Increase Font Size Option 6 Reset Font Size Option 6 Decrease Font Size Option 6
Home Documenti Se ognuno fa qualcosa, allora si può fare molto
Se ognuno fa qualcosa, allora si può fare molto PDF Stampa E-mail
Documenti - Per non dimenticare
Scritto da Serena Verrecchia   
Giovedì 15 Settembre 2011 10:14
La sera del 15 settembre del 1993, in piazza Anita Garibaldi, nella zona est di Palermo, fu ritrovato il corpo di un uomo abbandonato al suolo, coperto dal suo stesso sangue, che gli colava sul volto dalla nuca, e poco distante dalla portiera di una Fiat Uno bianca. Era morto da solo, immerso nel silenzio di chi aveva sentito gli spari e si era barricato in casa, accendendo la televisione per coprire i rumori e il senso di colpa. Ed era morto per mano mafiosa. Poco prima di infilare la chiave nel portone della sua abitazione, era stato avvicinato da uomini loschi. Uno di loro lo aveva chiamato, lui si era voltato, mentre l'altro gli aveva puntato la pistola sulla nuca e aveva premuto il grilletto. Colpito alle spalle. Morto nel silenzio.
Quell'uomo aveva cinquantasei anni, compiuti proprio nel giorno della sua morte; aveva una corporatura non troppo robusta, ma un bel viso rotondo, sul quale portava sempre stampato un ampio sorriso.
Per tentare di comprendere come mai un uomo di cinquantasei anni sia stato ucciso sotto casa nel giorno del suo compleanno, occorre conoscerne, almeno in parte, la storia. La storia di un uomo che mi ha sempre personalmente emozionato.
"P3" lo chiamavano i bambini e quelli che lo conoscevano. Oggi, con il nome P3, si designa l'ennesimo apparato di corruzione, l'ennesima loggia che sventra il Paese dall'interno. Qualche anno fa, "P3" era Padre Pino Puglisi, il parroco di San Gaetano, nel quartiere di Brancaccio. Qui, egli era nato nel 1937, da padre calzolaio e madre sarta. A sedici anni entrò in seminario e a ventirté fu ordinato prete.
La sua vita fu interamente dedicata alla società, con particolare attenzione per i giovani.
Era un ottimo ascoltatore. Trascorreva ore ed ore del suo tempo a parlare con le persone. Non parlava quasi mai di Dio, della religione o dei preti. Ascoltava e dava consigli.
Negli anni Settanta fu nominato parroco a Godrano, un paesino nella provincia di Palermo, e qui mise pace tra due famiglie mafiose della zona che si facevano la guerra.
Don Pino diceva: "Pensiamo a quel ritratto di Gesù raffigurato nel Duomo di Monreale. Ciascuno di noi è come una tessera di questo grande mosaico. Quindi tutti quanti dobbiamo capire qual’é il nostro posto e aiutare gli altri a capire qual'è il proprio, perché si formi l'unico volto del Cristo".
Il suo compito era quello di salvare le anime dal peccato, ma, tradotto per la Sicilia, ciò significava salvare gli uomini da quel morbo che è la mafia, salvarli dall'indifferenza, dall'omertà, dall'accettazione della violenza e del compromesso.
Egli non confidava tanto nel poter strappare dalle grinfie della mafia i picciotti che vi appartenevano ormai da anni, ma era convinto che i ragazzi, i bambini, potevano essere salvati. Per questo dedicò loro tutti gli sforzi, tutto il suo tempo. Perché Padre Pino sognava un posto "in cui non ci sono più furti, più violenze, nè prepotenze".
Fu insegnante di matematica e religione in molte scuole e nel 1990, tornato a Palermo, seguì i ragazzi del Liceo Vittorio Emanuele II.
Per lui era "importante parlare di mafia, soprattutto nelle scuole, per combattere contro la mentalità mafiosa, che è poi qualunque ideologia disposta a svendere la dignità dell'uomo per soldi. Non ci si fermi però ai cortei, alle denunce, alle proteste. Tutte queste iniziative hanno valore ma, se ci si ferma a questo livello, sono soltanto parole. E le parole devono essere confermate dai fatti".
E lui era un uomo che era abituato alle parole, ma ancor di più ai fatti. Dall'altare della sua chiesetta denunciava i prepotenti di Brancaccio, li additava come bestie durante le celebrazioni religiose, li bersagliava usando contro di loro la parola di Dio e li invitava a convertirsi. Aveva salvato decine di ragazzini dalla strada. Organizzava campi-scuola, gite, competizioni sportive. Aiutava molti di loro a scrivere striscioni contro la mafia e li invitava ad andare avanti sempre con la propria testa. Offriva loro la speranza di poter inseguire il sogno di una Palermo diversa, di una Sicilia diversa, di una vita diversa.
E lo stesso faceva per i lavoratori, sostenendoli nelle manifestazioni e nei cortei. Era amico di tutti e tutti lo amavano.
C'era, tuttavia, anche qualcuno che lo detestava. Don Pino era diventato un simbolo dell'antimafia e sobillava i fedeli contro i boss e contro l'indifferenza. Era uno che, come citato nel film di Roberto Faenza dedicato alla sua vita, "Alla luce del sole", "non aveva paura di rompere le scatole". E questo ne decretò la fine.
Il 19 giugno 1997, viene arrestato Salvatore Grigoli, latitante da anni. Subito dopo l'arresto, decide di collaborare e confessa quarantasei omicidi, tra cui quello di Padre Puglisi. Grigoli ricorda quell'uomo in particolare, perché fu forse lui a fargli intraprendere un lento cammino di conversione. Aveva ventotto anni e tre figli quando commise l'omicidio e con queste parole ricorda gli ultimi istanti di vita di don Puglisi:
"Il padre si stava accingendo ad aprire il portoncino di casa. Aveva un borsello nelle mani. Fu una questione di pochi secondi: io ebbi il tempo di notare che lo Spatuzza si avvicinò, gli mise la mano nella mano per prendergli il borsello. E gli disse piano: "Padre, questa è una rapina!". Lui si girò, lo guardò - una cosa questa che non posso dimenticare, che non ci ho dormito la notte, - sorrise e disse: "Me l'aspettavo". Non si era accorto di me. Io allora gli sparai un colpo alla nuca".
Se lo aspettava, padre Pino, ma sapeva che "ognuno di noi sente dentro di sé una inclinazione, un carisma. Un progetto che rende ogni uomo unico e irripetibile.
Questa chiamata, questa vocazione è il segno dello Spirito Santo in noi. Solo ascoltare questa voce può dare senso alla nostra vita".

Poco più di un anno dopo la morte dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, veniva ammazzato un altro simbolo del contrasto alla mafia. Un contrasto fatto non di indagini, processi e arresti, ma di parole, sorrisi, messaggi lanciati col cuore.
Tante cose mi vengono in mente della vita di quest'uomo. Il suo coraggio, la sua generosità, il suo sorriso e la sua ostinazione furono un raggio di sole nelle continue tempeste della notte.
E' importante,però, tenere presente soprattutto un messaggio, un consiglio che deve ronzarci perpetuamente nell'orecchio: che "se ognuno fa qualcosa, allora si può fare molto".

Comments:

Commenti
Cerca RSS
Solo gli utenti registrati possono inviare commenti!

3.26 Copyright (C) 2008 Compojoom.com / Copyright (C) 2007 Alain Georgette / Copyright (C) 2006 Frantisek Hliva. All rights reserved."