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18 luglio 2011 - Le trascrizioni degli interventi al convegno “Quinto Potere”/2 PDF Stampa E-mail
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Scritto da Giorgio Bongiovanni e Giulietto Chiesa   
Mercoledì 03 Agosto 2011 22:01
A seguire gli interventi di Giorgio Bongiovanni e Giulietto Chiesa durante il convegno "Quinto Potere" organizzato da AntimafiaDuemila il 18 luglio 2011 a Palermo

Giorgio Bongiovanni
Direttore della rivista ANTIMAFIADuemila

Più che stilare un bilancio questa sera spero di aprire un dibattito, mettendo sul tavolo anche qualche provocazione.
Dal 18 luglio del 2010, data del nostro precedente convegno, fino ad oggi siamo stati tutti testimoni di alcuni fatti. Che noi giornalisti approfondiamo magari un po’ di più.
Molte cose interessanti sono accadute sul versante della lotta alla mafia, che insieme a voi vorrei provare a rimettere in fila.
Nel corso dell’anno abbiamo ascoltato le interessanti dichiarazioni di alcuni pentiti nuovi o meno nuovi, tra cui Gaspare Spatuzza, che in pubblico dibattimento ha parlato ancora di Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri, come di soggetti legati alla mafia negli anni delle stragi;
abbiamo assistito all’approfondimento delle indagini sui mandanti esterni di quelle stragi grazie al lavoro della Procura di Caltanissetta e a quelle sulla trattativa, condotte invece dalla Procura di Palermo;
abbiamo registrato la condanna in appello, a sette anni di reclusione, dello stesso senatore del Pdl Dell’Utri;
abbiamo ascoltato Giovanni Brusca rivelare finalmente in un’aula di Tribunale il nome del terminale ultimo della trattativa, identificandolo in Nicola Mancino, all’epoca delle stragi Ministro dell’Interno;
abbiamo assistito al cosiddetto caso Ciancimino, soggetto estremamente controverso, ma che ha avuto il “merito” di far recuperare la memoria a tanti personaggi delle istituzioni che a seguito delle sue dichiarazioni hanno iniziato a parlare.
Piccoli e grandi passi verso l’accertamento della verità sulle stragi al quale si è contrapposta tutta una serie di attacchi da parte del potere costituito. Attacchi palesi e sibillini.
Uno di questi, che mi ha particolarmente scandalizzato, era rivolto a due magistrati qui presenti: Antonio Ingroia e Nino Di Matteo. Entrambi impegnati nelle delicate indagini sulla cosiddetta trattativa e pesantemente attaccati in Tv, subito dopo il Tg nazionale, nel corso di una trasmissione di cui non voglio nemmeno citare il nome. E che di fronte a milioni di persone li ha indicati come attentatori della Costituzione, eversori, terroristi. Una pericolosa azione di delegittimazione che la mafia potrebbe avvertire come un messaggio: “Ammazzateli”.
Tanto più che è di prossima uscita un telefilm con Raul Bova, per il quale si prevedono 12 milioni di telespettatori, e che sarà intitolato “La persecuzione di Ultimo”. Un telefilm che dipinge come persecutori i magistrati che stanno indagando il generale Mario Mori per favoreggiamento alla mafia e che nella vita reale sono, ancora una volta, Antonio Ingroia e Antonino Di Matteo. Un attacco estremamente raffinato e per questo gravissimo.
Episodi come questi nella storia del nostro Paese si ripetono continuamente cari amici e fratelli palermitani e quindi scusatemi se sarà monotono, ma su questo punto voglio insistere: non dobbiamo permettere che saltino di nuovo in aria autostrade o che vengano sventrate intere vie. Ingroia e Di Matteo sono solo un simbolo, l’attacco rivolto a loro è in realtà diretto a tutti i colleghi che come loro stanno lavorando per arrivare alla verità sui mandanti esterni delle stragi di Capaci e Via D’Amelio. Su chi ha veramente voluto la morte di Paolo Borsellino, di Giovanni Falcone, degli agenti delle loro scorte per creare un nuovo potere in Italia. Un potere forte che secondo il mio punto di vista governa oggi il nostro Paese e all’interno del quale troviamo forse gli stessi soggetti che hanno organizzato quegli eccidi o che comunque hanno votato a loro favore.
Ed è per questo che il nostro Governo tenta in ogni modo, giorno dopo giorno, con assurde proposte di legge, di indebolire l’azione della magistratura. Provando addirittura a favorire i boss in carcere con proposte di ammorbidimento del 41bis. Tentativo recentemente effettuato in sordina, ma bloccato soltanto perché ce ne siamo accorti e lo abbiamo denunciato.
In chiusura, prima di lasciare la parola ai nostri ospiti, proseguendo nella mia elencazione dei fatti accaduti quest’anno vorrei ricordare una persona che ho avuto modo di conoscere, ma per la quale non chiedo un applauso. Era un assassino, un criminale, amico di Riina e di altri potenti boss mafiosi ma dopo essersi pentito ha dato il suo contributo alla Giustizia. Si chiamava Salvatore Cancemi ed è morto lo scorso gennaio.
Voglio ricordarlo perché  nel corso di una serie di colloqui che feci con lui e che riportai nel mio libro intervista “Riina mi fece di nomi di...” mi rivelò che in futuro, prima di morire, mi avrebbe parlato dei rapporti intrattenuti dallo stesso Riina con il Vaticano.
E’ morto prima che io riuscissi ad ascoltare il suo racconto, ma spero che prima o poi qualche altro pentito potrà parlarmi di quei legami.
A proposito di pentiti, ma di altro genere, l’ex procuratore nazionale antimafia Pierluigi Vigna ha recentemente rivisto e corretto le sue stesse dichiarazioni sostenendo che non si può parlare di mandanti esterni nelle stragi del ‘92 e ‘93. Perché da un punto di vista strettamente giudiziario non ci sono le prove definitive della loro esistenza e quindi, secondo lui, non esistono. Un terribile passo indietro che io stesso ho denunciato, pur rispettando come è giusto la sua posizione, sul sito di ANTIMAFIADuemila. E che in un certo qual modo introduce il tema della serata che è appunto quello dei mandanti esterni delle stragi dei primi anni Novanta.

Presento ora un ospite straordinario, il grande giornalista Giulietto Chiesa, protagonista di tante battaglie sul piano internazionale, della politica estera, ma anche nel nostro Paese.
Lui è reduce da quello che è accaduto in Val di Susa, ha manifestato insieme ai No Tav e io vorrei chiedergli come si sente stasera qui, nella trincea di Palermo. Tu che sei stato in tante trincee del mondo, in Afganistan, in Unione Sovietica, a Mosca, in Iraq, in Palestina, come ti senti qui?



Giulietto Chiesa 
Giornalista

Dico un’eresia: se noi vivessimo in un Paese democratico quello che avete sentito voi questa sera l’avrebbero sentito trenta milioni di italiani. 
Dico questo perché stasera se n’è parlato, l’abbiamo sentito dire in diverse riprese dai tre magistrati: uno dei problemi cruciali che abbiamo di fronte è quello dell’informazione. Se dovessi usare una frase di Antonio Gramsci direi che una grande riforma intellettuale e morale di questo Paese passa attraverso un risanamento profondo del sistema dell’informazione, che è interamente al servizio della mafia. Con qualche eccezione, naturalmente. Ma io vi inviterei tutti a riflettere sul concetto del rumore di fondo: le eccezioni ci sono, ma sono come delle grida isolate che durano un secondo e vengono soverchiate dal rumore di fondo che milioni di persone sentono tutti i giorni, ascoltano, soprattutto vedono. Ora, noi abbiamo un problema concreto da affrontare: quello di cominciare  difenderci attivamente da coloro che ci ingannano. Finora non l’abbiamo fatto ancora, dobbiamo imparare a farlo, ma il tema dell’informazione, direi più ampiamente del controllo della comunicazione, è il tema cruciale per una qualunque società che voglia essere democratica. Quello che accade in Italia, che per certi aspetti è anomalo sotto questo profilo, sta accadendo in tutto il mondo. La democrazia è stata profondamente minata dal fatto che i poteri, i veri poteri che dominano la scena politica, hanno ormai conquistato completamente o quasi il controllo delle nostre menti. Questo è il vero punto da cui partire per una riflessione e per un cambiamento profondo.
Questa è la prima cosa che volevo dire. La seconda è la risposta alla domanda di Giorgio che mi ha chiesto come mi sento qui. Mi sento come un nano di fronte a quello che avete ascoltato, lo dico senza piaggeria, io sono onorato di essere qui questa sera, lo considero un grande regalo per me, per la mia vita, per tutta la mia esperienza. Non sono un esperto di mafia, ma la mia esperienza internazionale mi ha fatto capire  pian piano - non subito, c’è voluto un po’ di tempo - che noi stiamo ormai vivendo un’epoca e una fase in cui i poteri criminali sono arrivati ai massimi livelli dell’intero pianeta. I grandi Paesi del mondo sono guidati da gruppi di criminali che si parlano, comunicano tra loro attraverso messaggi mafiosi, si mandano segnali sopra le nostre teste, prendono decisioni senza che noi sappiamo praticamente nulla di ciò che accade. Il problema della mafia e il problema dell’Italia, li vedo quindi come un sottoinsieme di una crisi gigantesca che sta attraversando tutte le società democratiche, o quelle che si considerano tali, o quelle che fino ad ora hanno ritenuto di essere democratiche. Siamo, cioè, in un momento di grande cambiamento. Io ho ascoltato oggi con molta attenzione. Avevo già letto il libro di Roberto Scarpinato, “Il ritorno del principe”, che mi ha particolarmente colpito, così come mi ha colpito la sua argomentazione anche oggi, specificamente nella descrizione del meccanismo che ha determinato tutta la storia d’Italia. Sono d’accordo con lui, però faccio riferimento alla mia esperienza personale. Nel 1969, quando ci fu la strage di Piazza Fontana, ero ancora in Italia. Ed ero ancora in Italia nel 1978, quando ci fu il rapimento di Aldo Moro, ero già un militante politico e mi ricordo come ragionavo allora, come ragionai allora. Allora mi resi conto che stava avvenendo un grande fatto nuovo, che non contraddice quello che ha detto Scarpinato, ma che lo storicizza e ce lo mette davanti agli occhi. Il rapimento di Aldo Moro fu un momento cruciale perché segnò, a mio giudizio, il passaggio, o meglio l’uscita della lotta politica in Italia dal terreno democratico dove era più o meno rimasta fino ad allora - nonostante le stragi precedenti - per diventare una lotta per la vita e per la morte, cioè per trasferirsi sul piano militare.
Io considero quella svolta un momento cruciale della storia d’Italia. Il rapimento e poi l’assassinio di Aldo Moro furono l’estremo tentativo con cui una parte importante delle classi dirigenti del nostro Paese, resasi conto che non riusciva a fermare la grande marcia in avanti delle masse popolari italiane, usciva dal terreno della democrazia e imboccava il terreno della lotta militare. Contro chi? Contro di voi, contro di noi. Usarono, naturalmente, le Brigate Rosse. Che furono usate all’interno di un disegno in cui, certo, esistevano, ma di cui erano soltanto parte e largamente inconsapevole. Devo dire che questa riflessione - che poi ho portato avanti mentre mi trovavo in Russia e guardavo la crisi della Russia e la crisi dell’Occidente dall’osservatorio di Mosca - mi è servita molto per capire anche come ha funzionato l’11 settembre. L’esperienza dell’11 settembre del 2001 è perfettamente interpretabile con gli stessi meccanismi, con gli stessi sistemi, con gli stessi strumenti di depistaggio, con le stesse invenzioni di situazioni irreali costruite sotto forma di sperimentazione e trasformate in attentati terroristici dal potere. Non avrei capito l’11 settembre se non avessi riflettuto sulle storie di mafia italiane.
Che cosa è accaduto? Io metto insieme fatti che apparentemente – uso questo avverbio - non sono connessi, in modo diretto, con il tema che ci è stato proposto oggi. Qui dentro, mi sembra chiaro, ho visto, ho sentito, ho ascoltato le vostre reazioni, credo che tutti abbiano capito, ma fuori di qui, fuori da questo cortile, in Italia, queste verità non sono note e non sono note grazie all’azione congiunta delle istituzioni infiltrate e del sistema mediatico nel suo insieme. Come ho già detto, nel cosiddetto mainstream, è passata a destra e a sinistra la narrazione di coloro che hanno vinto, questo dobbiamo sapere. La spiegazione di quello che è stato definito il terrorismo rosso degli anarchici prima, mai esistiti, e delle Brigate Rosse dopo, esistenti certo, ma infiltrate dai servizi segreti italiani e stranieri. Questa è la storia del nostro Paese. Io penso che per venirne a capo, per capire chi sono quelli che hanno vinto, bisogna collegare le fila dello stragismo con quell’origine, bisogna andare alle cause di fondo e queste cause sono politiche e strategiche. Solo allora, facendo questa mossa intellettuale, collettiva, capiremo che il centro nevralgico di tutto questo problema stava e sta a Roma e a Washington, non sicuramente a Palermo. Per quanto mi riguarda, fin dall’inizio mi fu chiaro che quella strategia, come ho detto prima, era stata messa in azione per cambiare radicalmente le forme della lotta politica in Italia. Anzi, non solo le forme, ma il campo stesso della battaglia. Ho già detto prima che il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro furono esattamente il momento in cui le forze della reazione, e sottolineo nazionale e internazionale, uscirono dal terreno del confronto anche aspro, anche violento, anche sanguinoso, ma pur sempre entro le regole per portare la battaglia sul piano militare. E come tutti i complotti che si rispettano il titolo di questo complotto dice esattamente l’opposto di ciò che si proponeva: si chiamò “il piano di rinascita democratica”. 
Si disse che era Licio Gelli - si disse e si dice ancora molto impropriamente e lui stesso tuttora se ne vanta -, ma dietro Gelli, sappiamo adesso, si muovevano e si muovono, ancora oggi, i grandi centri del potere finanziario mondiale. Ecco chi ha vinto. La democrazia italiana è stata così demolita, in tutti questi anni che sono gli anni della vostra vita (parlo dei giovani). In questi anni la democrazia italiana è stata demolita pezzo per pezzo, con un colpo di Stato per così dire diluito, che ha imposto momenti di violenza estrema, di cui abbiamo parlato - stragista, terrorista, quando occorreva spaventare e terrorizzare tutto il Paese e in molte direzioni - e momenti di manipolazione dell’opinione pubblica. Come per esempio il passaggio consensuale al sistema elettorale maggioritario, vera e propria espropriazione della democrazia da parte della casta politica. I partiti sono stati trasformati in casta, inquinati gradualmente, proprio in questo modo. Il sistema dell’informazione è stato occupato quasi totalmente, impedendo alla verità di farsi strada, cioè lasciando al buio, letteralmente, milioni di persone. Basti pensare che da quasi vent’anni noi siamo nelle mani di un capo di governo eversivo e guardate che la situazione, da questo punto di vista, è davvero anomala. Noi abbiamo un capo di governo che da anni, un giorno sì e l’altro giorno no, viola le regole democratiche costituzionali di questo Paese. Quindi quel piano ha vinto e noi dobbiamo sapere che quel piano ha vinto. Da qui deve partire la riflessione. Che la mafia ne sia stata parte integrante come esecutrice, comprimaria, non credo nessuno abbia dubbi, lo dimostra tra l’altro il fatto – questa sì che è una dimostrazione – che in questi ultimi venticinque, trent’anni la mafia è dilagata in tutta Italia. Non si può più parlare di mafia del sud, la mafia è diventata parte intensiva e globale del funzionamento dello Stato, c’è tanta mafia a Milano, a Torino, a Varese, a Pavia, a Verona, a Vicenza, quanta ce n’è oggi in Sicilia, a dimostrazione che questa vittoria è stata realizzata, che la mafia è entrata in simbiosi profonda con questo sistema politico, è penetrata in profondità in ogni regione, in ognuno dei principali gangli del potere economico. I suoi affari si riciclano attraverso le principali banche del nostro Paese e di tutto l’Occidente. Come uscirne? Io credo che se una possibilità c’è questa è il ripristino del terreno della lotta democratica, quello che è stato rotto definitivamente nel 1978. Noi dobbiamo porci questo problema: di riportare questo Paese a battersi per diverse opzioni politiche, pacificamente e democraticamente. Questo è un compito politico di straordinaria importanza. Io mi ricordo, sempre da militante, quello che scrisse Enrico Berlinguer su Rinascita nel 1973, erano tempi in cui i dirigenti politici italiani ancora leggevano qualcosa e studiavano, non come quelli di oggi che sono degli analfabeti completi. Pubblicò su Rinascita, che voi giovani non vedete più perché non c’è più da tempo, due saggi, che si chiamavano “Riflessioni sugli avvenimenti del Cile”. E il Cile sembrava lontano, dall’altra parte del mondo. Come mai il segretario del Partito Comunista Italiano scriveva due saggi per occuparsi di avvenimenti del Cile, della caduta di Allende? Ma c’era un’idea fondamentale e lo dico perché questa idea ci serve adesso, ora la dobbiamo tenere presente. C’era una idea fondamentale, che anticipò tra l’altro l’idea del compromesso storico: Berlinguer capì che non sarebbe stato possibile trasformare democraticamente questo Paese e portarlo non dico verso il comunismo, verso il socialismo, ma verso l’attuazione della Costituzione Italiana. Non sarebbe stato possibile farlo neanche con il 51% dei voti. Capì che ci voleva una grande alleanza popolare democratica, molto di più del 51%. E noi dobbiamo tenerlo presente, per le cose che fra due minuti vi dirò e delle quali sono profondamente convinto. Noi dobbiamo sapere, e le cose che ho ascoltato questa sera mi hanno definitivamente convinto, che dentro la classe dirigente di questo Paese ci sono settori criminali che non si fermeranno di fronte a nulla.
Non offro quindi soluzioni semplici, non ho molto da aggiungere, certo io penso che un ritorno alla democrazia possa avvenire solo dal basso, oggi. Noi non abbiamo, oggi, riferimenti lassù. La casta politica è diventata intercambiabile, non solo è corrotta, non solo è infiltrata, ma è incapace di vedere i suoi compiti democratici. Quindi c’è una sola possibilità: quella di produrre un mutamento dal basso, con una grande mobilitazione. Vedete, io credo fondamentalmente questo – questo è il contributo che voglio dare a questa discussione – sono convinto che noi viviamo, che voi vivete in un’epoca senza precedenti, parlo soprattutto dei giovani. Voi vedrete nel corso della vostra vita cambiamenti che la generazione precedente non ha visto, che probabilmente nessuna delle generazioni umane precedenti ha visto. Noi siamo arrivati alla fine dello sviluppo, con il quale abbiamo convissuto negli ultimi tre secoli, questo sviluppo finirà nel corso della prima metà di questo ventunesimo secolo. È l’epoca della crisi di questo potere che io voglio sottolineare: siamo arrivati a un punto in cui le successive tappe della lotta diventeranno nuove, perché questo potere che voi avete contro, che noi abbiamo contro, si dovrà scontrare con la sua crisi, che è una crisi determinata dai limiti dello sviluppo. Perché dico questo? Perché stanno per accadere due cose opposte tra di loro, che noi dobbiamo tener presente, soprattutto i più giovani. Due cose opposte tra di loro ed entrambe vere. La prima è che coloro che detengono il potere cercheranno in tutti i modi - nella nuova crisi che si presenta e che metterà in discussione tutti i nostri rapporti sociali, culturali, umani, intellettuali, morali – di mantenerlo. E per farlo assolderanno di nuovo le forze della violenza e della mafia per intimidirci, per spaventarci, per fermarci. Ma sarà il loro momento più debole. In questi giorni, sotto i nostri occhi, sta crollando l’impero americano, sta crollando il dollaro, l’intero Occidente è sopraffatto da un debito che non è in grado di controllare e non sa come affronterà i prossimi dieci, quindici, venticinque anni. Voi capite che questi sono i fondamenti del potere e il potere dovrà affrontare questa crisi in questa situazione di particolarmente debolezza. Ma proprio perché sarà particolarmente debole cercherà di esercitare la violenza contro di noi come non ha mai fatto in precedenza. Bisogna quindi prepararsi a questa offensiva della violenza del potere.
La seconda cosa, altrettanto vera, è che noi, voi, oggi siamo più forti di quanto non siamo mai stati. 
I referendum di giugno ci hanno detto una cosa straordinaria: che tutta la narrazione italiana – uso un termine che non è mio, ma capite a chi mi riferisco – di questi ultimi quarant’anni era falsa. Ci avevano detto che l’Italia era addormentata, che l’Italia era incapace di reagire, che l’Italia era conservatrice, come ci diceva D’Alema, o reazionaria. E invece abbiamo scoperto che il 53% degli italiani mette al primo posto i beni comuni e ha battuto l’energia nucleare, per sempre! 
Da oggi in poi neanche il nostro eversore Presidente del Consiglio potrà dire che il popolo italiano è in maggioranza dalla sua parte, non lo è! L’Italia non è mai stata quella che ci hanno raccontato e questo lo dobbiamo, io credo, alla nostra Costituzione, alla nostra storia. Se siamo così, nonostante tutto, nonostante Italia1 e Mediaset, nonostante le schifezze della televisione, è perché noi abbiamo avuto una grande Costituzione democratica, che ci ha consentito di difenderci. Allora siamo forti, siamo più forti di prima, non c’è dubbio. Guardate cosa sta accadendo in Grecia. La Grecia, un piccolo paese europeo, è stata attaccata, sottoposta a una specie di ricatto in base al quale il popolo greco dovrebbe pagare un debito di trecento miliardi di euro, grosso modo, quando gli Stati Uniti d’America, da soli, hanno accumulato un debito di quindicimila miliardi di euro. E la stessa cosa accadrà con noi, accadrà con gli spagnoli, accadrà con i portoghesi, accadrà con gli irlandesi. Ai greci dicono: “Vendete, privatizzate, vendete le vostre isole”, a noi diranno: “Vendete il Colosseo”, verranno qui e ci compreranno, con i soldi artificiali che hanno costruito negli ultimi venticinque anni, a Washington, a Wall Street, stampando dollari e creando moneta fittizia. Verranno a comprare l’Europa! Allora noi gli dobbiamo dire - e la cosa importante che dovete ficcarvi bene in testa tutti è che glielo possiamo dire - che noi non pagheremo il debito che loro hanno creato! Non è una vanteria, non è un modo esagerato di descrivere la situazione. L’altro ieri leggevo un articolo di Jacques Attali, uno di quelli che ha creato la Banca Europea, che diceva esattamente così: “La crisi non è ad Atene, la crisi è a Bruxelles, perché i greci non potranno mai più pagare quel debito” e sono dieci milioni. E allora se gli italiani diranno che non pagheremo il nostro debito, o salterà l’Europa o le banche private dovranno contrattare con noi. Quindi questo è uno dei punti che dobbiamo capire: quali sono le forze che abbiamo a disposizione, quali sono le azioni che possiamo realizzare. Questo è un programma politico, chi lo può realizzare in Italia? Esistono partiti capaci di realizzare o anche solo di immaginare questo programma? Non esistono. Allora spetta a voi, ragazzi. Questa classe politica bisogna mandarla a casa, il più presto possibile. Mandatela a casa e organizziamoci per difenderci!
Quella di questa sera è per me forse una delle più straordinarie esperienze vissute, perché non immaginavo di trovare a Palermo tanti giovani. Adesso capisco che tanti giovani così si possono trovare, se saremo capaci di chiamarli, a Palermo, a Milano, a Genova, a Roma, dappertutto. Siamo diventati più forti e possiamo vincere.



Giorgio Bongiovanni
Direttore della rivista ANTIMAFIADuemila

Volevo fare una considerazione sulla base di quello che ha detto ora Salvatore e cioé che le Procure di Caltanissetta e di Palermo stanno lavorando e che il vento è cambiato. Effettivamente è così. Credo che i magistrati qui presenti, diversamente dagli anni passati, hanno la possibilità di lavorare, anche grazie ai vertici delle loro Procure. Sergio Lari a Caltanissetta, Francesco Messineo a Palermo – Messineo stasera è qui con noi – hanno avuto e hanno, secondo il punto di vista di ANTIMAFIADuemila, la professionalità e la capacità di armonizzare la Procura e di dirigerla in modo che i magistrati antimafia possano lavorare serenamente. Questo è un merito che effettivamente al dottor Messineo va riconosciuto. Altra cosa: vorrei accogliere l’appello di Salvatore, punta di diamante di questa squadra grazie al suo carisma. Salvatore ha detto: “Non andatevene” e noi rispondiamo che ci siamo trasferiti dalle Marche a Palermo. Adesso abitiamo qui, abbiamo aperto proprio in questi giorni una redazione palermitana. Vorrei raccontarvi un piccolo aneddoto, è personale, ma data l’atmosfera della serata me lo posso permettere. L’altro ieri, quando sono giunto a Palermo insieme alla mia famiglia, con la macchina piena di pacchi a causa del trasloco, mi sono diretto istintivamente in via Isidoro Carini. E mi sono ricordato di un ragazzo, appena diciannovenne, che il 4 settembre del 1982 aveva lanciato gli occhiali contro il televisore frantumandoli. In quella data il telegiornale aveva trasmesso la notizia dell’assassinio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, avvenuto il giorno precedente, e dopo aver lanciato gli occhiali dissi a me stesso, con l’esaltazione propria di un giovane: “Generale, ti prometto che andrò a vivere a Palermo e renderò giustizia”. L’altro ieri, in via Carini, mi sono chinato e ho toccato l’asfalto sul quale era stato versato il sangue del Generale. Ovviamente non potrò rendergli giustizia, ma la mia parte la voglio fare anche per onorare quella promessa. Un abbraccio a tutti e grazie di cuore.



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