verità? Nessuno non vuole le verità sulle stragi.” Ho visto qualche dichiarazione di qualche uomo politico, al quale non sfuggono mai le mie dichiarazioni sul punto. Beh, io credo che Paolo Borsellino non è morto per un incidente stradale e non è morto soltanto per una bomba di mafia, lo dico, poi si vedrà, non tocca a me, posso parlare perché non è un’indagine di cui mi occupo io, si vedrà se si acquisiranno le prove giudiziarie sufficienti per fare un processo su questo, ma credo che non ci sia, non possa esserci dubbio che c’è un’Italia che vuole coprire la verità su quella stagione e che quella stagione ancora è in parte, ahimè, per rispondere alla domanda, un buco nero nella storia del nostro Paese, è un buco nero che la nostra democrazia non si può consentire, perché non sarà mai una democrazia compiuta se non farà chiarezza sulle sue origini, perché queste sono le origini della nostra storia. E allora, mi avvio alla conclusione, perché giustamente ci sono tanti altri relatori che devono intervenire. Devo dire però soltanto alcune cose.

 

Voi dovete rappresentare nel migliore dei modi un’Italia altra, un’Italia diversa che sa distinguere le informazioni dalla disinformazione, i fatti dalle opinioni, le verità dai luoghi comuni e dagli slogan perché la disinformazione, i luoghi comuni, le opinioni per nascondere i fatti, sono quello di cui hanno bisogno le mafie, le cricche, le conventicole, coloro i quali difendono in tutti i modi i loro privilegi di un potere arroccato in se stesso, non disposto a sottoporsi al principio di eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge. E allora dicevo l’informazione: attenzione vi dico, attenzione a non lasciarvi condizionare da luoghi comuni e slogan.

 

Attenzione che non passino certe semplificazioni che, sarà deformazione professionale la mia, mi appaiono a volte sospetti. Non condivido per niente, ad esempio, questo manifesto che ha tappezzato i muri della città che si affretta a equiparare Ciancimino Vito e Ciancimino Massimo. No, sono due cose ben diverse. “Tale padre tale figlio”. No, non sono tale padre tale figlio. E lo dice un pubblico ministero che con il collega Di Matteo e i colleghi della Procura di Palermo ha emesso un provvedimento cautelare, ha chiesto ad un gip l’emissione di un provvedimento cautelare per reati di calunnia e di detenzione di esplosivo, ma è bene mettere le cose al loro posto: Ciancimino Vito era un mafioso, Ciancimino Massimo non è un mafioso. Ciancimino Vito era un uomo che aveva sposato la cultura dell’omertà, l’ho conosciuto, ahimè , l’ho interrogato a lungo nel carcere di Rebibbia, non ammise nulla di quello per il quale addirittura era stato condannato con sentenza definitiva nel maxi processo senza ammettere mai alcun suo rapporto con Cosa Nostra. Questo era Ciancimino Vito, che addirittura nel ‘93 a pochi mesi dalla strage di Capaci continuava a sostenere che Giovanni Falcone aveva ordito un complotto contro di lui per incastrarlo, questo era Ciancimino Vito. Ciancimino Massimo non è un mafioso, a parere della Procura di Palermo, come anche della Procura di Caltanissetta, ha commesso dei reati anche nel periodo in cui è iniziato la sua, chiamiamola così, controversa ,ed uso un eufemismo, più che controversa collaborazione con la Giustizia, ma semmai Ciancimino Massimo è un’altra cosa, è uno che ha parlato troppo, parlato troppo davanti ai magistrati dicendo, a nostro parere, anche dichiarazioni con contenuto calunnioso, parlando troppo sui libri, in televisione, nei salotti televisivi, in giro per l’Italia a presentare il suo libro, certamente non dentro il modello di colui il quale, testimone, collabora con la Giustizia.  

Ma torniamo a questi manifesti, io non faccio naturalmente processi alle intenzioni a nessuno, ma mi chiedo perché questo affrettarsi a volere equiparare Massimo Ciancimino al mafioso Vito Ciancimino, perché affrettarsi a volere che si archivi, diciamo cosi, definitivamente assieme alla figura di Massimo Ciancimino il contenuto delle dichiarazioni di Massimo Ciancimino. C’è qualcosa che non mi quadra, c’è qualcosa che non mi convince, c’è il sospetto che qualcuno abbia interesse a cancellare tutta l’indagine che riguarda la trattativa, rispetto alla quale le dichiarazioni di Massimo Ciancimino sono state uno dei tanti contributi intercettati quando l’indagine era già avviata. E non vorrei che qualcuno si illuda che archiviare Ciancimino significa seppellire per sempre le verità che sono venute fuori negli ultimi anni sulla vicenda della trattativa e stanno ancora venendo fuori grazie a Ciancimino e nonostante, e malgrado diciamo Ciancimino, perché questo fa parte della controversia del soggetto, dobbiamo dire grazie a Ciancimino e malgrado Ciancimino, ma grazie a Ciancimino e malgrado Ciancimino ci sono delle verità che sulla vicenda sono venute fuori che, mi dispiace dover disilludere chi crede che queste verranno definitivamente seppellite, non verranno né seppellite, né insabbiate.

 

Chiudo, chiudo perché immagino che ho preso troppo tempo, chiudo davvero, chiudo con un auspicio che è una convinzione. Dicevo, si è aperta questa fenditura, a proposito di quella, e rispondo finalmente diciamo alla domanda: siamo andati avanti, entrati in quella anticamera della verità? sì, sono convinto che rispetto all’anno scorso siamo andati avanti, solo che andando avanti, come spesso accade, forse non era l’anticamera della verità, ma potremmo dire che era l’anticamera dell’anticamera della verità e allora giunti a quest’altra anticamera ci siamo trovati davanti ad una porta, una porta che sembrava bastasse spingerla con un dito perché si aprisse e si spalancasse e invece abbiamo trovato un po’ di resistenza spingendo questa porta, prima con un dito, poi con la mano, poi mettendo un po’ di forza e a questo punto abbiamo capito che dall’altra parte c’è qualcuno che spinge da quest’altra parte. E possiamo anche provare a metterci un piede per impedire che la porta ci venga sbattuta contro e per sempre. Ma temo che uno, due, tre, quattro o cinque piedi da soli vengono stritolati per la forza che viene usata dall’altra parte. E allora l’appello, come dire, e l’auspicio è di restare sempre attenti, di seguire quel che accade, di non lasciarvi fuorviare dalla disinformazione imperante, di aiutarci a mettere degli altri piedi, mettete anche i vostri piedi di traverso per impedire che la porta che ci conduce, noi, dico la magistratura nel suo complesso nelle sue varie articolazioni, alla verità ci venga impedita, perché io sono convinto, e mi piace chiudere con questa frase, che aveva ragione Hannah Arendt quando diceva che “persuasione e violenza possono provare a distruggere la verità, ma non possono rimpiazzarla, perché la verità possiede una forza intrinseca e i fatti nella loro ostinatezza sono superiori al potere e alla fine prevalgono. Grazie.

Antonio Ingroia


Intervento del dott. Antonino Di Matteo al convegno “Quinto Potere” – Palermo 18 luglio 2011

 

ANNA PETROZZI: Dott. Di Matteo, il dott. Ingroia ha introdotto un tema delicatissimo e molto importante, quello dell'informazione, della capacità di distinguere i fatti. C'è una tendenza, mi sembra di cogliere, che a volte quando appunto subentrano difficoltà, diciamo così, come quella che ha riguardato la vicenda Ciancimino di cui chiaramente non le chiedo nel dettaglio, di fare di tutta l'erba un fascio, di far sparire i fatti e di tentare di disgiungere, si fa un discorso del tipo un conto è la verità giudiziaria, un conto è la verità storica, che è vero è così, sono anche due verità. Però a me dà l'impressione che a volte si usi questo parametro per far sparire la verità dei fatti. Cioè alla fine la verità giudiziaria siccome c'è confusione a livello mediatico si fanno sparire anche quelli che sono dei fatti che poi sono accertati anche giudiziariamente. Le volevo chiedere questo: in che modo vanno letti determinati fatti, in che modo, lo dico soprattutto per questi giovanissimi che sono stasera con noi, come fanno a difendersi dalla falsa informazione? In questo senso, proprio relativamente per esempio a un processo come quello che state conducendo voi?

 
 
DOTT. ANTONINO DI MATTEO:
 

Grazie. Buonasera a tutti. Risponderò alla sua domanda, ma così come ha fatto Antonio, mi sento di dovere iniziare questo mio intervento esprimendo la mia sincera gratitudine a tutti voi che siete stasera presenti molto numerosi. Grazie a tutti quelli che arrivano da lontano, da fuori dalla Sicilia. Grazie a quelli che vengono da Palermo, che anch'essi dimostrano di reagire con la partecipazione a tutte le manifestazioni di questi giorni a quel clima di rassegnazione, di indifferenza, di scetticismo che attanaglia la nostra città e direi gran parte purtroppo del nostro Paese. Il clima che ha sempre costituito il terreno più fertile sul quale hanno prosperato non solo la mafia ma i sistemi criminali in Italia. Vi dico grazie perché rappresentate quel fresco profumo di libertà di cui parlava Paolo Borsellino e speranza, rappresentate per noi una boccata di ossigeno nel clima qualche volta irrespirabile che ci circonda e costituite in un contesto in cui autorevolissimi esponenti delle istituzioni hanno definito le indagini ulteriori sui fatti del '92 e del '93 uno spreco di denaro e di risorse pubbliche, voi costituite invece con la vostra presenza, con la vostra attenzione per noi magistrati, lo stimolo più forte ad andare avanti nella ricerca della verità.

 

Un anno fa in questo stesso luogo, nel fare genericamente il punto sulle indagini sulle vicende del periodo stragista e sulle sempre più concrete acquisizioni in ordine al convergere di interessi altri rispetto a quelli di Cosa Nostra, vi avevo detto che iniziavamo ad avvertire sempre crescente un clima di insofferenza verso le nostre indagini, verso i processi che si stanno celebrando e che riguardano in generale i rapporti tra la mafia e la politica, tra la mafia ed il potere. Vi avevo detto un anno fa, in questo stesso bellissimo atrio, che respiravamo una strana aria di una voglia diffusa di una giustizia più normale, di una giustizia, direi meglio, normalizzata, di una giustizia che si occupi esclusivamente di delinquenti e di mafiosi da strada e magari allenti la morsa sulla politica e sul potere che conta.

 

Bene, oggi vi dico a distanza di un anno, che sono convinto purtroppo di non essermi sbagliato, perché percepisco, e credo di non essere il solo, come per esempio prendendo spunto dalle vicende che hanno coinvolto Massimo Ciancimino, delle quali non parlerò, deludendo magari qualcuno che spera che si entri nel particolare per poi magari potere promuovere delle azioni disciplinari nei confronti dei magistrati che lo fanno, dicevo, molti prendendo spunto dalla vicenda di Ciancimino io credo che così come ha anticipato Antonio, vorrebbero azzerare in realtà, come si suol dire gettando il bambino con l'acqua sporca, anni di inchieste che hanno delineato contesti sempre più imbarazzanti per settori ampi e trasversali del potere di questo Paese. Vorrebbero, prendendo spunto da questa vicenda, in realtà quando dicono di volere colpire Ciancimino, in realtà vogliono azzerare le inchieste e i processi che sono ritenuti da molti trasversalmente, a destra, al centro e a sinistra, scomodi e scabrosi.

 

Il nostro dovere è quello di continuare con più forza ed impegno di prima, il vostro interesse di cittadini è quello di continuare a vigilare sul nostro lavoro, di pretendere da noi il massimo impegno, la massima attenzione, l'indipendenza più assoluta, ma di pretendere anche dagli altri, dalla politica, dalle altre istituzioni, dai mass media - torno alla domanda che mi è stata fatta -, di pretendere che la politica, le altre istituzioni, i mass media lascino lavorare i magistrati senza gli uni (la politica e le istituzioni) frapporre ostacoli e frapporre atteggiamenti omertosi all'accertamento della verità e gli altri senza fomentare o in qualsiasi modo avallare organizzate e pericolose campagne di denigrazione ed isolamento di chi fa il proprio dovere senza guardare in faccia nessuno.

 

In quest'ultimo anno sono accadute tante altre cose, alcune le ha ricordate il direttore Giorgio Bongiovanni, e alcune situazioni si stanno pericolosamente sviluppando. Molte recenti inchieste (e tra queste anche quelle sullo stragismo degli anni '90) ci stanno consegnando un quadro che ritengo sempre più nitido, sempre più tristemente nitido. Un contesto dal quale, al di là della possibilità di configurare e soprattutto provare precise fattispecie di reato a carico di soggetti determinati, al di là di questa possibilità di individuare dei reati, emerge però sempre più nitido il potere oscuro del quale le varie cricche o P4 costituiscono l'esemplificazione concreta, il potere oscuro che pretende di stare al di sopra della Costituzione e delle leggi, il potere oscuro che tenda di estendersi, ramificandosi pervasivamente, all'interno delle istituzioni legittime ed ufficiali. Un potere non visibile ma coperto. Nel 1941 un esule tedesco Ernst Fraenkel scrisse e pubblicò in America un libro intitolato "Il doppio Stato" in cui spiegava il funzionamento del potere nazista: da una parte quello che definiva lo Stato normativo, lo Stato delle istituzioni legali, dall'altro quello che chiamava lo Stato discrezionale, che funzionava con l'arbitrio e la violenza al di là di ogni norma e garanzia. Bene, fatte le debite e notevoli differenze con le atrocità della dittatura nazista, io credo che qualcosa di simile sembra accadere anche nel nostro Paese, dove il potere legittimo, quello legale costituzionale appare continuamente messo in pericolo e logorato da un potere occulto, indiretto e manipolatorio, che si annida all'interno delle istituzioni pubbliche, le penetra, le corrode, le vuole piegare a fini di parte.

 

Una riflessione la voglio fare insieme a voi. Negli ultimi anni e anche negli ultimi mesi l'emersione di questo fenomeno è stato possibile pressoché esclusivamente grazie alle attività di intercettazione telefonica ed ambientale. Bene, temo che non sia certamente casuale che oggi sia tornato di stretta attualità nell'agenda politica il tema di una riforma che non solo limiti ulteriormente la possibilità per la magistratura di disporre intercettazioni, ma per altro verso vieta la pubblicazione e la diffusione dei contenuti delle intercettazioni anche quando non siano più sottoposte al segreto investigativo. Non mi sorprende che la riforma delle intercettazioni sia tornata alla ribalta e non mi sorprende che su alcuni aspetti si registri purtroppo un consenso in parte trasversale agli schieramenti politici. Non è la tutela della privacy dei cittadini a preoccupare il potere, è l'esigenza di evitare che la magistratura con le sue inchieste possa controllare il rispetto delle regole nell'esercizio del potere ed è l'esigenza di impedire in ogni caso che la verità finisca sui giornali. Ho letto per esempio che in una conversazione intercettata dalla Procura di Napoli, il dottor Bisignani, autocompiacendosi della sua capacità di acquisire e gestire informazioni anche segrete, ha affermato testualmente: "Assumere informazioni è il primo passo del potere". Non vorrei che la riforma di cui si discute mirasse ad evitare che di quel potere di essere informati venissero privati i cittadini, quelli che hanno l'unica arma del voto consapevole per potersi ancora definire tali, cittadini, e non semplici sudditi. Ecco perché la riproposizione della cosiddetta legge bavaglio è un tema che penso riguardi tutti i cittadini e che investa l'essenza stessa dell'effettività della nostra democrazia.

 

In quest'ultimo anno è continuata la mistificazione di rappresentare una sorta di guerra permanente tra magistratura e politica. Una contrapposizione reciproca, così si legge e così si sente. Io credo che sia una mistificazione perché quella che abbiamo vissuto e viviamo non è una guerra bilaterale, è un'offensiva unilaterale, violenta, senza precedenti, di una parte consistente della politica nei confronti della magistratura e solo perché il controllo di legalità della magistratura è stato visto come un ostacolo da rimuovere nella pretesa dell'esercizio di un potere senza limiti e senza contrappesi. Abbiamo dovuto registrare un clima pesante di aggressione nei confronti della magistratura ogni qual volta le indagini hanno toccato il potere. A fronte di iniziative giudiziarie legittime e doverose, abbiamo assistito al consolidarsi di un vero e proprio sistema che ha reso pratica quotidiana l'insulto, il dileggio nei confronti della magistratura. Abbiamo vissuto un'assurda campagna di denigrazione tesa a minare la credibilità di tutti i magistrati davanti agli occhi dei cittadini, facendo vigliaccamente leva sulla generale delusione per le mancate risposte alla legittima ansia di giustizia. Ci ha molto colpito non solo quello che è stato detto continuamente sui magistrati, ma anche il silenzio di tanti, troppi alti esponenti istituzionali dai quali ci saremmo aspettati, per esempio dal ministro della Giustizia, un comportamento diverso, una presa di distanze rispetto ai continui attacchi e alle violente offese. E che invece con i fatti hanno sostanzialmente dimostrato di adeguarsi sempre e comunque alla volontà del sovrano.

 

Bene, oggi questa articolata offensiva che da un lato si è sviluppata con questa campagna di denigrazione nei confronti della magistratura, si sta sviluppando e si sta articolando per altro verso in maniera ancora più pericolosa e io credo che si è arrivati veramente all'attacco finale, al momento decisivo per compromettere definitivamente l'indipendenza della magistratura. Mi riferisco a un piano che è certamente istituzionale, legittimo ma ugualmente pericoloso per la tenuta di principi fondamentali della nostra Costituzione. Sapete che è stato presentato nel marzo scorso e che quindi impegnerà il Parlamento nei prossimi mesi, il testo della riforma costituzionale della giustizia. Si è parlato di una riforma epocale. E io credo che effettivamente l'approvazione di questo testo comporterebbe certamente conseguenze epocali, perché comprometterebbe la tenuta di principi costituzionali fondamentali, quello della separazione dei poteri sul quale si basa la nostra democrazia e quello altrettanto fondamentale dell'eguaglianza di tutti i cittadini innanzi alla legge. Badate che le nostre preoccupazioni non sono legate soltanto al fatto che la riforma si ispira anche ad intenti evidentemente punitivi nei confronti di noi magistrati. Non è questo il problema o meglio non questo il problema principale. La nostra preoccupazione è quella che avvertiamo da cittadini di questo Paese, per tutti i cittadini di questo Paese e in particolare per quelli che appartengono alle fasce più deboli ed indifese.

 

Mi consentirete tre annotazioni prima di scendere un po' più nello specifico del pericolo che vi ho rappresentato. Tre annotazioni apparentemente marginali ma che possono aiutare a capire il contesto e le ragioni di questa vera e propria controriforma della giustizia, perché di questo si tratta. La prima: in diversi e significativi punti il testo della riforma costituzionale coincide - vi invito a verificarlo - con il testo del Piano di Rinascita Democratica sequestrato a Licio Gelli nella villa di Castiglion Fibocchi nel 1981.

 

La seconda annotazione: all'atto della presentazione alla stampa, al momento della conferenza stampa pubblica del progetto di riforma, il Presidente del Consiglio, al cui fianco sedeva il ministro della Giustizia, ha testualmente affermato: "Se questa legge fosse stata approvata venti anni fa, non ci sarebbero state le inchieste di Mani Pulite". Sono assolutamente d'accordo con la chiarissima affermazione del Presidente del Consiglio.

Il problema, che è un problema che dobbiamo porci tutti noi italiani, tutti noi cittadini, è quello di capire, tutti gli italiani, se ora e in futuro, a fronte di una corruzione dilagante ormai divenuta sistema e vergognosamente quasi accettata da parte significativa del Paese, si vogliono impedire le inchieste della magistratura, le tante Mani Pulite alle quali faceva riferimento il capo del Governo, il problema è la corruzione, il problema è stato il fenomeno di Tangentopoli o è stata l'inchiesta Mani Pulite? Il problema è il fenomeno della corruzione dilagante o il problema sono le inchieste della magistratura sulla corruzione del potere?

 

La terza annotazione. Sappiamo tutti, lo ripetono tutti e correttamente: il vero problema della giustizia è quello dell'eccessiva durata dei processi. Bene, questa riforma - sfido chiunque a dimostrare il contrario - non sposta di un millimetro, non accorcia di un minuto la durata dei processi. Anzi, siccome anche la stampa dovrebbe ogni tanto avere il coraggio della verità dei fatti perché non tutto può essere rappresentato come opinione di sinistra, di centro o di destra, ma dovremmo guardare un po' più ai fatti, mentre si parla del problema della durata dei processi, un disegno di legge governativo sul progetto di riforma del codice di procedura penale prevede per esempio che un giudice non possa più eliminare dalla lista dei testimoni della difesa dell'imputato anche una sola prova, cosicché se dovesse passare questa riforma, nel momento in cui un testimone di un imputato eccellente presentasse come lista dei testimoni della difesa l'intero elenco telefonico della città di Palermo, il giudice dovrebbe sentire nel processo tutti gli abitanti della città di Palermo mentre il processo inevitabilmente andrebbe incontro alla prescrizione. Questi sono fatti che chiunque abbia un minimo di conoscenza delle leggi e del codice di procedura penale ha abbastanza chiari di fronte a sé.

 

La riforma, perché è un pericolo per tutti noi cittadini? Cercherò di non dilungarmi troppo ma alcune cose ve le devo dire. Viene prevista la riforma dell'art.112 della Costituzione che attualmente prevede l'obbligatorietà dell'azione penale: se un pubblico ministero si imbatte nella prova di un reato da chiunque sia commesso deve fare il processo. Nei confronti di chiunque. Fino ad ora un principio assoluto, cardine della nostra Costituzione. Con la riforma dovrà essere il legislatore di turno, quindi la maggioranza di turno, a stabilire di volta in volta secondo quali criteri e nei confronti di quali reati il pubblico ministero potrà esercitare l'azione penale. Dubito che le indicazioni riguarderanno o potranno riguardare i reati tipici della casta, i reati tipici del potere, i reati tipici dei colletti bianchi, la corruzione, i rapporti tra la mafia e la politica, i fenomeni di riciclaggio, le gare di appalto truccate e condizionate dalla mafia o da altre lobby criminali. Temo che si consoliderebbe, nel momento in cui il potere politico avrebbe il diritto di dire "persegui questi reati e non perseguire questi altri", si consoliderebbe, temo, un sistema in cui a dei cittadini di serie A a cui si assicurerebbe di fatto per legge la sostanziale impunità, si contrapporrebbero cittadini di serie B e serie C autori tipici dei reati da strada, furti, rapine, immigrazione clandestina e quant'altro.

 

E ancora, gravissima e fondamentale - sarebbero tantissimi i punti da toccare ma mi rendo conto che mi sto dilungando troppo - ma gravissima e fondamentale nell'ottica di un assetto completamente differente della struttura dell'indagine penale è la prospettata riforma anche di un altro articolo della Costituzione, l'art. 109 della Costituzione, che ora prevede che l'autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria . Con il testo di riforma invece si prevede che il giudice e il pubblico ministero potrebbero disporre della polizia giudiziaria solo secondo le modalità stabilite dal legislatore di turno. Cioè viene spezzato il vincolo che costituzionalmente lega funzionalmente la polizia giudiziaria al pubblico ministero. Si vuole riportare la barra dell'effettiva direzione, del controllo vero dell'andamento dell'indagine in capo alla polizia giudiziaria, e quindi - questa è la riflessione che dobbiamo fare noi tutti cittadini - ad articolazioni che comunque sono gerarchicamente organizzate e subordinate al potere esecutivo. Il pm diventerebbe sostanzialmente un mero notaio della regolarità dell'inchiesta fatta da organismi dipendenti dal potere esecutivo. Pensate che se la riforma fosse approvata potrebbero ancora svilupparsi indagini di un certo tipo per esempio nei confronti della politica, delle istituzioni, di esponenti delle forze dell'ordine, di esponenti dei servizi di sicurezza? Pensate che quando un capitano dei carabinieri o un funzionario di polizia può essere immediatamente trasferito da un giorno all'altro per un'inchiesta scomoda a seguito di una telefonata del ministro al questore o al comandante dei carabinieri, pensate che senza la direzione delle indagini da parte del pubblico ministero si possano sviluppare quel tipo di indagini e di processi? Ci sarebbero stati i vari processi, le varie indagini, per citarne soltanto alcune che ci riguardano più da vicino come sede giudiziaria palermitana, al dottore Contrada, al senatore Dell'Utri, al presidente Cuffaro, al presidente Andreotti, al generale Mori o a tanti altri? Se avessero già sottratto al pubblico ministero come vogliono fare la direzione delle indagini?

 

E poi che cosa vogliono fare? Vogliono cambiare la composizione del Consiglio Superiore della Magistratura. Vogliono aumentare da un terzo alla metà il numero dei componenti nominati dall'organo politico, quindi di nomina politica. Vogliono attribuire a questi componenti anche la funzione di comporre l'Alta Corte di disciplina che deve giudicare sugli illeciti disciplinari dei magistrati. Per giunta per la metà dei componenti che verrebbero eletti dai magistrati, prevedono comunque l'elettorato passivo nel novero di magistrati sorteggiati. Quindi la politica nomina la metà dei componenti del CSM, i magistrati nominano l'altra metà ma non potendo scegliere quelli che ritengono i più capaci di tutelare la loro autonomia e indipendenza, i più impegnati, i più adatti, ma tra quelli che vengono sorteggiati. Tutto questo aumenterebbe l'incidenza ancora superiore della politica sul Consiglio Superiore della Magistratura, aumenterebbe il pericolo di magistrati propensi a cercare di non disturbare il manovratore, propensi diciamo a subire il controllo della politica, propensi a non scontentare la politica dalla quale dipenderebbe in maniera esorbitante la carriera e l'essenza stessa del progredire della carriera del magistrato. Questo non è un pericolo per i magistrati, è un pericolo per i cittadini che non avrebbero più nessuna garanzia di trovarsi di fronte ad un magistrato capace di applicare la legge anche a tutela della parte debole.

 
Bene, quando abbiamo detto queste cose (Antonio Ingroia lo sa, in particolare), quando abbiamo esposto quelli che sono dei pericoli che riguardano tutti i cittadini e abbiamo cercato di farlo speriamo spiegandoci in maniera comprensibile a tutti, ci hanno detto "giudici protagonisti", "giudici politicizzati", ci hanno definiti anche "pubblici ministeri comizianti di Palermo". Siamo consapevoli che questo si potrà ripetere ancora. Noi non abbiamo intenzione di tacere su questi aspetti. Ci sono stati dei giudici, ci sono stati dei colleghi e tra questi Paolo Borsellino in particolare, che con la loro testimonianza, con i loro interventi pubblici, con le loro esternazioni, con le loro interviste quando lo hanno ritenuto opportuno, ci hanno insegnato che ci sono dei momenti - e quello che stiamo vivendo è uno di quelli - in cui c'è un'alternativa: o ci si rassegna sottomettendosi alla legge del più forte o si deve trovare il coraggio di denunciare pubblicamente con forza, lealtà e chiarezza ciò che sta accadendo alla giustizia. Non è più il momento della prudenza, del silenzio, della convenienza a non esporsi in prima persona. E' il momento per tutti noi dell'assunzione di responsabilità. Per tutti noi, da parte di chiunque crede nei valori costituzionali che regolano la nostra democrazia. Grazie.

Antonino Di Matteo




Intervento del dott. Roberto Scarpinato al convegno “Quinto Potere” – Palermo 18 luglio 2011

 

Anna Petrozzi: dott. Scarpinato anche lei nel corso di questi anni è intervenuto più volte ai nostri convegni e ci ha sicuramente aiutato – a noi ma soprattutto a tanti giovani che ci hanno seguito – a approfondire, comprendere concetti come quello della criminalità della classe dirigente, come quello dei sistemi criminali attraverso la storia, gli eventi della storia. Non vorrei incorrere in una semplificazione, però mi azzarderei a fare una domanda diretta che poi lei può spiegare nella sua complessità per evitare banalizzazioni. Siamo autorizzati a dire che lo stragismo può essere considerato un metodo di lotta politica?

 
dott. Roberto Scarpinato:
 

Risponderò a questa domanda ma prima io vorrei attirare la vostra attenzione sul titolo che gli amici di Antimafia Duemila hanno scelto per questa serata: “Le finalità dello stragismo tra depistaggi e verità storiche”. Perché si fa riferimento a verità storiche e non, come ci si attenderebbe, a verità processuali? La scelta di questo titolo è significativa perché in sostanza ci dice che sino ad oggi la verità storica sullo stragismo italiano non è mai riuscita a trasformarsi in verità processuale perché la magistratura non è mai riuscita a fare luce sui retroscena delle stragi italiane e a incriminare i mandanti. Siccome lo scarto tra verità processuale e verità storica non riguarda soltanto le stragi mafiose del 1992 e del 1993 ma tutte le stragi italiane del periodo repubblicano dal 1947 sino al 1993, io credo che sia importante questa sera provare a interrogarsi sulle motivazioni generali che determinano l’esistenza e la persistenza nel corso di più di un cinquantennio di storia repubblicana di questo scarto incolmabile tra verità storica e verità processuale, nonostante il mutare delle contingenze storiche, delle maggioranze politiche, eccetera.

 

E’ come se esistesse una costante strutturale che rimane sempre uguale a se stessa nonostante il succedersi degli avvenimenti. Questa costante – rispondo subito alla sua domanda – secondo me è la criminalità di alcuni settori delle classi dirigenti italiane che sono sempre state portatrici di una cultura anticostituzionale, illiberale e antidemocratica e nel corso della storia repubblicana hanno fatto ciclicamente ricorso alle stragi e all’omicidio politico come strumento ordinario di lotta politica delegando l’esecuzione di stragi e di omicidi politici a varie agenzie della violenza tra le quali la mafia siciliana, la banda della Magliana ed esponenti della destra eversiva.

 

E a questo proposito vorrei ricordare ai tanti giovani che ci sono qui, che l’Italia è un Paese assolutamente anomalo nel panorama delle moderne democrazie europee. Anomalo, direi, unico, perché, a differenza di quanto è avvenuto nella storia di tutti gli altri Paesi europei, esaminando la nostra storia nazionale, si può constatare come lo stragismo non costituisca nella storia italiana un evento eccezionale, episodico, legato a particolari contingenze storiche. Lo stragismo costituisce una costante della storia italiana che attraversa la monarchia, il fascismo, la prima repubblica e che inaugura la seconda repubblica. La lezione della storia, io credo, dimostra che lo stragismo, così come la corruzione e così come la mafia, fa parte della Costituzione materiale di questo Paese, costituisce una declinazione costante di un modo violento di praticare la lotta politica che dall’unità d’Italia giunge sino ai nostri giorni. In questa prospettiva storica le stragi del ’92 e del ’93 sono a mio parere nient’altro che l’ultima manifestazione in ordine temporale di questo codice della violenza politica iscritta nel DNA di alcuni settori delle nostre classi dirigenti.

 

Come dicevo prima nessuna storia nazionale europea è segnata come la storia italiana da una catena così lunga e ininterrotta di stragi. Tralasciando per ragioni di tempo tutte le stragi del periodo monarchico e di quello fascista e limitandoci soltanto alle stragi del periodo repubblicano, basti considerare che la storia della prima repubblica è stata inaugurata da una strage, la strage definita ormai una strage politica di Stato, quella di Portella della Ginestra del primo maggio del 1947, che inaugura in Sicilia la strategia della tensione che poi si svilupperà in tutto il resto del Paese negli anni ’60 e negli anni ’70. E poi, dopo la strage di Portella della Ginestra, la strage di Milano alla Banca dell’Agricoltura, la strage di piazza della Loggia a Brescia, la strage dell’Italicus, la strage di Bologna e via elencando sino alle stragi del 1992 e del 1993. E tra una strage e l’altra bisogna considerare tutti i progetti di strage che sono abortiti e una lunghissima serie di omicidi politici.

 

Sul piano storico io credo che esistono vari fattori che inducono a ritenere che la maggior parte di queste stragi e di tanti omicidi politici sia stata ordinata da mandanti eccellenti, da soggetti appartenenti cioè a settori delle classi dirigenti nazionali. Quali sono i fattori che inducono a formulare questa diagnosi? Provo a elencarne alcuni.

 

In primo luogo il sistematico depistaggio da parte di apparati dello Stato delle indagini della magistratura per individuare gli esecutori e i mandanti delle stragi. Il depistaggio delle indagini da parte di carabinieri, forze di polizia e alti magistrati per la strage di Portella della Ginestra è ormai stata ricostruita analiticamente in tutti i libri di storia. E furono depistate anche le indagini sulla strage di Milano alla Banca dell’Agricoltura creando la falsa pista degli anarchici e di Valpreda che consentì di coprire per lungo tempo i veri esecutori materiali. E forse ricorderete che a Bologna è stata emessa una sentenza definitiva di condanna contro esponenti dei servizi segreti condannati per avere depistato le indagini. E forse saprete che anche le indagini di piazza della Loggia sono state depistate.

 

E questi depistaggi non sono consistiti soltanto nel dirottare le indagini su false piste, per coprire i veri esecutori materiali e coprire i mandanti, ma anche nel fare sparire documenti che custodivano segreti scottanti sugli arcana imperii e sui crimini del potere.

 

Pensiamo ad esempio alla sparizione delle bobine che contenevano la registrazione degli interrogatori condotti dalle Brigate Rosse nei confronti di Aldo Moro, registrazioni che contenevano anche rivelazioni sui retroscena delle stragi degli anni ’70 come comunicarono le Brigate Rosse in un comunicato e che tuttavia non sono state mai trascritte nei memoriali, né le Brigate Rosse incarcerate hanno mai voluto parlare di questo argomento.

 

E pensiamo ancora alla sparizione delle carte che il giornalista Carmine Pecorelli, editore della rivista OP, era riuscito ad avere che contenevano segreti scottanti che lui centellinava sulla propria rivista OP con messaggi criptati facendo tremare tutti i palazzi del potere.

 

E per le stragi di mafia pensiamo alla sparizione dei documenti che il generale Dalla Chiesa custodiva e che aveva incaricato la moglie di portare a chi di dovere qualora fosse stato assassinato. Ma gli assassini di Dalla Chiesa sapevano che la moglie di Dalla Chiesa conosceva quel posto e la uccisero volutamente cioè Emanuela Setti Carraro non morì perché si trovava nella traiettoria di sparo di Carlo Alberto Dalla Chiesa: i killer fecero il giro della macchina e la uccisero venendo meno alla tradizione che negli omicidi di mafia le donne non si uccidono se non necessario. Quindi bisognava tappare la bocca a una possibile testimone di documenti scottanti. E potremmo continuare con altri esempi di documenti che sono fatti sparire.

 

Ecco, quello che mi pare che meriti di essere meditato è che la casistica che ho appena indicato evidenzia l’esistenza di una sorta di canovaccio costante, di una sorta di protocollo operativo che attraversa il tempo e che troviamo applicato anche nelle stragi del ’92 e del ’93. Di questo protocollo operativo fa parte l’intervento immediato della squadra dei cosiddetti “ripulitori”, cioè di soggetti che sono incaricati di fare sparire documenti compromettenti.

 

Questo protocollo mi pare sia stato attuato nel gennaio del 1993 mediante la sparizione dei documenti scottanti custoditi nella casa di Salvatore Riina, documenti in grado di tirare giù tutti i santi del Paradiso, quando consideriamo che con due soli bigliettini trovati nelle tasche di Riina al momento dell’arresto è stato possibile fare un’indagine importantissima che riguardava alcuni patrimoni illegali. Forse la storia di questo Paese e quella delle indagini sulle stragi sarebbe cambiata se la magistratura avesse potuto mettere le mani su quell’archivio, di Riina, un archivio da cui Riina non si separava mai e che portava con sé quando si allontanava dalla casa per andare in ferie o per trasferimenti che superavano i pochi giorni.

 

E la squadra dei ripulitori è scesa in campo anche quando ha fatto sparire l’agenda rossa di Paolo Borsellino, che evidentemente conteneva notizie tali da consentire di ricostruire il gioco grande del potere, di cui secondo me la trattativa è soltanto un momento, che si giocava dietro le stragi e che inghiottì come in un gorgo malefico la vita di Paolo e dei ragazzi della scorta. Ed è altamente probabile che in quell’agenda vi fosse un filo d’Arianna seguendo il quale probabilmente saremmo arrivati nelle stesse stanze del potere a cui portavano le carte che sono fatte sparire dalla casa di Riina.

 

Ecco, questi pochi elementi possono già dare il senso di un gioco truccato, cioè di un gioco in cui la magistratura non deve misurarsi soltanto con gli uomini di Cosa Nostra, i quali tutto sommato hanno risorse e possibilità limitate, ma deve misurarsi anche con soggetti i quali entrano in campo in momenti e in luoghi cruciali per alterare il corso delle indagini, riuscendo ad essere presenti con una tempestività e con una professionalità che dimostra che hanno alle spalle delle strutture organizzative collaudate e dotate di straordinario know-how tecnico-professionale.

 

Ma il depistaggio delle indagini non è stato organizzato soltanto facendo sparire i documenti: non staremmo qui a discutere se avessimo quei documenti tra le mani. Si è realizzato anche con la creazione di falsi collaboratori costruiti in laboratorio che hanno depistato le indagini della magistratura sulla strage di via D’Amelio. Il ruolo istituzionale che ricopro non mi consente di entrare nei dettagli di questo argomento, ma certo è che i falsi collaboratori che hanno determinato il depistaggio delle indagini di via D’Amelio non si sono auto presentati da soli: sono stati introdotti da esponenti delle forze di polizia, la cui corresponsabilità nella costruzione di quelle false dichiarazioni è ancora in corso di accertamento e quindi più di tanto non posso dire. Certo è però che i vertici allora in libertà di Cosa Nostra sapevano bene che quelli erano falsi collaboratori costruiti a tavolino e tuttavia non hanno reagito come sarebbe stato logico reagire, giustiziando cioè coloro che per mera ambizione personale di carriera avevano costruito false prove a carico di persone che non avevano partecipato alla strage. Perché i vertici di Cosa Nostra subirono passivamente? Forse perché si convinsero che quella non era un’iniziativa individuale di alcuni poliziotti che volevano fare carriera, ma era piuttosto un depistaggio pilotato dall’alto da un potere così alto da non poter essere sfidato impunemente. Un potere che si doveva subire in quel momento, ma con il quale poi si poteva trattare una soluzione concordata, lasciando che gli scheletri restassero negli armadi. Ad esempio mediante una trattativa come quella proposta da Pietro Aglieri alla cui famiglia mafiosa i falsi collaboratori avevano addossato falsamente la responsabilità dell’esecuzione della strage.

 

Non so se le indagini consentiranno di dare risposta a questi e ad altri interrogativi, ma è certo che molti conti non tornano. Certo è che fa riflettere che ai silenzi tombali dei capi mafia che sono a conoscenza dei retroscena delle stragi si sommino anche quelli altrettanto tombali di tanti vertici statali e politici.

 

Le rivelazioni di Massimo Ciancimino sulla trattativa condotta da suo padre Vito nel 1992 hanno innescato una sorta di sagra degli smemorati di Collegno di Stato, alcuni dei quali, sentitisi chiamare in causa, solo a distanza di più di un quindicennio dalla strage di Capaci si sono finalmente decisi a rivelare alla magistratura e alla Commissione parlamentare antimafia frammenti di fatti e circostanze che disperatamente noi in questi quindici anni avevamo cercato di far venire alla luce e che aprono degli spiragli su quella trattativa che non potendo passare sulla testa di Paolo Borsellino, passò sul suo cadavere.

 

Ho detto all’inizio che vi sono vari fattori che inducono a ritenere che dietro molte delle stragi della storia italiana vi sono dei mandanti eccellenti che appartengono alla classe dirigente. Ne ho indicato uno, ne indico un altro. Il secondo fattore è la sistematica eliminazione di tutti gli esecutori materiali delle stragi, che erano depositari di segreti eccellenti e che minacciavano di rivelare i nomi dei mandanti.

 

Tutti gli esecutori materiali della strage di Portella della Ginestra furono assassinati. Io non voglio attardarmi sul punto, ma qualcosa va ricordato. Anche in quella vicenda si svolse una trattativa vergognosa alla luce pubblica. Il bandito Giuliano, che era quello che fece la strage, denunciò sulla stampa il nome del principale mandante politico della strage, dopo essersi reso conto di essere stato usato e di essere stato scaricato. Si illuse di potere ricattare i mandanti e di contrattare la sua impunità e un rifugio dorato all’estero continuando a mandare messaggi sulla stampa. Si svolse così per diversi mesi una trattativa: Giuliano che faceva i nomi dei mandanti della strage e emissari segreti che contattavano Giuliano. Alla fine lo convinsero che accettavano le sue condizioni ma che in cambio lui doveva sottoscrivere un memoriale in cui si assumeva la responsabilità esclusiva di quella strage. Giuliano cadde nella trappola, firmò il memoriale e così si condannò a morte. La sua morte, dopo la trattativa, fu addirittura annunciata sulla stampa. In un reportage da Montelepre intitolato “Giuliano sa tutto e per questo deve morire”, il giornalista Alberto Jacovello scrisse: “Giuliano conosce esecutori e mandanti della strage. E qui il gioco diventa grosso. Giuliano comincia a sapere troppe cose. Se lo prendono, parla. Messana, l’ispettore di polizia, non lo prenderà. Oppure lo prenderà in certe condizioni. Morto e con i suoi documenti distrutti, se ne ha.” Questo accadeva sulla stampa. Proprio perché bisognava occultare la trattativa segreta tra Giuliano e i mandanti eccellenti, fu inscenato che Giuliano era stato ucciso in un conflitto a fuoco con i carabinieri, mentre invece era stato tradito e ucciso dal suo luogotenente Gaspare Pisciotta che era anche suo cugino. A Pisciotta era stata promessa dai mandanti eccellenti l’impunità, ma quando le promesse non furono mantenute e Pisciotta minacciò a sua volta di fare i nomi dei mandanti eccellenti, fu assassinato in carcere con un caffè corretto alla stricnina. E insieme a lui e dopo di lui furono uccisi tutti gli altri esecutori che erano a conoscenza di quei segreti.

 

Per citare un altro caso, vorrei ricordare che il 1 aprile del 1981 fu assassinato nel carcere di Novara Ermanno Buzzi, che era stato condannato in primo grado quale esecutore materiale della strage di piazza della Loggia a Brescia. Ermanno Buzzi fu assassinato subito dopo che aveva dichiarato di volere collaborare con la magistratura e di fare i nomi dei mandanti eccellenti.

 

Perché ho citato questi precedenti? Non certo per fare storiografia questa sera, ma perché ciò che è accaduto in passato offre un’importante chiave di lettura che può aiutare a decifrare i silenzi tombali di coloro che oggi conoscono i retroscena delle stragi del 1992 e del 1993. L’eliminazione di tutti gli esecutori materiali della strage di Portella della Ginestra che avevano osato minacciare di fare i nomi dei mandanti eccellenti, è stata, come mi disse una volta il collaboratore Marino Mannoia, una lectio magistralis che gli uomini della mafia militare non hanno mai dimenticato. Potremmo riassumere questa lectio magistralis nei seguenti termini: mai illudersi di potere sfidare e ricattare il potere dei mandanti eccellenti interni alla classe dirigente, perché hanno mezzi e strumenti superiori a quelli della mafia militare e perché, come mi disse Marino Mannoia, cane non mangia cane. Cosa vuol dire? Che alla fine le varie componenti della classe dirigente trovano comunque un accomodamento politico e chi rischia di farne le spese sono gli esecutori materiali che non si adeguano alle transazioni di vertice. Questo è il motivo che faceva dire a Gaetano Badalamenti, il quale di criminalità del potere se ne intendeva, “noi non possiamo fare la guerra allo Stato”, cioè noi non possiamo fare la guerra alla classe dirigente che occupa lo Stato.

 

Tutto ciò può forse contribuire a spiegare perché tanti di coloro che sanno i segreti delle stragi del ’92 e del ’93 ritengono che attualmente non vi siano le condizioni per parlare, sfidando un potere ancora così forte e così in sella e così interno forse allo Stato, che è in grado di raggiungerti anche all’interno della cella più superprotetta, suicidandoti, o che è in grado di ammazzare i tuoi familiari anche nei luoghi più protetti.

 

E forse questa potrebbe essere una chiave di lettura della strana morte di Antonino Gioè, boss di Altofonte, uno degli esecutori materiali della strage di Capaci, che fu trovato morto in carcere, suicida apparentemente, con accanto una strana e criptata lettera nella quale faceva riferimento a suoi contatti con uomini vicini ai servizi segreti. E ancora questa forse potrebbe essere la chiave di lettura di quanto è accaduto al collaboratore di giustizia Antonino Giuffré, il quale ha riferito che quando la sua collaborazione era assolutamente segreta, tanto segreta che neanche io lo sapevo, all’interno del carcere era stato contattato da uomini che lo avevano invitato a suicidarsi e che per questo motivo gli avevano lasciato un sacchettino di plastica col quale soffocarsi. E questa, ancora, forse potrebbe essere la chiave di lettura dell’omicidio di Ilardo, cognato di Giuseppe Madonia, a conoscenza di alcuni segreti sui retroscena delle stragi, assassinato pochi giorni prima che iniziasse a collaborare ufficialmente con la magistratura, dopo che per mesi aveva svolto il compito di infiltrato confidente e che aveva portato all’arresto di vari capimafia e che aveva fatto scoprire il luogo in cui si nascondeva Provenzano. E che dire – e qui mi fermo – dei silenzi meditati di Giuseppe Graviano che sembra dare l’impressione di attendere il corso degli eventi amministrando nel frattempo sapientemente i terribili segreti di cui è depositario in modo da poter lucrare in futuro il massimo dei vantaggi possibili senza rischiare nel frattempo di fare la fine che è riservata a tutti gli esecutori materiali che non sanno tenere la bocca chiusa.

 

Prima ho detto che vari indizi inducono a ritenere che dietro le stragi si sia svolto quello che Giovanni Falcone chiamava il gioco grande, cioè un war game nazionale interno ad alcuni settori della classe dirigente. Vorrei indicare e ricordare alcuni degli indizi che chiamano in causa il coinvolgimento di livelli superiori a quelli di Cosa Nostra.

 

Le stragi di Capaci e di via D’Amelio furono ripetutamente annunciate prima della loro esecuzione. L’ex neofascista Elio Ciolini, già coinvolto nelle indagini per la strage di Bologna, il 4 marzo del 1992, mentre era detenuto in carcere, scrisse una lettera indirizzata al giudice istruttore per anticipargli che nel periodo marzo-luglio del 1992 si sarebbero verificati fatti intesi a destabilizzare l’ordine pubblico con esplosioni dinamitarde e omicidi di uomini politici. Puntualmente, pochi giorni dopo, il 12 marzo fu ucciso l’europarlamentare Lima e nel maggio e nel luglio ci furono le stragi di Capaci e di via D’Amelio. Il 18 marzo Ciolini aggiunse che il piano eversivo era di matrice masso-politico-mafiosa, esattamente come ci riferirono poi anni dopo alcuni collaboratori di giustizia. Come faceva Ciolini a sapere e a prevedere?

 

Ma non basta. Il 22 maggio del 1992 l’agenzia di stampa Repubblica, dove collaboravano l’andreottiano Vittorio Sbardella e uomini vicini ai servizi segreti, annunciava che di lì a poco si sarebbe verificato un grande botto, nell’ambito di una strategia della tensione finalizzata a mettere fuori gioco nella corsa alla Presidenza della Repubblica, che in quel momento si svolgeva, il candidato favorito Andreotti. Puntualmente l’indomani, ventiquattrore dopo, vi fu la strage di Capaci che come sapete mise fuori gioco Andreotti nella corsa alla Presidenza della Repubblica e anni dopo il collaboratore Giovanni Brusca ci disse che la tempistica di quella strage era stata scelta da Riina proprio per alterare l’andamento della corsa alla Presidenza della Repubblica e per mettere fuori gioco Andreotti che era stato un traditore che non aveva mantenuto le sue promesse nei confronti di Cosa Nostra.

 

Ma non basta. Sempre l’agenzia Repubblica il 19 marzo del 1992, pochi giorni dopo l’omicidio dell’europarlamentare Salvo Lima, annunciò che quello era soltanto l’inizio di una strategia della tensione che si sarebbe sviluppata nei mesi successivi e che aveva come obiettivo la balcanizzazione del Paese e la destabilizzazione politica. Qualche anno dopo il collaboratore di giustizia Leonardo Messina ci disse che alla fine del 1991 nelle campagne di Enna la commissione regionale di Cosa Nostra aveva messo a punto un piano che corrispondeva esattamente a quello che era stato descritto anni prima pochi giorni dopo l’omicidio Lima.

 

Come facevano tutti costoro a sapere con tanto anticipo quello che sarebbe accaduto? Erano tutti preveggenti? Avevano tutti la palla di vetro? Ecco perché ho parlato di un war game nazionale, di un gioco grande del potere che tira in ballo vari settori della classe dirigente che comunicavano tra di loro con articoli, linguaggi criptati che solo loro potevano capire, ma gli altri non potevano capire. E credo che non sia un caso che Carlo Azeglio Ciampi, presidente del Consiglio ai tempi delle stragi del ’93, abbia ripetutamente dichiarato che è sua convinzione che dietro le stragi vi fosse un progetto di colpo di Stato che mirava a destabilizzare il suo governo ed il Paese.

 

C’è un ultimo fattore – e mi avvio alla conclusione – che merita riflessione e che ancora una volta induce a ritenere che dietro le stragi italiane, comprese quelle del 1992 e del 1993, vi sono mandanti eccellenti appartenenti alle classi dirigenti di questo Paese e in grado di condizionare dall’interno gli apparati istituzionali e la stessa politica.

 

Il potere di cui sto parlando non soltanto ha ostacolato in mille modi l’azione della magistratura impedendo di risalire oltre il livello degli esecutori materiali, con depistaggi, falsi collaboratori, ma ha condannato all’impotenza anche il Parlamento italiano che non è stato mai in grado di fare luce sui retroscena delle stragi con le Commissioni parlamentari di inchiesta. Così dopo la strage di Portella della Ginestra, non fu possibile istituire una Commissione parlamentare di inchiesta, nonostante fosse stata richiesta a gran voce. E vorrei ricordare che la Commissione parlamentare sulle stragi neofasciste degli anni ’70-’80 è stata lasciata morire per tacito accordo trasversale di tutte le forze politiche senza che prima depositasse una relazione conclusiva e nonostante che per anni avesse assunto, con il potere dell’autorità giudiziaria, centinaia di testimonianze e raccolto migliaia di documenti. E la Commissione parlamentare antimafia per anni si è ben guardata dall’aprire un’inchiesta per accertare i retroscena delle stragi del ’92 e del ’93 e da quando sotto la presidenza del senatore Pisanu si è finalmente avventurata su questo terreno, rischia di arenarsi nelle sabbie mobili dei “non ricordo”, delle contraddizioni, delle reciproche smentite di tanti uomini di Stato e di politici chiamati a deporre che furono i protagonisti di quella terribile stagione.

 

E’ come se vi fosse la consapevolezza che fare luce sui retroscena di quelle stragi sarebbe come aprire un vaso di Pandora. Una parte dello Stato dovrebbe processare un’altra parte dello Stato o, se preferite, una parte della classe dirigente dovrebbe processare un’altra parte della classe dirigente con gravi effetti destabilizzanti per gli equilibri macropolitici del Paese. Così la polvere viene riposta sotto il tappeto, gli scheletri vengono rimessi negli armadi, poi il 2 agosto anniversario della strage di Bologna, il 23 maggio e il 19 luglio anniversari delle stragi di Capaci e di via D’Amelio, i tanti sepolcri imbiancati che affollano le cerimonie ufficiali si battono ipocritamente il petto e celano dietro la coltre della retorica ufficiale le piaghe della nazione.

 

Ma queste piaghe purulente non possono restare ancora per lungo tempo celate perché rischiano di continuare a infettare irreparabilmente tutta la vita democratica del Paese, condannando questo nostro povero Paese a rivivere ciclicamente e drammaticamente il suo tragico passato.

 

Io credo, qui concludo, che questo nostro appuntamento annuale fuori dai luoghi dell’ufficialità – non è un caso che io da anni non partecipi alle cerimonie ufficiali ma partecipo soltanto alle cerimonie come queste – questo nostro appuntamento fuori dai luoghi dell’ufficialità assume il senso e il valore di una promessa reciproca. Noi magistrati qualunque cosa accada continueremo ad andare avanti e a cercare di ricostruire la verità processuale. Voi però non smobilitate, continuate a battervi perché su questa vicenda non cada la coltre del silenzio o perché non si verifichi un’amnistia collettiva per amnesia collettiva e perché resti viva la memoria di quanto è accaduto.

 

Gli assassini hanno terrore della memoria. Il generale Videla, capo della giunta argentina che si rese responsabile di genocidi di massa, soleva ripetere: “La memoria è sovversiva”. E dunque restiamo tutti sovversivi della memoria e facciamo che gli assassini continuino a dormire notti insonni sino a quando non riusciremo a portarli sul banco degli imputati.


Roberto Scarpinato



Intervento di Salvatore Borsellino al convegno “Quinto Potere”- Palermo 18 Luglio 2011

Io mi chiedo che cosa possa dire questa sera un ingegnere, l’ingegnere Salvatore Borsellino, dopo che abbiamo ascoltato tre magistrati come Scarpinato, come Ingroia, come Di Matteo, dopo che abbiamo ascoltato un giornalista dalla profonda esperienza nazionale come Giulietto Chiesa, che sta portando da anni  un progetto politico, politico quello che dovrebbe essere la politica, non quella che è la politica nel nostro Paese, un progetto politico per la mobilitazione dal basso, un progetto politico che possa cambiare finalmente il nostro Paese e che veramente possa fare sentire “quel fresco profumo di libertà” che oggi ho sentito ricordare in questa aula nella quale ho passeggiato insieme a mio fratello Paolo Borsellino. E  non posso non dimenticare anche Giorgio Bongiovanni che è uno di quei giornalisti che ancora sanno leggere e ancora sanno scrivere, che ancora hanno portato avanti, portano avanti quello che dovrebbe essere il giornalismo in Italia, e che da 15 almeno, forse di più, hanno continuato a portare avanti la lotta per la verità e per la giustizia, quella verità in cui io, mi vergogno di dire, che per 10 anni ho mantenuto il silenzio. Io non so cos’è che potrei portare di nuovo questa sera, in un incontro come questo, per cui posso dire che quello che posso portare, quello che vi ho portato, è semplicemente la passione di questi giovani, che sono venuti da tutta Italia, spesso non avendo neanche i soldi per pagarsi il biglietto, e spesso non avendo neanche un lavoro per potersi sostentarsi in un Paese come il nostro che purtroppo a questi giovani non riesce a rassicurare un futuro che non sia precario, un futuro che non sia incerto, un futuro che li potrebbe spingere ad andare a cercare in un altro Paese quello che non trovano nel nostro Paese, ma io vi prego ragazzi, non andate via, non andate via, noi abbiamo bisogno di voi qui. Io ho fatto questo sbaglio 40 anni fa, io sono andato a cercare un  altro Paese, ho lasciato la mia Palermo, ho lasciato la mia terra, ho lasciato mio fratello, e sono andato via credendo di andare a trovare fuori da Palermo, in un altro Paese, un’altra maniera di vivere, ma ho sbagliato ragazzi, ho sbagliato, non bisogna mai fuggire da quello che non ci piace, quello che non ci piace, lo dobbiamo amare, dobbiamo fare come Paolo, noi, questo è il nostro Paese, è il nostro Paese e noi l’amiamo, e il nostro Paese non ci piace, ma amare come ha detto Paolo significa amare ciò che non ci piace per poterlo cambiare, è quello che dobbiamo fare. Noi dobbiamo combattere per il nostro Paese, perché questo Paese è nostro e ce lo dobbiamo riprendere. Vedete io mi rivolgo a questi magistrati, io vi ho chiesto due anni fa, prima di questi incontri, vi ho chiesto di potermi permettere di piangere mio fratello, io mio fratello non l’ho potuto ancora piangere, mio fratello non l’ho potuto ancora seppellire, e vi ho chiesto di accompagnarci sulla strada della Verità per permetterci di conoscere la Verità, di avere Giustizia finalmente, solo allora io potrò seppellire mio fratello, solo allora lo potrò piangere, io credo che su questa strada voi ci avete permesso di fare tanti passi avanti. Vedi Antonio tu hai detto siamo, in questi incontri, siamo invecchiati insieme, io vedi non credo di essere invecchiato in questi incontri, io insieme a questi giovani, credo di essere ringiovanito, io da questi giovani continuo a prendere forza, continuo a prendere forza, quella forza che certe volte mi potrebbe portare a ricominciare a tacere, a rientrare in quei dieci ani di silenzio, in cui io mi sono sentito morto dentro. E  grazie a questi giovani, nel momento in cui li ho incontrati, nel momento in cui ho cominciato a parlare con loro, che veramente ho ritrovato la speranza, ho ritrovato la voglia di lottare, la voglia di vivere. Perché vedete io avevo perso la speranza perché ancora una volta avevo peccato di egoismo, io ho peccato di egoismo quando ho lasciato questa città per andare a cercarmi a costruire un futuro in un’altra città, in un altro paese, perché allora andare via da Palermo significava per me era andare in un altro paese, non è servito a niente, non è servito a niente, perché non serve scappare da quello che non ci piace, noi quello che non ci piace dobbiamo cercare di cambiarlo. Io sono andato via e a che cosa è servito, se io oggi da tutto quello che sono fuggito me lo ritrovo lì, dove oggi, oggi che quel cancro che aggrediva, che ha aggredito, che è nato sicuramente nel sud del nostro Paese, lasciato crescere in maniera incontrollata, così come è stata fatta oggi ha aggredito il nostro Paese, è entrata in metastasi, è ormai quasi impossibile da curare. Io vi ho chiesto di accompagnarci sulla strada della Verità, e credo che tanti passi ci avete permesso di fare su questa strada. Vedete questi giovani che sono qui ormai sono diventati (….) la Giustizia ce l’hanno nel cuore, e Giulietto ti assicuro tu che ti sei rivolto a loro, ti assicuro che questi giovani non si fermeranno più. Questi giovani hanno dentro una forza dentro, una voglia di capire, di conoscere anche il passato, quello che è il nostro passato,perché capiscono che da loro dipende il loro futuro, capiscono che questo loro incerto futuro che si trovano davanti dipende dal loro passato, loro vogliono capire che cosa è successo nel nostro Paese, perché si possa essere arrivati a questo punto. Ed io credo che questi giovani non si fermeranno più sulla strada della Verità, sulla strada della Giustizia. Credetemi noi abbiamo bisogno di sapere, abbiamo bisogno di conoscere, abbiamo bisogno di capire perché nel nostro Paese un Presidente del Consiglio possa dire nel momento in cui sono state riaperte certe indagini della Procura di Palermo, della Procura di Caltanissetta dalla Procura di Milano, dalla Procura di Firenze, perché questo Presidente del Consiglio possa aver detto che ci sono delle Procure che stanno complottando contro di lui, queste Procure stanno semplicemente indagando sulle stragi che ci sono state in Italia, sulle stragi del ’92 del ’93, che cosa ha spinto a questo Presidente del Consiglio a dire che queste Procure stanno indagando contro di lui?  Forse lui ha a che fare con queste stragi? Ci vuole dire, forse, che ha a che fare con queste stragi? Io non capisco come possa e perché possa avere detto una frase del genere, non capisco come abbia potuto, parlando della strage di Via D’Amelio, che ci sono delle Procure che stanno indagando su delle vecchie storie. Come può chiamare “vecchie storie” la strage di Via D’Amelio, la strage di Capaci, quando il sangue ancora non si è asciugato sull’asfalto di Capaci, non si è asciugato sul tracciato di Via D’Amelio, non si è asciugato sul (..) di Via dei  Georgofili,come può dire che si cerca di spendere i soldi degli italiani per indagare su “vecchie storie”. Voi ci dovete aiutare a capire perché il Presidente del Consiglio, in uno Stato che dovrebbe essere democratico, possa dire queste cose, voi ci dovete aiutare a capire, noi vogliamo sapere come, perché si presentano come una riforma della Giustizia, delle leggi che sono un sovvertimento della nostra Costituzione. Noi viviamo in uno Stato in cui la Costituzione stabilisce che ci sono dei poteri indipendenti: il potere legislativo, il potere esecutivo, il potere giudiziario. Ma oggi io mi chiedo, dov’è il potere legislativo, se oggi le leggi non vengono più fatti in Parlamento, se leggi vengono fatti in una sala da cena, in una villa di Arcore, è li che vengono studiate o se i Ministri vengono nominati, i sotto segretari vengono nominati in base alle loro attitudini sessuali, sperimentati su un letto di una villa di Arcore? Com’è possibile che il nostro Paese sia diventato un Paese come questo, sia diventato un Paese si cerca di sovvertire la Costituzione? Com’è possibile, soprattutto, che noi abbiamo permesso e permettiamo che tutto questo continui a succedere. Noi abbiamo bisogno di capire perché il nostro Paese sta diventando tutto questo. Abbiamo bisogno si sapere le verità sulla strage di Via D’Amelio, perché noi siamo convinti che senza quelle stragi, oggi noi ci sarebbero questi equilibri, politici che oggi governano questo Paese. Per cui oggi abbiamo bisogno di sapere la Verità. Vede non è che io soltanto stato ucciso è mio fratello, quello che è stato ucciso è il Giudice Paolo Borsellino, il magistrato Paolo Borsellino, un magistrato che se non fosse stato ucciso, insieme al suo fratello gemello Giovanni Falcone, perché era Giovanni Falcone, non io che sono semplicemente il fratello anagraficamente il fratello di Paolo Borsellino, il vero fratello di Paolo. Se non fossero stati uccisi questi magistrati, noi ne siamo convinti, questo Paese non sarebbe quello che purtroppo è diventato. Se non ci fossero state quelle stragi, la strage di Via D’Amelio, di Capaci, di Via  dei Georgofili, il nostro Paese non sarebbe quello che oggi quello che è stato. Noi  siamo convinti che gli equilibri politici di questo Paese si reggono oggi sui ricatti incrociati che può portare avanti chi ha in mano l’AGENDA DI PAOLO BORSELLINO. Quell’AGENDA DI PAOLO BORSELLINO è veramente, come ha detto Marco Travaglio, la scatola nera di questa Seconda Repubblica. Noi non possiamo accettare di vivere in una Repubblica che è fondata sul sangue, perché questa oggi è la nostra Repubblica, una Repubblica fondata sul sangue, non può essere altro su quella che oggi ci troviamo. Allora noi abbiamo bisogno di Verità, abbiamo bisogno di Giustizia, abbiamo bisogno che ci guidate su questa strada, ed è per questo che noi vogliamo, vi hanno chiesto cosa possiamo fare, veramente questa gente vuole stare vicino a voi, vuole capire come vi può proteggere, vedete noi non abbiamo altro che la nostra voglia di Giustizia, anche noi non abbiamo, come non avevano altro che quelli i ragazzi di Paolo, ragazzi che sono morti insieme a lui, non avevano altro che i loro corpi, per proteggerlo, si sono stretti attorno a Paolo nel momento in cui qualcuno ha premuto il detonatore che ha causato quella strage, e sono stati fatti a pezzi. Ma vedete c’è una cosa che non avevano considerato chi ha fatto quella strage: i pezzi di Paolo, i pezzi di quei ragazzi sono entrati nel cuore di ciascuno di noi, e quel Paolo, quei magistrati, giudici che oggi sarebbero come questi accusati di essere dei deviati mentali, accusati di essere delle persone geneticamente diversi, sono diventati invincibili, non possono essere più vinti perché il loro cuore è dentro di voi, il loro pezzi sono dentro di voi, sono le vostre giovani gambe che portano avanti le loro idee, e nessuno potrà più fermarli. Io credo che hanno fatto il più grande sbaglio della loro vita, uccidendo quei magistrati, così li hanno resi invincibili. Ma oggi ci sono degli altri magistrati che sono in pericolo, questi magistrati sono in pericolo perché sono così vicini, come ha detto Antonio (Ingroia) all’anticamera della verità, si forse dentro quella anticamera di cui ci parlavi l’anno scorso, adesso ci dici che ce n’è un’altra, ma non importa dobbiamo andare avanti, noi vi staremo vicini in questo vostro cammino. Noi vi avevamo promesso che se qualcuno avesse tentato di chiudere quella porta dell’anticamera della Verità, noi ci saremmo messi di traverso, ci saremmo fatti pure fatti stritolare, perché noi non permetteremo che questa porta si chiuda e se c’è ancora un’altra porta noi, staremo lì a graffiarla con le unghie in tutte le maniere, siamo disposti a tutti purchè quella porta nell’ultima camera della Verità si apra, perché noi abbiamo bisogno di sapere che cosa c’è dietro quella porta, noi non possiamo accettare di vivere in un Paese in cui non si sa cosa c’è dietro quella porta, in cui ancora una volta su questa strage cada il silenzio, noi non possiamo accettare che succeda per Piazza della Loggia, in cui nel processo dopo 38 anni, sono stati tutti assolti, sono passati solo 19 anni dalla strage di Via D’Amelio, e noi non permetteremo che anche per quella strage,che tra 19 anni ancora ci venga detto da una sentenza che la verità non si può conoscere, che la verità non si potrà conoscere. Noi non accettiamo di vivere in un Paese come questo, noi non accetteremo e vi staremo vicini, ve lo giuriamo, vi staremo vicini, non permetteremo che non solo che quella porta si chiuda, ma non permetteremo che voi diventiate degli altri martiri, perché a qualcuno vanno bene i giudici semplicemente quando sono morti, qualcuno non aspetta altro di andare a porre delle corone nei posti dove dei giudici sono stati eliminati, sono stati ammazzati. Noi per quello staremo lì in Via D’Amelio, perché noi non accettiamo CORONE DI STATO, PER STRAGI DI STATO. Noi non accettiamo le ipocrite corone di quelle Istituzioni della quale noi non vogliamo corone, noi vogliamo semplicemente giustizia, noi siamo con le Istituzioni, noi rispettiamo le Istituzioni, per noi le Istituzioni sono sacre, ma non permettiamo che le Istituzioni si mettano contro le altre Istituzioni, noi non permettiamo che ci siano delle Istituzioni che tentano di sovvertire la Costituzione, non delle Istituzioni - attenzione sto sbagliando a dire-  sto parlando della gente che indegnamente occupano questa Istituzione. Le Istituzioni noi le rispettiamo, le Istituzioni sono sacre,ma non sempre quelle che occupano le Istituzioni no degne di occuparle. E spesso il più grosso villipendio delle Istituzioni è che persone non degne di occuparle, occupano quei posti. Per questo noi domani saremo in Via D’Amelio, non per ricordare Paolo, non per ricordare un anniversario, noi saremo lì per fare memoria, per fare memoria è qualcosa, è profondamente diverso da quella dal ricordo, noi siamo lì per fare memoria e per fare memoria significa impedire che quella gente dimentichi, impedire che venga posta una pietra tombale, com’è stato, come si è tentato, si è cercato di porre sulla Giustizia, una pietra tombale era stata posta sull’Agenda Rossa, sulla sottrazione dell’Agenda Rossa, sulla sottrazione dell’Agenda Rossa che noi abbiamo scelto a simbolo della nostra voglia di Verità, sulla nostra Voglia di Giustizia. Ora (…) che la Procura di Caltanissetta, grazie a nuovi elementi di cui è in grado di disporre, abbia intenzione di riaprire le indagini sulla sparizione dell’Agenda Rossa. Io spero e sono sicuro che questo corrisponda alla verità, perché finalmente anche nella Procura di Caltanissetta il vento è cambiato, perché io credo che non  assisteremo più a depistaggi come quelli che siamo stati costretti ad assistere, per cui un finto pentito è stato (…)  su un tavolo di un processo, per impedire che si arrivasse alla famiglia, quale quella dei Graviano, che non si doveva arrivare, perché attraverso la famiglia dei Graviano si sarebbe arrivato ai referenti politici, a chi con la famiglia dei Graviano  era in contatto, a chi sono stati i mandanti occulti di quella strage. Altre volte dei processi di mandanti occulti di quella strage sono stati bloccati, altre volte delle indagini sono state archiviate, anche contro il volere del magistrato che conduceva quelle indagini, ed è stata preparata una diversa richiesta archiviazione, in cui c’erano scritte cose diverse, da quelle che il giudice Luca Tescaroli aveva preparato. Ed io spero che questo non succeda più, io spero che no succeda più, quello che mi è capitato, quello che mi è successo quando sono andato a Caltanissetta e ho chiesto, non sapendo dov’era il Palazzo di Giustizia, l’ho chiesto ad una persona che stava davanti un bar e mi è stato risposto “il Palazzo sta là dietro, la Giustizia non lo sappiamo dove sta”. Io spero che questo e sono convinto, grazie anche a quei nuovi magistrati che ci sono dentro quella Procura, io spero che questo non succeda più. Io spero che finalmente si riesca ad andare avanti sulla strada della Verità, sulla strada della Giustizia. Ed io ancora una volta vi prometto che noi ci metteremo di traverso rispetto a chiunque vi voglia fermare, noi vi proteggeremo cosi come possiamo proteggervi, semplicemente con la nostra dedizione, con il nostro amore, con la vostra voglia di Giustizia, con la nostra voglia di Verità, noi vi sosterremo con la nostra passione e non permetteremo che succeda un’altra volta quello che è successo nel ’92, perché io sono convinto che ci troviamo in un momento veramente difficile, oggi siamo in un momento in cui c’è un sistema di potere che sta collassando, che sta affogando nel suo stesso fango.  Questi sono, purtroppo i momenti, quando si deve passare da un equilibrio di potere ad un altro, sono i momenti in cui da sempre nel nostro Paese sono avvenute delle stragi. Ecco noi questo, con quello che potremo fare, con quello che possiamo, continuando a gridare così come gridiamo la nostra voglia di Verità, di Giustizia, standovi vicino come vi stanno vicini questi giovani, che sono venuti da tutti Italia, noi non permetteremo che succeda, dovranno ucciderci uno per uno per permettere che questo succeda. Perché noi idealmente vi proteggeremo con i nostri corpi, con la nostra passione e anche con le nostre Agende Rosse levate in alto, che continueremo ad elevare gridando, continuando a gridare la nostra voglia di Verità, la nostra voglia di Giustizia, la nostra voglia di resistenza, la nostra voglia di resistere, fino a quando sono riusciti i martiri della resistenza, a vincere, anche noi vinceremo, anche la Giustizia vincerà, anche la Verità trionferà. Noi lotteremo fino all’ultimo per questo, noi ve lo giuriamo non vi abbandoneremo.

Salvatore Borsellino

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