Caso Aldrovandi, i giudici di Appello: “La Questura ordinò di manipolare la verità”. In 233 pagine viene motivata la sentenza che ha confermato la condanna dei quattro poliziotti: "Fu omicidio colposo, il ragazzo colpito con violenza gratuita, senza nessuna regola". Poi i riferimenti ai superiori degli agenti e al primo pm che si occupò del caso
Bologna. “Non avere voluto squarciare il velo della
cortina di manipolazioni delle fonti di prova, tessuta sin dalle prime ore di quel
25 settembre 2005, getta una luce negativa sulla loro personalità”. È una sentenza che sembra accompagnare
la condanna penale a una morale.
Sono
233 paginela cui lettura è un pugno nello stomaco per chi ha sempre chiesto verità e giustizia sulla morte di Federico Aldrovandi. E i giudici della corte di appello di
Bologna, che lo scorso 10 luglio hanno confermato per i quattro poliziotti la condanna di primo grado a tre anni e mezzo per omicidio colposo, non fa sconti.
E non solo per quanto riguarda le responsabilità affibbiate a
Paolo Forlani, Enzo Pontani, Monica Segatto e Luca Pollastri per la colluttazione che portò alla morte il ragazzo di 18 anni, ma anche per quanto concerne il comportamento di parte della
questura di Ferrara, protagonista di “attività di
falsificazione e distorsione dei dati probatori poste in essere sin dalle prime ore successive
all’uccisione di Aldrovandi”.
Il giudice
Daniela Magagnoli non si fa remore di definire “
manipolazioni” quelle “
ordite dai superiori” dei quattro agenti. Manipolazioni che però non escludono la responsabilità degli imputati, che anzi, proprio perché “pubblici ufficiali, privi di precedenti disciplinari, sono portatori di un ben diverso onere di lealtà e correttezza processuale rispetto ad un imputato “comune” e avrebbero dovuto portare un contributo di verità”.
Di più. “Lo stesso “onorevole stato di servizio” dei quattro ben lungi dal costituire un elemento attenuante, connota negativamente la loro condotta, improntata alla violenza ingiustificata prima e alla
dissimulazione del vero poi, comportamenti che non hanno evidentemente trovato freno nello stato di servizio sino a quel momento immacolato”.
I giudici di secondo grado non risparmiano nemmeno la pm
Mariaemauela Guerra, il primo magistrato incaricato del caso (e che ha querelato la madre di
Federico e alcuni giornalisti per presunta
diffamazione aggravata nei suoi confronti), parlando di “indagini preliminari iniziate nella sostanza vari mesi dopo i fatti e in seguito alla sostituzione del primo sostituto procuratore”.
È una seconda rivincita per
Patrizia Moretti, che rimarca come “questa sentenza sottolinea chiaramente quanto sia stata importante l’opera di depistaggio attuata in fase di indagine. La questura di Ferrara ha avuto una parte importante nell’indagine e nel processo, nel quale abbiamo assistito a testimonianze false, inattendibili, lacunose, fuorvianti, come riconosce la
corte d’appello”.
Diventa quasi secondario allora per la madre del giovane ricordare come i giudici descrivono il comportamento degli agenti, che hanno “scelto di porre in essere un’azione di contenimento e di repressione non necessaria nei confronti di un soggetto che aveva invece bisogno di trattamento terapeutico”.
Difficile però parlare di aspetto “secondario” se si scorrono le ultime pagine delle motivazioni, che descrivono come i poliziotti misero in atto una “
manovra di arresto, contenimento e immobilizzazione
condotta con estrema violenza e con modalità scorrette e lesive, quasi i quattro volessero
“punire” Aldrovandi per il comportamento aggressivo tenuto nel corso della prima colluttazione”.
Il film di quel 25 settembre non è finito. La Corte continua deplorando l’intervento che “
si stava trasformando in un autentico pestaggio”, in una accettazione di “violenza gratuita, assolutamente vietata dalle regole”.
Il caso Aldrovandi però non finirà qui. Le difese hanno già annunciato il ricorso in
Cassazione. E in un eventuale terzo grado di giudizio la linea sarà quella dell’appello: “Non viene chiarito – spiega l’avvocato Bordoni – quale comportamento alternativo i quattro imputati avrebbero dovuto porre in essere in quelle condizioni (alle 6 di mattina, in strada, contro un ragazzo di 80 chili alterato) e fino a quando non si accerterà chi gravava sul corpo di Federico e da chi è stata esercitata la pressione letifera, non si potrà attribuire una responsabilità”.
Forse però all’avvocato Bordoni hanno già risposto i giudici di appello: “Le immagini di Aldrovandi sono agli atti e sostenere cose diverse non è possibile”.
Marco Zavagli (ilfattoquotidiano.it, 31 agosto 2011)