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Salvatore Borsellino ai giovani di Pescara: "Datemi la speranza per continuare a vivere e lottare in questo Paese" PDF Stampa E-mail
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Scritto da Daniele Galli   
Venerdì 30 Settembre 2011 15:37
borsellino2Pescara. Stato, doppio Stato o anti-Stato? Una divisione tripolare dell’ordinamento istituzionale italiano, inteso nella sua forma pura e in quella a due facce, quella apertamente cattiva e quella collusa con la mafia, il principale male italiano. A discuterne, questa mattina durante un convegno organizzato nell’ateneo pescarese, sono stati il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia, e Salvatore Borsellino, fratello del magistrato ucciso nella strage mafiosa di via d’Amelio. Alla platea di studenti ha detto: “Vi do la mia rabbia e la mia motivazione, voi datemi la speranza per continuare a combattere e a vivere in questo Paese”.
 

Dopo la mostra Civil_Art, che per tutto il mese di settembre ha mostrato nei corridoi della Facoltà di Architettura dell’Università d’Annunzio l’impegno civile interpretato da 40 giovani artisti, l’associazione studentesca UniOn_Espressione Libre ha ospitato, questa mattina, Salvatore Borsellino a tenere per gli studenti e per tutti i giovani pescaresi il convegno Stato-Doppio Stato-Antistato. Il fratello del magistrato che con Giovanni Falcone ha scritto la pagina più importante per la lotta alla mafia, uniti nello stesso tragico destino, ha riflettuto di fronte al giovane pubblico sul modo in cui le tre dimensioni del panorama istituzionale italiano si intrecciano tra loro e su come la società civile subisca questa mescolanza, pagandone troppe volte le conseguenze. Conseguenze altamente negative, che si traducono nella mancata tutela dei diritti civili e sociali propri di ogni individuo. Uno Stato inteso come ordinamento giuridico sovrapposto al potere parallelo che alle volte lo affianca o  con il quale arriva a fino a divenire quella materia nera che si istituisce formalmente un ordinamento antagonista nella gestione di parte del territorio. Inevitabile, per il capofila del movimento delle Agende rosse, non incentrare il proprio intervento sulla figura del fratello Paolo: “Un servitore dello Stato che lottava contro l’anti-Stato, e ucciso nel massacro di Stato di via D’Amelio”, l’ha definito. Salvatore: stessi occhi del fratello, stesso sguardo perso in avanti, verso un sogno che sembra irraggiungibile, posto alla fine di un tunnel costruito con le macerie delle strade di Palermo e Capaci, fatte saltare in aria da chili e chili di tritolo. Un ometto di 69 anni, piccolo di stazza ma dal cuore ancora gonfio di dolore e pulsante rabbia e indignazione, non solo per la perdita fraterna ma per il colpo di spugna dato da un sistema enigmatico ad una lista di responsabili racchiusa in quell’agenda rossa che scomparve dalle mani del Dottore Borsellino quel 19 luglio 1992. Quell’Agenda Rossa divenuta principale motore dell’azione di Salvatore, che ha foderato di rosso anche l’I-pad sul quale tiene appuntati i punti del suo intervento.

Ma nonostante una vita profusa totalmente nell’impegno civile, un contributo vitale per la coscienza, soprattutto giovanile, dell’Italia, Salvatore Borsellino resta una persona profondamente umile, che abbandona la sedia compresa tra il preside Alberto Clementi e il vice presidente del Consiglio comunale, Fausto Di Nisio, per accovacciarsi sui gradini dell’aula magna (Rossa pure questa) e vedere un breve filmato dedicato aPaolo  seduto tra i ragazzi, rifiutando persino il posto in poltrona che gli viene offerto da uno studente riverente. Umile e immolato al cognome che porta, inciso sulla pelle scomparsa di quell’agenda, evocata a simbolo dall’omonimo libro che Salvatore porta in giro per l’Italia da anni, lo stesso che alza in aria, anziché alzarsi cerimoniosamente in piedi, quando Antonio Mancini, portavoce dell’associazione studentesca, lo presenta ufficialmente alla platea. Campeggia ovunque il viso del magistrato, negli striscioni appesi alle pareti dell’aula, sul maxi schermo alle spalle degli ospiti e nella memoria del fratello, una memoria indignata: “Lo hanno ucciso perché quando aveva in mano, grazie al lavoro fatto con Falcone per mettere in galera tutta la cupola della mafia, l’opportunità di dare il colpo di grazia all’anti-Stato, lo Stato ha instaurato la trattativa con l’anti-Stato: mio fratello si è opposto a questa trattativa e gli è costato la vita”. Indignazione perdurata per 19 anni, che si ripercuote in lotta “a quella parte di istituzioni intrecciata con l’anti-Stato che piange durante le commemorazioni in via D’Amelio, ma ha contribuito come parte attiva alla strage e poi ha condotto il depistaggio all’individuazione dei responsabili”.borsellino

Salvatore Borsellino racconta di aver perso, negli anni, la speranza contagiatagli da Paolo, “perché dal ’92 l’Italia è sempre più sprofondata nel baratro; poi ho ricominciato a parlare per rabbia, grazie ai giovani che mi hanno ridato la speranza, per ridare a loro la possibilità di avere giustizia e verità, per farli vivere in un Paese diverso da quelli sepolto dalle macerie che gli stiamo consegnando”. È stato, dunque, uno scambio quello andato in scena oggi alla d’Annunzio tra Salvatore Borsellino e i giovani presenti: “Io vi do la mia rabbia e la mia motivazione, voi datemi la speranza per continuare a combattere e a vivere in questo Paese”. Ma Borsellino ha lasciato, anche qui, un pesantissimo sassolino dell’insegnamento del magistrato, “quello più grande, contenuto nell’ultima lettera che Paolo ha scritto, quando già sapeva di dover morire, avendo già saputo del grande carico di esplosivo giunto a Palermo: sono ottimista perché vedo che verso di essa (la mafia Ndr.) i giovani, siciliani e no, hanno oggi una attenzione ben diversa da quella colpevole indifferenza che io mantenni sino ai quarant’anni. Quando questi giovani saranno adulti avranno più forza di reagire di quanto io e la mia generazione ne abbiamo avuta”.

Ma la lotta alla mafia e all’anti-Stato è, inevitabilmente, fatta anche dell’odierna collusione con la politica, giammai tralasciata da Salvatore Borsellino, che sul dibattito attuale circa la legge sulle intercettazioni ha commentato: “Se oggi, da una parte la mafia acquista sempre nuovi meccanismi, uno Stato imbelle taglia i mezzi alla Magistratura per condurre la lotta alla mafia. Definisce, poi, “l’ennesimo episodio vergognoso” il voto espresso dalla Camera per negare alla Magistratura l’autorizzazione a procedere contro il ministro dell’Agricoltura, Saverio Romano: “Ma il problema è a monte”, dice Borsellino, “quando una persona già inquisita per concorso esterno in associazione mafiosa, uno dei reati più gravi, viene fatto ministro della Repubblica: è qui che lo Stato si allea all’anti-Stato. D’altronde, molti anni prima, è stato permesso ad Andreotti, uomo prescritto per lo stesso reato, di divenire Senatore a vita e di concorrere alla Presidenza della Repubblica”. Uno Stato appartenente ad un “Paese divenuto la barzelletta del mondo, dove i ministri vengono nominati per le proprie attitudini sessuali e il ministro dell’Istruzione crede che esiste un tunnel sotterraneo tra il Gran Sasso e Ginevra”. A questa “barzelletta” e “quel ministro (Umberto Bossi Ndr.) che il 25 settembre scorso ha definito somaro chiunque esponga il tricolore”, rispondono Antonio Mancini e i tanti tricolori appesi ai muri e  tra le giovani mani: “Qui siamo tutti somari”.


da: CityRumors.it

L'Appello di Salvatore Borsellino cantato da Daniele Silvestri: guarda il video

 

Daniele Galli

 



Terremoto. Ingroia: «Società riconducibili a Massimo Ciancimino nella ricostruzione»

PESCARA. L’Abruzzo e i Ciancimino (Vito e Massimo). Un legame forte, rinnovato, presente e non solo passato. Oltre al tesoro dell’ex sindaco di Palermo, altre tracce in Abruzzo porterebbero direttamente al figlio del boss.

E’ quanto ha rivelato ieri mattina, a margine di un convegno, il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia a PrimaDaNoi.it. Non poche le inchieste che dal capoluogo siciliano conducono dritto dritto in Abruzzo. Come una delle ultime, svolta dalla procura dell’Aquila, che avrebbe fatto luce sugli interessi della famiglia Ciancimino nella nostra regione, dove già il sindaco mafioso aveva reinvestito il proprio tesoro nei settori del gas e del turismo.

«Si sono scoperte società riconducibili a Massimo Ciancimino, o comunque a persone collegate a lui, che operano nella ricostruzione aquilana», ha spiegato il magistrato che ha iniziato la propria carriera nel pool di Falcone Borsellino.

Un Abruzzo visto come una terra promessa dalla criminalità organizzata, o meglio, come ha detto Antonio Ingroia, «una terra adatta per il reinvestimento del denaro sporco sia perché ci sono più possibilità, sia perché c’è meno attenzione perché si pensa che sia regione immune da queste infiltrazioni». Difficile avere la dimensione del fiume di denaro che dalla Sicilia si riversa nella nostra regione ma tantissime inchieste della magistratura (oltre a quelle giornalistiche) evidenziano i collegamenti tra la mafia e l’Abruzzo. Riciclaggio, dunque. Ma forse troppo presto per parlare della presenza di un sistema verticistico e ben organizzato.

Non però un pericolo lontano, antico, sorpassato come può sembrare se parlando di mafia si pensa alle stragi del ‘92 e del ‘93, ma un fenomeno che si materializza ogni giorno agli angoli delle nostre strade sotto forma di esercizi commerciali, locali per il divertimento, palazzine.

«Nessun riscontro» ha riferito Ingroia, invece, è stato dato in sede di indagine, sul presunto fatto che l’esplosivo impiegato nella strage di via D’Amelio dove sono rimasti uccisi il giudice Paolo Borsellino e la sua scorta, provenisse dall’Abruzzo.

Duro il parere di Ingroia sul futuro decreto legge sulle intercettazioni: «rispetteremo le decisioni del Parlamento, ma metteremo i cittadini in guardia perché i cittadini saranno più indifesi perché le intercettazioni sono state fondamentali per qualsiasi inchiesta, anche la più piccola».

Dell’immunità votata dal Parlamento per il Ministro Romano, indagato per concorso esterno in associazione mafiosa, qualcuno ha detto che è stato un chiaro segnale alla mafia, è così anche per lei?

«Non vorrei esprimermi su questo», ha risposto il procuratore aggiunto, «l’unica cosa che voglio sottolineare è che in questo caso come in altri si è detto che i politici sono vittime di una persecuzione da parte della magistratura. In questo caso, la richiesta di archiviazione e il processo è stato frutto di un provvedimento del Gip di imputazione coatta. Così in un colpo solo si sfatano due luoghi comuni: il primo che non c’è un intento persecutorio, il secondo che i Gip non si appiattiscono sulle decisioni dei Pubblici ministeri».
 




BORSELLINO: «POTREBBERO TORNARE LE STRAGI»

Presente all’incontro organizzato dall’associazione “Espressione Libre” presso la Facoltà di Architettura di Pescara, anche Salvatore Borsellino, fratello del giudice Paolo, ucciso il 19 luglio 1992. Salvatore Borsellino da anni ormai incontra migliaia di studenti e giovani in giro in tutta Italia

Dopo anni di silenzio, è tornato a parlare, anzi ad urlare la sua «rrabbia» attraverso il web e le piazze riuscendo a catalizzare intorno a sé il popolo delle Agende rosse, in ricordo dell’agenda che il giudice Borsellino aveva sempre con sè e poi sparita nel nulla dopo l’attentato. Un’agenda che potrebbe contenere alcune verità scomode, come la presunta esistenza della trattativa tra Stato e mafia.

«Ora c’è una situazione molto simile a quella del ‘92», ha spiegato Salvatore Borsellino, «quando con l’inchiesta Mani Pulite si era dissolto il sistema della Democrazia cristiana. Allo stesso modo ora va dissolvendosi un altro sistema di potere. Quando si passa da un equilibrio all’altro, potrebbero esserci delle stragi». «Anche se ora i magistrati si uccidono in un’altra maniera», ha aggiunto, «basta avocargli un’inchiesta o si mettono i bastoni tra le ruote in altri modi, ma potrebbero tornare i modi passati». E poi giù a parlare come un fiume in piena per due ore piene dell’attuale capo del governo «che pensa a difendersi dai processi e non nei processi» e dell’inconsistenza di una minoranza «immobile», fino a sfociare in un “mea culpa”.

«Avevo creduto in un partito (Italia dei Valori, ndr) perché lo credevo composto da persone oneste e mi ci ero avvicinato», ha confessato, «mi ero avvicinato soprattutto ai giovani di quel partito che facevano parte delle Agende rosse. Tutto questo fino a quando in Campania hanno appoggiato il candidato della sinistra, De Luca, indagato per mafia». «Per me la sinistra si è fermata ai tempi di Berlinguer», ha chiosato Borsellino aggiudicandosi gli applausi della sala gremita e anche del consigliere comunale e regionale di Rifondazione Comunista, Maurizio Acerbo, seduto in prima fila.
 



DI NISIO: «MECCANISMI MASSONICI NEGLI ENTI PUBBLICI»

Folta anche la rappresentanza dell’Italia dei Valori con la presenza del senatore Alfonso Mascitelli, del consigliere regionale Carlo Costantini e del vice presidente del consiglio comunale di Pescara, Fausto Di Nisio che ha portato alla platea i saluti dell’amministrazione cittadina.

«Mi sento a disagio», ha esordito Di Nisio, «perché oggi devo rappresentare la classe politica che secondo alcuni “incoraggia la diffusione di comportamenti negativi”. Io non ci sto. Bisogna cambiare questa condizione e per farlo bisogna guardare il malaffare che si annida nelle nostre città. Quelle famose “cabine di regia” che non sono una cosa positiva, ma segno di mal costume e corruzione». «Sono stato in un ente pubblico molto importante e vi posso dire che i meccanismi e le tecniche per l’amministrazione della cosa pubblica sono massonici», ha affermato Di Nisio gelando gli studenti, «ma è colpa nostra che non partecipiamo alla vita pubblica. Solo colpa nostra».

Una partecipazione richiesta in modo accorato anche da parte del procuratore Ingroia: «noi abbiamo bisogno di voi. C’è una solitudine istituzionale grave e crescente», ha concluso prima di essere letteralmente assaltato da giovani pacifici in cerca di una dedica o di un autografo.

«Ma guardate che non siamo delle star».
 
 m.r.   01/10/2011 8.39 (PrimaDaNoi.it, 1 ottobre 2011)









 

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