Giuseppe Calascibetta è stato freddato sotto casa a Belmonte Chiavelli. Era stato coinvolto nella strage di via D'Amelio e poi assolto. Il procuratore aggiunto De Francisci: "Questo delitto è un segnale allarmante di movimenti nelle cosche a livello apicale nell'ambito di Cosa nostra palermitana"
Hanno aspettato che arrivasse sotto casa, con la sua minicar, e gli hanno scaricato addosso un caricatore di 7,65. Ma solo due colpi l'hanno raggiunto alla testa, e gli hanno sfigurato il viso. Così, ieri sera, intorno alle 20,30, è stato ucciso
Giuseppe Calascibetta, 60 anni, da almeno trenta protagonista di diversi processi di mafia, con l'accusa di essere un influente uomo d'onore del potente mandamento di
Santa Maria di Gesù. E da capomafia è stato ucciso Giuseppe Calascibetta: nel suo regno, via Bagnera, a Belmonte Chiavelli, dove negli anni Ottanta i killer di Cosa nostra erano scatenati. Anche ieri sera non hanno esitato.
Calascibetta stava ritornando a casa dopo aver comprato il pane, che aveva sistemato nel sedile accanto al suo. Indossava una maglietta e un paio di jeans, era uscito per poche altre faccende familiari. Non ha avuto il tempo di fuggire, forse conosceva i suoi sicari. Forse aveva un appuntamento con loro. Giuseppe Calascibetta è rimasto inchiodato al sedile della sua vettura, all'altezza del civico 16 di
via Bagnera. Alcuni testimoni hanno riferito di aver sentito il rombo di una moto, ma nessuno ha saputo o voluto dare altre indicazioni sugli assassini.
Una prima ricostruzione della sezione Omicidi della squadra mobile dice che i killer sono entrati in azione quando Calascibetta ha rallentato la marcia, perché vicino alla sua abitazione. I colpi di 7,65 sono arrivati al volto e alla nuca. I finestrini della minicar erano abbassati, ma non tutti i colpi hanno raggiunto la vittima. Il cadavere è stato scoperto dopo una decina di minuti da un passante, che ha chiamato il 118: pensava che quell'uomo in auto si fosse sentito male, non aveva visto il suo volto sfigurato.
Adesso la Procura antimafia e gli investigatori di polizia e carabinieri sono davvero preoccupati per il ritorno del sangue in città. "Quello di ieri sera è un segnale allarmante - dice il procuratore aggiunto
Ignazio De Francisci - non è esclusa la possibilità che la mano del delitto sia arrivata da un altro mandamento. E in questo caso, saremmo di fronte a movimenti a livello apicale nell'ambito di Cosa nostra palermitana".
Ufficialmente Calascibetta era tornato a una vita normale, gestiva una piccola azienda che commercializza gesso. I suoi precedenti per mafia risalivano ormai ai primi anni Ottanta, quando era scattata una condanna per associazione a delinquere. Ma Calascibetta era tornato anche altre volte in carcere: nel 1994, persino per la
strage di via D'Amelio. Però, alla fine, era sempre uscito assolto. Anche quando il pentito
Vincenzo Scarantino sembrava il più attendibile dei collaboratori di giustizia: aveva accusato Calascibetta di aver ospitato in una sua villa il summit dove i capi di Cosa nostra avrebbero deciso la strage
Borsellino. Ma l'accusa non aveva retto neanche in primo grado, e dopo cinque anni Calascibetta era tornato in libertà.
Fu l'inizio della sue fortune giudiziarie. Qualche anno dopo, l'imprenditore di Santa Maria di Gesù riuscì anche a ottenere la revisione di una condanna per l'omicidio di
Benedetto Grado, fondata sulle dichiarazioni di un storico pentito come
Francesco Marino Mannoia.
Più di recente erano però arrivate altre dichiarazioni di pentiti. Ed erano quelle che avrebbero potuto davvero mettere nei guai Calascibetta. Prima
Giuseppe Di Maio, poi
Maurizio Spataro, infine
Manuel Pasta, gli ultimi ex boss che hanno ridisegnato la nuova geografia di Cosa nostra. E a Calascibetta avevano dato un ruolo di vertice nel mandamento di Santa Maria di Gesù, che probabilmente era anche cresciuto negli ultimi due anni, da quando un altro influente padrino del clan,
Ino Corso, era finito in carcere.
Proprio due anni fa c'era stato l'ultimo blitz contro lo storico mandamento di Santa Maria di Gesù. Quella volta la squadra mobile aveva fatto scattare un blitz con l'Fbi, fra New York e Palermo. I padrini di Santa Maria avevano già riallacciato i contatti con i cugini d'oltreoceano. Calascibetta, invece, non era rientrato nell'indagine. Aveva ormai un'attività lecita cui badare, almeno ufficialmente. Ma adesso, dopo il delitto di ieri, si può ipotizzare che la nuova attività imprenditoriale non fosse altro che l'ennesimo paravento di mafia.
da
Repubblica.it